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PARTE TERZA

7. INCONTRI E PERCORS

7.2 Turismo e cooperazione: protagonisti e spettator

Divoratore di spazi, fattore di destrutturazione sociale e di uniformazione culturale; spesso l‟analisi del turismo si riduce a una disamina delle sue conseguenze nefaste. Senza alcun dubbio, il turismo può assumere un ruolo importante tanto a livello economico quanto a livello socio-culturale e territoriale ma il fatto che sia concretamente portatore di rischi o di opportunità dipende dal modo nel quale è gestito653.

In molte realtà dei PVS – e il caso di Zanzibar è rappresentativo di tale dinamica – l‟inclusione delle popolazioni locali nei processi decisionali è estremamente limitata. Se lo sviluppo turistico non crea benefici che per operatori stranieri e autorità consenzienti, le popolazioni locali percepiranno l‟invasione estiva come una nuova colonizzazione. È forte l‟esigenza, da parte dei locali, di essere innanzitutto ascoltati e soprattutto inclusi.

Ed è sicuramente in questa direzione che ha lavorato il PPT così come è a favore della costruzione di un dialogo attivo tra i vari portatori di interesse pubblici e privati che hanno agito entrambi i progetti casi di studio.

Il rapporto tra turismo e cooperazione che, per lungo tempo, è stato ambiguo e controverso – come già esposto in precedenza – oggi attraversa una fase diversa e anche i due progetti proposti in questo lavoro testimoniano della più recente apertura verso il tema.

Il turismo, del resto – e se ne è parlato diffusamente – non ha solo un potenziale importante come strumento di crescita e di lotta alla povertà ma è già oggi, in realtà come quelle prese in esame e in tante altre ancora in giro per il mondo, un settore economicamente dominante che la cooperazione, per assolvere al proprio compito, non può ignorare.

652 CARRINO 2005, p. 27. 653 MINCA 1996.

Allo stesso modo, la partecipazione degli abitanti dei paesi d‟accoglienza allo sviluppo turistico non può limitarsi unicamente all‟occupazione: l‟identità culturale di queste popolazioni è coinvolta allo stesso modo. E sono proprio l‟identità e, più in generale, la cultura a subire talvolta i contraccolpi più forti.

Stimolare la riflessione e accrescere la consapevolezza rispetto alla necessità del dialogo; creare le condizioni più favorevoli all‟incontro e ridurre i pretesti (e le ragioni) dello scontro. È questo un ambito in cui sicuramente la cooperazione può fare la differenza.

Dove non arrivano le istituzioni o dove rischiano di arrivare troppo tardi; dove le richieste delle comunità locali non raggiungono le autorità; dove mancano strumenti pratici per ridurre gli impatti del turismo, la cooperazione può colmare dei vuoti importanti, nella prospettiva di rendere la popolazione locale protagonista e non spettatrice di ciò che succede nel proprio territorio.

7.2.1 Identità esogena?

Il tema degli impatti del turismo sulle culture locali è stato introdotto trattando del turismo in generale. Volutamente, non lo si è approfondito con riferimento ai contesti di Zanzibar e Djerba, per poterlo riprendere in questa sede e aprirlo a riflessioni che dal semplice racconto possano invece suggerire delle considerazioni più ampie.

Il tema infatti è tanto importante quanto delicato.

Sia a Zanzibar che a Djerba – e in base a quanto si è detto sul fenomeno, la cosa non stupisce affatto – il turismo è accusato di inquinare le culture locali.

È emerso a più riprese nel corso del PPT, durante gli incontri ufficiali volti a raccogliere impressioni ed opinioni delle comunità locali sul turismo, in sede di valutazione finale del progetto (negli incontri con i beneficiari), alla Conferenza Tourism and Poverty; emerge da studi ed osservazioni sul fenomeno e da ricerche sul campo; è confermato dall‟esperienza diretta.

La sua immagine è quanto mai stereotipata. Il turista occidentale beve, fuma, si droga, si veste poco e male, è irrispettoso dei costumi locali, è corrotto, non mostra particolare interesse alla religione; ma soprattutto, è un brutto esempio, soprattutto per i più giovani che potrebbero imitarlo e, addirittura, tendere ad assomigliargli. Il turista, poi, è uno; gli altri sono copie.

In questo senso, e rispetto a questi temi, è particolarmente significativa la descrizione che del turismo a Djerba fanno due autori locali, Borgou e Kassah.

Per diversi aspetti, secondo gli autori, il turismo sarebbe in contraddizione con l‟identità djerbiana, «forgée à travers les siècles, faite de religiosité, de puritanisme, d’honnêteté, de

sérieux et d’application à la tâche»654 .

Religiosi, puritani, onesti, seri, i Djerbiani – secondo i due Professori – di fronte al fenomeno turistico sono costretti a vivere un dilemma estremamente lacerante: accettarlo con i suoi aspetti scioccanti per la morale e i valori arabi e musulmani, oppure voltare le spalle a un‟attività che produce reddito ed impiego.

Gli aspetti scioccanti del turismo – continuano i due autori – sarebbero, ça va sans dire, ”incontestabilmente: l‟alcool, il gioco, la nudità e tutte le pratiche che sollecitano gli istinti e gli appetiti”655

.

Essendo dediti al lavoro ed estremamente religiosi, i Djerbiani avrebbero comunque adottato delle strategie atte a conciliare i valori della propria identità con le opportunità economiche offerte dal turismo: si evitano generalmente gli investimenti diretti nell‟industria alberghiera mentre si investe nel commercio e nei servizi, in modo da aumentare i luoghi in cui vietare la vendita di alcolici.

Per i due autori, l‟attaccamento alla famiglia e un forte sentimento religioso – pilastri dell‟identità isolana – sono inconciliabili col turismo figlio dell‟egemonismo europeo e per questo Djerba dovrebbe investire su un nuovo modello turistico che valorizzi il patrimonio dell‟isola e ne rappresenti l‟identità; un turismo, evidentemente, senza alcool, senza jeu e senza nudité.

Proporre un turismo realmente djerbiano, sarebbe – a detta degli autori – un‟innovazione e un arricchimento per l‟offerta turistica nazionale e internazionale. Un vero regalo, aggiunge chi scrive.

Che lo sviluppo dell‟industria turistica possa avere degli impatti importanti, negativi e talvolta laceranti, su un territorio e su una comunità – a livello sociale, culturale e identitario – è risaputo e se ne è scritto anche in questo lavoro. L‟approccio, il racconto, la visione e le implicazioni di ciò che scrivono, forse con leggerezza, i due Professori sono però estremamente discutibili e anche non particolarmente costruttivi.

Raccontarsi solo attraverso le proprie (presunte) qualità è una scelta che ha a che fare con la sensibilità e l‟intelligenza degli autori. Porsi però in termini di “noi” e “loro” – dove “noi” siamo puri, integri e dediti al lavoro e “loro” sono schiavi di appetiti di ogni genere – è comunque una scelta infelice. I buoni e i cattivi esistono, non a caso, solo nelle favole.

Non si vuole negare «l‟irresistibile capacità di demolire modi di vivere e costumi sociali tradizionali mostrata dalla cultura e dallo stile di vita occidentali»656. L‟Occidente ha usato la stessa cooperazione come strumento di penetrazione culturale e ideologica e la consapevolezza rispetto a questi temi è estremamente diffusa anche tra gli occidentali che, evidentemente, non costituiscono un fronte così compatto come ritengono di vederlo i due Professori.

Le culture vanno rispettate e apprezzate nella loro unicità, in quanto espressione di percorsi umani diversi e irripetibili; il principio però vale per tutti. «È vero che è abbastanza pericoloso ignorare l‟unicità delle culture ma è possibile anche un altro errore: la falsa idea che dappertutto ci sia solo insularità. In realtà nel mondo esistono più interrelazioni e influenze reciproche fra culture di quante ne riconoscano in genere coloro che vivono temendo la sovversione culturale. Spesso le persone che hanno questo tipo di timore vedono tutte le

655 Ivi, p. 196.

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