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2.2 L’autonomia finanziaria come manifestazione dell’autonomia locale

L’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, considerata una delle specifiche manifestazioni dell’autonomia locale di cui all’art. 5 Cost.13, è espressamente sancita

dai primi due commi dell’art. 119 del testo costituzionale14. Questa, come sottolineato dalla dottrina15, costituisce uno strumento indispensabile per la realizzazione effettiva delle politiche locali, le quali, senza i mezzi finanziari sufficienti per porle in essere, resterebbero confinate in una posizione di subordine e di dipendenza rispetto allo Stato centrale.

In secondo luogo, l’art. 119 della Costituzione italiana stabilisce che le risorse autonome degli enti territoriali sono costituite: i) dai tributi propri, ii) dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio e iii) dalle risorse del fondo perequativo.

Va immediatamente precisato che il termine tributi propri è stato interpretato dalla Corte Costituzionale attraverso l’adozione di un criterio puramente formale. Quindi,

13 G.BIZIOLI, L’autonomia finanziaria e tributaria regionale, cit., p. 52.

14 L’art. 119, comma 1, Cost. afferma che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni

hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa». Il primo perido del secondo comma del medesimo articolo, invece, afferma che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome».

15 Tra gli altri A.URICCHIO, Il federalismo della crisi o la crisi del federalismo? Dalla legge delega

42/2009 ai decreti attuativi e alla manovra Salva Italia, Bari, 2012, pp. 55-56; C. ESPOSITO, La

Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, pp. 77-78;F.GALLO, L’autonomia tributaria degli enti locali, Bologna 1979, pp. 11 ss e, in particolare, pp. 51 ss. dove afferma che «dovrebbe essere al riguardo abbastanza pacifico che tale articolo [119 Cost.] non fa altro che sviluppare, sotto il profilo finanziario, la nozione di autonomia accolta dal più volte ricordato art. 5 Cost.» e che «i tributi propri nell’intenzione del Costituente dovrebbero essere tali sia da consentire una funzionalizzazione della finanza regionale sia da ricollegarsi a quell’autonoma espansione di capacità contributiva creata dalle regioni nel proprio territorio nell’esercizio della loro potestà normativa» e M. BERTOLISSI, L’autonomia finanziaria regionale.

Lineamenti costituzionali, Padova, 1983, p. 334, che però tende a sminuire il collegamento fra art. 5 e art.

sono stati qualificati come propri solo quei tributi istituiti e regolati dalle Regioni con leggi proprie16.

Il legislatore delegato che ha dato attuazione alla riforma del Titolo V della Costituzione, nello specifico, ha chiarito che con il termine tributi propri delle Regioni si ricomprendono tre differenti strumenti tributari: i tributi propri in senso stretto, le addizionali e i tributi derivati (ex art. 7, L. Delega n. 42/2009).

La prima tipologia, quella individuata dai tributi propri in senso stretto, è quella che, da un punto di vista teorico, realizza in maniera più ampia l’autonomia tributaria regionale. Si tratta di tributi che possono essere istituiti discrezionalmente dalle Regioni con la finalità di finanziare i propri bilanci.

Le addizionali, invece, sono imposte che si applicano sulla base imponibile di imposte statali. I poteri delle Regioni, anche in questa circostanza, vengono stabiliti a livello centrale e possono riguardare la variazione delle aliquote e la facoltà di introdurre detrazioni.

Alla terza categoria, quella individuata nei tributi propri derivati, appartengono i tributi istituiti con legge statale il cui gettito è devoluto alle Regioni17. Gli spazi d’intervento

16 Si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 296 e 297/2003, del 26 settembre. Nella sentenza

296/2003, in tema di IRAP, la Corte dichiarò che «la circostanza che l'imposta sia stata istituita con legge statale e che alle regioni a statuto ordinario, destinatarie del tributo, siano espressamente attribuite competenze di carattere solo attuativo, rende palese che l'imposta stessa - nonostante la sua denominazione - non può considerarsi «tributo proprio della regione», nel senso in cui oggi tale espressione è adoperata dall'art. 119, secondo comma, della Costituzione, essendo indubbio il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle regioni con propria legge, nel rispetto dei principi del coordinamento con il sistema tributario statale». Nella sentenza 297/2003, relativamente alla tassa automobilistica, la Corte ha raggiunto la medesima conclusione. Questo orientamento è stato poi confermato dalla Corte in numerose sentenze, tra le quali si ricordano la n. 311/2003, del 15 ottobre; la n. 37/2004, del 26 gennaio; la n. 102/2008, del 15 aprile; la n. 50/2012, del 5 marzo e la n. 177/2014, del 18 giugno. Sul punto si rinvia a M.C.FREGNI, Autonomia tributaria delle Regioni e riforma del Titolo V

della Costituzione, in L. PERRONE-C. BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli-Roma, 2006, pp. 485 ss.; A.MORRONE, Corte costituzionale e “Costituzione finanziaria”, in A.

PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della Rivista

“Giurisprudenza Costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, pp. 644 ss.; G.

MARINI, Profili problematici e prospettive dell’autonomia tributaria degli enti locali, in V.FICARI (a cura di), L’autonomia tributaria delle Regioni e degli enti locali tra Corte costituzionale (sentenza n.

102/2008 e ordinanza n. 103/2008) e disegno di legge delega. Un contributo giuridico al dibattito sul federalismo fiscale, Milano, 2009, pp. 97-98; M.LOGOZZO, Il federalismo fiscale: prospettive della legge

n. 42/2009 e autonomia finanziaria degli enti locali, in Boll. trib., 2011, n. 11, p. 822; A.GIOVANNINI,

Sul federalismo fiscale che non c’è, in Dir. prat. trib., 2012, n. 6, I, p. 1310; P. MASTELLONE, Fiscal

Federalism: A Response of Contemporary European Democratic Nations to the Global Economic Crisis,

in European Taxation, 2012, n. 7, p. 341 e A.GIOVANNINI, Il diritto tributario per principi, Milano,

2014, p. 332, il quale osserva che «un tributo può essere definito “proprio” se l’ente (stato o regione) cui è riferito, in forza del potere di normazione, stabilisce i suoi elementi essenziali, ossia presupposto o evento al cui verificarsi la prestazione patrimoniale imposta si rende dovuta; soggetti passivi e aliquota massima (o misura fissa massima) o criteri direttivi di determinazione quantitativa della prestazione».

delle Regioni vengono determinati dalla legge statale, sono solitamente abbastanza limitati e consistono principalmente nella possibilità di definire agevolazioni e di modificare le aliquote entro un determinato intervallo.

Le compartecipazioni e il fondo perequativo sono le ulteriori fonti di finanziamento che la Costituzione attribuisce alle Regioni.

Le prime costituiscono la vera novità della riforma costituzionale del Titolo V in virtù del fatto che le imposte statali non saranno più ripartite in maniera neutrale, così come prevedeva la precedente versione dell’art. 119 Cost., bensì in ragione del territorio. Quindi, le Regioni dove viene prodotta la maggiore ricchezza andranno a beneficiare di un quantitativo superiore di risorse finanziarie.

Il fondo perequativo, invece, opererà secondo modalità diametralmente opposte rispetto alle compartecipazioni. La distribuzione di tale fondo, difatti, dovrà avvenire in ragione della minore capacità fiscale per abitante e, conseguentemente, sarà maggiore ove minore è la ricchezza prodotta dal territorio.

Questo strumento, pertanto, dovrebbe andare ad attenuare le differenze generate dalla diseguale distribuzione sul territorio nazionale della ricchezza.

Benché il D. Lgs. n. 68/201118 prevedesse che le compartecipazioni su base territoriale all’IVA e all’IRPEF, così come il fondo perequativo, trovassero attuazione dal 2013, questo non è accaduto in quanto, al momento, non sono ancora stati adottati i provvedimenti legislativi necessari affinché questo nuovo sistema entrasse in funzionamento.

17 Come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 193/2007, del 14 giugno, «l’attribuzione

alle Regioni, in tutto o in parte, del gettito di imposte erariali, non ne altera la natura erariale, sicché compete allo Stato (e non alla Regione, se non nei limiti previsti dalla legge statale) la disciplina del tributo». In dottrina, su questo tema, si veda A.GIOVANNINI, Il diritto tributario per principi, cit., p. 337, il quale afferma che «il gettito […] non può essere considerato come elemento di qualificazione del tributo. Non solo perché, per il diritto, è conseguenza delle singole obbligazioni tributarie, rappresentazione pecuniaria, cioè, del loro adempimento; ma anche perché la sua destinazione a favore delle regioni, come dato aggregato di finanza pubblica nazionale e come strumento di finanziamento, in tanto si realizza in quanto è lo Stato a volerla».

18 D. Lgs. n. 68/2001 del 6 maggio, in tema di “disposizioni in materia di autonomia di entrata delle

regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”.

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