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3.2.3 Le limitazioni all’esercizio della competenza fiscale contenute nella direttiva comunitaria

3.2.3.1. - L’impossibilità di introdurre tributi che abbiano il carattere di imposta sul volume d’affari

L’art. 401 della direttiva 2006/112/CE62 contiene un divieto assoluto63, il quale, di conseguenza, vincola l’autonomia tributaria sia degli Stati membri che delle autonomie locali e riguarda l’impossibilità di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa che abbiano il carattere di imposta sul volume d'affari. Poiché le varie direttive emanate nel corso degli anni in questo ambito non hanno mai definito questa espressione, la nozione, e di conseguenza le caratteristiche, di imposta che abbia il carattere dell’iva è stata nel tempo precisata dalla Corte di Giustizia. La Corte, evidenziando che questa norma si propone di impedire che il funzionamento dell’iva venga compromesso da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravino sulla circolazione dei beni e dei servizi e che colpiscano le operazioni commerciali in modo analogo a quello che caratterizza l’iva, ha affermato la necessità di interpretare questa disposizione alla luce della sua finalità64. Quindi, benché la direttiva non vieti in via assoluta l’esistenza di regimi fiscali in concorrenza con l’iva, questi, per essere compatibili con il diritto europeo, non devono assumerne la stessa natura65. È rilevante precisare che la Corte, in più pronunce66, ha sancito che, affinché

62 Art. 401 della direttiva 2006/112/CEE:

«Ferme restando le altre disposizioni comunitarie, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d'affari, sempreché tale imposta, diritto o tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».

63 Il divieto presente nell’art. 401 della direttiva 2006/112/CEE, è utile evidenziarlo fin da subito, viene

desunto in via indiretta.

64 Corte di giustizia, sentenza 27 novembre 1985, causa C-295/84, SA Rousseau Wilmot v. Organic, in

Racc., 03759, punto 16. Analogamente, si veda sentenza 3 marzo 1988, causa C-252/86, Gabriel

Bergandi v. Direttore generale delle Imposte, in Racc., 01343, punti 10 e 11.

65 Corte di giustizia, sentenza 13 luglio 1989, cause riunite C-93/88 e C-94/88, Wisselink e a. v.

Staatssecretaris van Financiën, in Racc., 02671, punti 13 e 14 e sentenza 9 marzo 2000, causa C-437/97,

Evangelischer Krankenhausverein Wien v. Abgabenberufungskommission Wien, in Racc., I-01157, punto 20.

66 Corte di giustizia, causa C-437/97, EKW e Wein & Co., punti 20 e 21 e sentenza 31 marzo 1992, causa

un tributo assuma il carattere dell’imposta sulla cifra d’affari, non è necessario che riproduca quest’ultima in tutti i suoi aspetti. Questa puntualizzazione è molto importante, poiché specifica che non sono compatibili con l’ordinamento europeo non solo quelle imposte che riproducano l’iva in tutti i suoi aspetti, ma anche quelle che, pur presentando dei tratti dissimili, ne replichino gli aspetti qualificanti.

La Corte, nel definire queste caratteristiche fondamentali dell’iva, ha ripreso in modo pedissequo il contenuto della prima direttiva67 e le ha elencate in modo puntuale prima nel caso Dansk Denkavit68 e, in seguito, nel caso Pelzl69. La Corte, nello specifico, ha affermato che i tratti salienti dell’imposta sulla cifra d’affari si identificano nel fatto che si applica in modo generalizzato a tutte le operazioni commerciali aventi ad oggetto beni o servizi, è proporzionale al prezzo di detti beni e servizi, viene riscossa ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione e, infine, si applica al valore aggiunto dei beni e dei servizi, deducendo dall'imposta dovuta per tale transazione quella già pagata in occasione dell'operazione commerciale a monte. Questi quattro elementi, come si evince dalla formulazione adoperata dalla Corte, sono comulativi70 e, quindi, qualsiasi tributo nazionale che presenti tutti questi quattro elementi non può essere ritenuto compatibile con l’ordinamento europeo.

A questo proposito, occorre specificare che, per ciò che concerne la prima caratteristica, quindi con riferimento all’insieme delle operazioni assoggettate all’imposizione, la Corte ha considerato che la generalità è mantenuta anche quando l’ambito di applicazione è più esteso71 mentre, all’opposto, questo connotato viene meno nel momento in cui il suo ambito di applicazione si riduca solo a una determinata categoria di beni72.

67 Ex art. 2 della Prima direttiva 67/227/CEE.

68 Corte di giustizia, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading v. Skatteministeriet, punto 11. 69 Corte di giustizia, sentenza 8 giugno 1999, cause riunite C-338/97, C-344/97 e C-390/97, Erna Pelzl e

al., in Racc., I-03319, punto 21.

70 Analogamente E.TRAVERSA, L’autonomie fiscale des Régions et des collectivités locales face au droit

communautaire, cit., p. 319.

71 Corte di giustizia, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading v. Skatteministeriet, punto 13. In

questa circostanza erano soggette a imposizione anche operazioni esenti ai fini iva, come i servizi bancari e assicurativi, difatti il contributo gravava su ogni attività commerciale o industriale consistente nell’effettuazione di prestazioni contro corrispettivo.

72 Cfr., Corte di giustizia, sentenza 19 marzo 1991, causa C-109/90, NV Giant v. Comune di Overijse, in

Racc., I-01385, punti 5 e 14, in tema di spettacoli e intrattenimenti pubblici; sentenza 7 maggio 1992, causa C-347/90, Aldo Bozzi v. Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore degli Avvocati e dei

Procuratori legali, in Racc., I-02947, punto 14, riguardo a un contributo che colpiva esclusivamente le prestazioni effettuate dagli avvocati e dai procuratori legali; sentenza 17 settembre 1997, causa C-347/95,

In merito al secondo requisito, il quale va esaminato congiuntamente con il quarto, ossia la proporzionalità del tributo e la sua incidenza esclusiva sul valore aggiunto, va sottolineato che il giudice lussemburghese ha sancito che non è necessario che venga riproposto il medesimo meccanismo, ritenendo compiuto il requisito anche in circostanze in cui il valore aggiunto sia, ad esempio, calcolato sul totale delle operazioni effettuate e non singolarmente73.

Per ciò che riguarda il terzo aspetto, infine, il quale riguarda la percezione della tassa a tutte le tappe del processo, quindi dalla fase produttiva a quella distributiva/commerciale, la Corte ha statuito che deve ritenersi verificato nel momento in cui l’imposta, nella sostanza, gravi sul consumatore finale74.

3.2.3.2. - La discrezionalità in capo agli Stati membri

Dal momento che l’iva è un’imposta armonizzata, come si è già avuto modo di affermare, la normativa non è unificata ma, al contrario, all’interno di un modello comune viene in ogni caso ammessa l’esistenza di determinate differenziazioni tra i diversi ordinamenti.

Le principali riguardano la possibilità di stabilire particolari esenzioni75 e, soprattutto, la facoltà di agire sulle aliquote d’imposta oltre che di definire, pressoché integralmente, accertamento e riscossione.

A questo proposito deve essere prontamente effettuata una precisazione.

Sebbene la direttiva, sia in tema di aliquote76 che in materia di esenzioni77, faccia sempre esplicito riferimento in modo esclusivo ai Paesi membri, a questo elemento

Fazenda Pública v. UCAL, in Racc., I-04911, punti 3 e 36, in tema di prodotti latticini; causa C-437/97, EKW e Wein & Co., punto 24, in tema di gelati e bevande; sentenza 19 settembre 2002, causa C-101/00,

Tulliasiamies e Siilin, in Racc., I-07487, punto 101, concernente le imposte sui veicoli a motore e sentenza 29 aprile 2004, causa C-308/01, GIL Insurance e al., in Racc., I-04777, punto 35, in materia di premi assicurativi.

73 Corte di giustizia, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading v. Skatteministeriet, punti 4 e

14.

74 Corte di giustizia, sentenza 19 febbraio 1998, causa C-318/96, SPAR Österreichische Warenhandels v.

Finanzlandesdirektion für Salzburg, in Racc., I-00785, punto 18 e cause riunite C-338/97, C-344/97 e C- 390/97, Erna Pelzl e al., punto 21.

75 Si veda, per un approfondimento sulle esenzioni in ambito iva, F.MONTANARI, Le operazioni esenti nel

prettamente letterale non deve essere dato eccessivo rilievo. Difatti, le direttive sono rivolte sempre esplicitamente e unicamente ai Paesi membri in quanto, come osservato nel primo capitolo, questi sono gli unici soggetti rilevanti dal punto di vista del diritto internazionale.

Una volta chiarito questo aspetto, ci si deve chiedere se la possibilità di prevedere aliquote ed esenzioni differenziate all’interno del medesimo Stato membro possa risultare compatibile con lo scopo della direttiva.

Passando all’analisi della normativa rilevante in tema di aliquote, dal combinato disposto degli artt. 9678 e 9779 della direttiva 2006/112/CE si ricava la necessità di stabilire un'aliquota iva normale, la quale deve essere fissata ad una percentuale non inferiore al 15%. Analogamente, in tema di aliquote ridotte, ciò che emerge dall’analisi degli artt. 9880, 9981 e 11082 della direttiva 2006/112/CE, è che agli Stati membri viene

concessa la possibilità di prevedere una o due aliquote iva ridotte, non inferiori al 5%, a meno che queste non fossero già in vigore all’inizio del 1991.

76 Artt. 96-99 e art. 110 della direttiva 2006/112/CE.

77 Si vedano, a titolo esemplificativo, il considerando n. 7 e l’allegato X della direttiva 2006/112/CE,

Parte A e Parte B.

78 Art. 96 direttiva 2006/112/CE:

«Gli Stati membri applicano un'aliquota IVA normale fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi».

79 Art. 97 direttiva 2006/112/CE:

«A decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2015 l'aliquota normale non può essere inferiore al 15%».

80 Art. 98 direttiva 2006/112/CE:

«Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.

Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell'allegato III.

Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica.

Quando applicano le aliquote ridotte previste al paragrafo 1 alle categorie relative a beni, gli Stati membri possono far ricorso alla nomenclatura combinata per delimitare con precisione la categoria in questione».

81 Art. 99 direttiva 2006/112/CE:

«Le aliquote ridotte sono fissate ad una percentuale della base imponibile che non può essere inferiore al 5%.

Ogni aliquota ridotta è fissata in misura tale che l'ammontare dell'IVA risultante dall'applicazione di questa aliquota consente normalmente di detrarre la totalità dell'imposta per la quale è accordato il diritto a detrazione a norma degli articoli da 167 a 171 e degli articoli da 173 a 177».

82 Art. 110 direttiva 2006/112/CE:

«Gli Stati membri che al 1° gennaio 1991 accordavano esenzioni con diritto a detrazione dell'IVA, pagata nella fase precedente, o applicavano aliquote ridotte inferiori al minimo prescritto dall'articolo 99 possono continuare ad applicarle.

Le esenzioni e le aliquote ridotte di cui al primo comma devono essere conformi alla legislazione comunitaria e essere state adottate per ragioni di interesse sociale ben definite e a favore dei consumatori finali».

Da un’attenta lettura dei considerando della direttiva83, poiché si vuole fare in modo che i soggetti passivi che compiano operazioni similari vengano trattati in modo equivalente84, una interpretazione finalistica della normativa oggetto di indagine sembrerebbe esigere l’applicazione delle medesime aliquote nei vari ordinamenti nazionali.

Difatti, se venisse data la possibilità di differenziare le aliquote all’interno dei singoli ordinamenti, si verrebbe a creare una frammentazione eccessiva del mercato interno, non compatibile con la finalità che si vuole conseguire, ovverosia il raggiungimento di una neutralità dell’imposta ai fini concorrenziali a livello comunitario.

Dovrebbe quindi ritenersi che le scelte discrezionali, operate nell’ambito delle facoltà concesse dalla direttiva in tema di aliquote, debbano trovare un’applicazione uniforme all’interno dei singoli territori nazionali.

Maggiori perplessità, invece, sorgono in tema di esenzioni85. In questa circostanza,

difatti, si potrebbe ritenere che queste, poiché strettamente connesse alle esigenge socio- culturali del territorio86, possano trovare una differenziazione non solo tra Stati membri ma anche all’interno degli stessi, al fine di tenere in considerazioni le diversità esistenti tra le singole autonomie locali, dal momento che la frammentazione che ne deriverebbe non sarebbe tale da compromettere la funzionalità del mercato interno.

83 Basti pensare al combinato disposto dei considerando n. 4 e 7 della direttiva 2006/112/CE. Il primo

statuisce che «la realizzazione dell'obiettivo di instaurare un mercato interno presuppone l'applicazione, negli Stati membri, di legislazioni relative alle imposte sul volume di affari che non falsino le condizioni di concorrenza e non ostacolino la libera circolazione delle merci e dei servizi. È pertanto necessario realizzare un'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sul volume di affari mediante un sistema d'imposta sul valore aggiunto (IVA), al fine di eliminare, per quanto possibile, i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza, tanto sul piano nazionale quanto sul piano comunitario», mentre il secondo afferma che «il sistema comune d'IVA dovrebbe portare, anche se le aliquote e le esenzioni non sono completamente armonizzate, ad una neutralità dell'imposta ai fini della concorrenza nel senso che, nel territorio di ciascuno Stato membro, sui beni e sui servizi di uno stesso tipo gravi lo stesso carico fiscale, a prescindere dalla lunghezza del circuito di produzione e di distribuzione».

84 Considerando n. 4, 7 e 45 della direttiva 2006/112/CE. Il considerando 45 statuisce che «gli obblighi

dei soggetti passivi dovrebbero essere, per quanto possibile, armonizzati in modo da assicurare le garanzie necessarie a una riscossione equivalente dell'imposta in tutti gli Stati membri».

85 F.MONTANARI, Le operazioni esenti nel sistema dell’iva, cit., p. 14, dove, in merito alle classificazioni

utilizzate dalla dottrina per suddividere le differenti tipologie di esenzioni, osserva che «un ulteriore criterio […] è quello tra esenzioni armonizzate e non armonizzate, particolarmente interessante per quanto concerne le potenziali asimmetrie applicative del tributo in ambito europeo». Sul punto si veda altresì J.ENGLISCH, The EU Perspective on VAT Exemptions, in R. DE LA FERIA (Ed.), VAT Exemptions:

Consequences and Design Alternatives, The Netherlands, 2013, pp. 39 ss.

86 Sulla stretta connessione tra esenzioni e aspetti socio-culturali, si veda F.MOSCHETTI-R.ZENNARO,

Agevolazioni fiscali, in Dig. disc. priv. Sez. comm., I, Torino, 1987, pp. 63 ss.; M. BASILAVECCHIA,

Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni, in Enc. Dir., Agg. V, Milano, 2001, pp. 48 ss. e S. LA ROSA,

Passando poi alla discrezionalità concessa in tema di accertamento e riscossione, in questa circostanza non ci sono incertezze sulla possibilità di attribuire competenze agli enti territoriali. A livello europeo, infatti, ci si è preoccupati di armonizzare gli elementi sostanziali dell’imposta e non quelli procedimentali, la cui disciplina è completamente rimessa alla volontà degli Stati membri.

Tutto ciò che non viene espressamente regolato dalla normativa europea, resta nella disponibilità dei Paesi dell’Unione, i quali conservano la libertà di adottare la struttura amministrativa e le regole che reputano più adeguate per il raggiungimento dello scopo prefissato, ovviamente nel rispetto dei principi generali. In questi ambiti, di conseguenza, gli Stati membri possono attribuire determinate competenze alle autonomie locali, come avviene in Germania87, secondo le modalità che ritengono più

opportune. Tutto ciò denota un riconoscimento positivo delle autonomie locali anche a livello sopranazionale nella misura in cui queste, sulla base di valutazioni specifiche rimesse ai singoli ordinamenti, vengano ritenute maggiormente idonee per svolgere in maniera più efficiente ed efficace determinate funzioni che permettono il conseguimento degli obiettivi imposti dalla direttiva, come, nel caso di specie, l’effettiva riscossione di risorse proprie dell’Unione Europea88.

87 In Germania, difatti, ai sensi dell’art. 108 III GG, le competenze in tema di accertamento e riscossione

in ambito IVA sono attribuite alle autorità fiscali dei Länder. A questo proposito si rinvia a J.BILLAU-M.

HUBER, National Report Germany, in M.LANG-P.PISTONE-J.SCHUCH-C.STARINGER (Hrsg.), EU-Tax, Wien, 2007, p. 163 e alla bibliografia ivi citata.

88 Cfr., Corte di giustizia, sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, Commissione delle Comunità europee

v. Repubblica italiana, in Racc., I-05457. In modo particolare, si vedano le Conclusioni dell’Avvocato generale E. Sharpston del 25 ottobre 2007, causa C-132/06, Commissione delle Comunità europee v.

Repubblica italiana, in Racc., I-05457, punto 40, dove viene specificato che «in virtù di tale armonizzazione, gli Stati membri sono responsabili per quanto riguarda il controllo delle dichiarazioni fiscali, della contabilità e di altri documenti utili, nonché per il calcolo e la riscossione dell’imposta dovuta. Essi godono di un certo margine di discrezionalità relativamente a come dispiegare le risorse a loro disposizione nel modo più efficace ed equo in sede di applicazione dell’imposta, quanto meno caso per caso, ma tale margine è limitato in ogni caso dall’esigenza di garantire che: i) le risorse proprie della Comunità siano effettivamente riscosse, e ii) non esistano rilevanti diversità quanto al trattamento dei soggetti passivi né all’interno di un singolo Stato membro né fra Stati membri». Sulle ricadute di questa sentenza sull’ordinamento italiano si rimanda a E.MARELLO, La Corte di giustizia censura il condono

3.2.4. - Le implicazione connesse all’autonomia tributaria degli enti

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