5.5 “che razza di piano è il tuo!”
5.6. L’assedio di Utica
A Scipione vennero spontaneamente offerte dalle città d’Italia ingenti quantità di materiali per la costruzione e l’armamento di altre 30 navi da guerra (20 quinqueremi e 10 quadriremi), che vennero varate 44 giorni dopo che il legname era stato portato dai boschi. Dopo aver fatto effettuare a Caio Lelio, con le 30 navi vecchie, un’incursione sulle coste di Ippona Regia (odierna Bona) nell’estate del 205 a.C., Scipio
prima, 80 navi onerarie cartaginesi, cariche di rifornimenti per Annibale, erano state catturate nelle acque della Sardegna dal pretore Gneo Ottavio. Scipione, raccolte circa 400 navi onerarie per il trasporto dell’esercito, salpò da LilibeoTP
503
PT, scortando il convoglio con 40
quinqueremi. Era la primavera del 204 a.C. grazie ai venti favorevoli la flotta avvistò terra il mattino seguente la sua partenza ma, a causa dei fitti banchi di nebbia, attese un’altra giornata per sbarcare, a poche miglia da Utica, Capo TP PT
all’interno del quale si trovava Cartagine.
Sull’andamento dello sbarco, avvenuto nei pressi di Capo Farina, si trova ogni tanto qualche accenno a possibili problemi incontrati nel raggiungere la spiaggia. La più antica descrizione (del II secolo a.C.) dello sbarco navale in Africa, contenuta nel seguente breve frammento della “Guerra Annibalica” di Lucio Celio Antipatro, rende, invece, l’idea di celerità e sincronismo, in linea con i canoni delle moderne operazioni anfibie: “Tutti raggiungono
contemporaneamente la terra con la flotta, sbarcano dalle navi e dalle imbar stabilito l’accampamento, innalzano le insegneTP
505
PT“.
Scipione, dopo di aver mantenuto il campo sulla costa, in collegamento con la flotta, si portò nei pressi di Utica; egli intendeva assicurarsi un’ ottima base per le successive operazioni. Raggi
Cartaginesi), che gli metteva a disposizione solo il suo coraggio e un paio di centinaia di cavalieri, ne utilizzò subito le forze per provocare a battaglia un contingente d
che Cartagine gli aveva mandato ‘a dargli il benvenuto’, sotto il comando di Annone accampatisi in un villaggio vicino Capo Farina.
Al re numida Scipione diede l’ordine di stanare dal centro abitato il nemico con continui attacchi e ritirate e di portarlo, con un costante arretramento, alla portata della cavalleria romana guidata dal console in persona. Il piano riuscì alla perfezione e m
faceva marcia indietro per poi contrattaccare, il comandante romano aggirava lo schieramento
TP
502
PT A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 86. TP
503
PT Al contrario A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 87 dice: “Di lì a
pocole forze messe insieme da Scipione sarebbero salpate da Marsala (non da Lilibeo) su 40 navi da guerra e 400 da trasporto, sulle quali il comandante si era preoccupato di stipareacqua e viveri per un mese e mezzo e cibi già cotti per 15 giorni”.
TP
504
PT Così anche A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 86. TP
505
PT Coel. Ant., VI, fragm. XLI; da “Veterum Historicorum Romanorum reliquiae”, disposuit recensuit praefatus
nemico attaccandolo di fianco e da tergo. La consueta manovra avvolgente provocò la disfatta dei punici, ¾ dei quali restarono sul campo.
ieme, essendo sopraggiunte le poderose forze del re Siface, quasi
il fiume Bagradas (odierno Megerda), stando inerte
tica, dando l’impressione di voler riprendere l’assedio.
dalle forze di Lelio unite a quelle di Massinissa .
no inermi per dare
al centro, i
ica davanti Siface e quella
a disposizione su
drubale e Siface fu ancora una volta una fuga, il primo a Cartagine, il secondo a Cirta,
orto legate insieme da funi e collegate mediante travi per facilitare il passaggio dei soldati. Questo ennesimo colpo di
Approfittando del tempo necessario ai Cartaginesi per ‘reperire’ un esercito adeguato, Scipione poteva dedicarsi all’assedio di Utica, iniziato nel 204 a.C.; ma dopo quaranta giorni di sforzi inutili, venne a sapere che Asdrubale, da lui già battuto in Spagna, nell’autunno dello stesso anno, aveva messo ins
70.000 effettivi tra fanti e cavalieri; divenne prioritario predisporsi a fronteggiare quella nuova minaccia e, pertanto tolse l’assedio a Utica e si accampò poco più ad est della città, verso Cartagine, fortificando una piccola lingua di terra che s’incuneava nel mare.
Il nemico si accampò a sette miglia presso
per tutto l’inverno, dando però in modo ai Romani di ricevere iulo vettovagliamento dalla Sicilia e nuove truppe da Roma, dove i suoi primi successi avevano messo a tacere Fabio e i suoi.
Intanto iniziarono le trattative tra i tre campi (Cartaginesi e Numidi erano in due campi diversi) attraverso le quali Scipione capì l’esatta posizione dei campi nemici.
Saputo ciò ruppe i negoziati e distaccò un contingente di 2.000 fanti, più una piccola flotta dotata di macchine d’assedio, verso U
Ma alle nove di sera il suo esercito si mosse contro l’accampamento numida il quale, essendo costituito da capanne di giunchi ricoperte da stuoie, fu facilmente incendiato. La strage fu
compiuta TP506PT
Ai Cartaginesi non andò meglio: convinti che le fiamme che vedevano svilupparsi dal campo numida fossero accidentali, credendo i Romani a Utica, si precipitaro
soccorso agli alleati; in 40.000 furono uccisi mentre Siface e Asdrubale riuscirono a fuggire con pochi armati.
Appena un mese dopo, Scipione, ancora alle prese con l’assedio di Utica, si trovò ad affrontare una nuova armata di 35.000 uomini, tra cui 4.000 mercenari celtiberi, che si accamparono sulla riva orientale del Bagradas, sotto il comando di Asdrubale e Siface, in una località detta Campi Magni.
Armato l’esercito alla leggera, Scipione raggiunse il nemico in meno di cinque giorni accampandosi sulle alture a tre miglia di distanza. Dopo due giorni di provocazioni, gli riuscì di far scendere i nemici in battaglia il cui schieramento comprendeva i Celtiberi
Numidi a sinistra e i Cartaginesi a destra.
L’attacco alle ali di Scipione, che avev a schierato la cavalleria ital
numida di fronte i Cartaginesi, indusse i rispettivi avversari ad arretrare, lasciando isolati in avanti i Celtiberi; quest’ultimi furono investiti dalle legioni romane con una manovra ancora avvolgente. Mettendo infatti da parte l’antica tradizione militare che voleva l
tre file, il console utilizzò la seconda e la terza fila non per dare il cambio alla prima ma per accerchiare il nemico. Un capolavoro tattico che costituisce assieme alla battaglia di Ilipa, la massima espressione del dux Scipio.
Nel 203 a.C., pertanto, l’assedio navale di Utica venne utilizzato da Scipione con finalità di diversione, in modo da consentire il conseguimento a sorpresa gli attacchi condotti dalle forze terrestri.
Per As
mentre Scipione occupava l’attuale Tunisi a sole 15 miglia da Cartagine.
Fu allora che Cartagine decise di richiamare Annibale, mandando, allo stesso tempo, una flotta per liberare Utica dall’assedio.
Ma ciò che le navi cartaginesi si trovarono ad affrontare non fu una flotta, ma una fortezza galleggiante le cui muraerano costituite da quattro file di navi da trasp
TP
506
genio di Scipione limitò i danni dell’attacco di un nemico largamente superiore, che riuscì solo, lanciando travi a cui erano attaccati degli uncini, a portarsi via la prima fila di imbarcazioni, sei navi in tutto, ma perdendo molti uomini a causa della superiore altezza dei ponti romani, dai quali i tiratori avevano avuto tutto l’agio di bersagliare i nemici.
L’altra brutta notizia arrivò a Cartagine dalla Numidia, quando la cattura di Siface da parte di Lelio e Massinissa, aveva portato via ai punici un prezioso alleato.
In una simile situazione, tuttavia, il console, stando a Livio, “anche se la vittoria ce l’aveva
quasi in pugno, non diceva di no alla pace perché tutte le genti avessero la prova che il
tituzione (senza nulla in cambio) di
sole tre giorni di tregua per inviare ambasciatori a Roma e ratificare la ace.
ua, Scipione, richiamato l’alleato Massinissa, mosse una serie di spedizioni ine.
na Lamta) con i suoi 24.000
alla guerra con Roma, gli aveva inviato.
volti dalla reciproca ammirazioneTP
508
PT“ i due generali
del più splendido trionfo si fosse mai vistoTP
510
PT.
popolo romano intraprendeva guerre giuste e le portava a compimento”TP
507
PT.
Ma in realtà, dietro la presunta magnanimità del vincitore, stavano condizioni di pace abbastanza dure e intollerabili: Roma pretendeva la res
prigionieri, disertori e fuggitivi; che cartagine portasse fuori i suoi eserciti dalla gallia e dall’italia; che si tenesse lontana dalla spagna e da tutte le isole tra l’Italia e l’Africa; consegnare tutte le navi da guerra tranne venti, più 500.000 moggi di grano e 300.000 d’orzo. Cartagine ebbe dal con
p
In quel frangente, a causa di una burrasca, una flotta di navi da trasporto proveniente dalla sardegna e dalla Sicilia, destinata al campo di Scipione, finì davanti a cartagine e la popolazione non aveva esitato a spingere Asdrubale ad impossessarsene.
Infranta la treg
punitive contro il territorio del Bagradas, muovendo contro Cartag Ad attenderlo Annibale, appena sbarcato a Leptis Minor (odier
veterani delle guerre in Italia, tutta gente a lui devota e forte degli scalpi di migliaia di romani, preso campo ad agrumeto (odierna Susa), era statoraggiunto dai 12.000 effettivi di Magone e da un paio di migliaia di cavalieri numidi al comando di Ticheo, un parente di Siface.
Il suo esercito fu ulteriormente accresciuto da nuove leve libiche e da qualche migliaio di acedoni che il re Filippo V, prossimo
m
Il 18 ottobre 202 a.C., “quasi tra diedero vita alla Storia.
Subito dopo la vittoria, Scipione si portò con tutta la flotta (circa 90 navi da guerra) ad effettuare una dimostrazione navale davanti al porto di Cartagine: ne uscì una nave con dieci parlamentari inviati da Annibale per richiedere la pace.
Le durissime condizioni di pace (che Annibale giudicò comunque benigne) includevano la consegna di tutte le navi da guerra, eccettuate dieci triremi, ed il divieto di muovere guerra ad alcun popolo senza il consenso dei Romani; esse vennero accettate dai Cartaginesi e ratificate agli inizi del 201 a.C.
“I Cartaginesi consegnarono le navi da guerra. […] Le navi furono per ordine di Scipione portate al largo e incendiate; secondo alcuni, erano 500 navi a remi d’ogni specie; e la improvvisa vista dell’immenso rogo fu tanto lagrimevole per i Punici quanto sarebbe stato l’incendio della stessa CartagineTP
509
PT“.
Il suo ritorno a Roma fu un’unica, ininterrotta, marcia trionfale:
“Dopo aver dato la pace al mondo, per terra e per mare, Scipione imbarcò l’esercito sulle navi e passò a lilibeo in Sicilia; da lì inviò la maggior parte dei soldati via mare, mentre egli, attraversando l’italia resa felice dalla pace non meno che dalla vittoria […] giunse a Roma, entrandovi con gli onori
TP 507 PT Liv., XXX, 16. TP 508 PT Liv., XXX, 30. TP 509 PT Liv., XXX, 43. TP 510 PT Liv., XXXIV, 45.
Lì ebbe il soprannome di Africano.
CONCLUSIONI
Prima di trarre le conclusioni, si impone una breve digressione in merito a quella linea di pensiero (serpeggiante un po’ ovunque, con prevalenza nel mondo anglosassone) secondo cui i Romani sarebbero stati del tutto privi di familiarità con il mare ed avrebbero transitoriamente superato la loro avversione solo quando costretti dagli eventi, in mancanza di qualsiasi altra alternativa, ricorrendo comunque all’esperienza di comandanti ed equipaggi
non romani, provenienti dalle ben più qualificate marinerie d’Italia e del mondo ellenico.
Innanzi tutto dovremmo chiederci come mai i Romani stessi considerarono autentici Romani il campano Nevio, l’apulo Ennio, il reatino Varrone, l’arpinate Cicerone e poi perfino i
transpadani Virgilio e Tito Livio, mentre questo moderno snobismo barbarico non sa
trattenersi dall’arricciare il naso nell’apprendere che le vele di una nave romana vennero sciolte anche da qualche marinaio proveniente da Anzio, o da Terracina, o dalle coste della
Campania Felix, predilette dai Quiriti (lo stesso ragionamento va esteso, nel periodo
dell’Impero, ai marinai provenienti da qualsiasi parte del Mediterraneo, visto che perfino gli imperatori di Roma furono, in maggior parte, di origine non italiana)TP
511
PT. Occorre poi
osservare che i comandanti delle flotte della Repubblica furono tutti Romani (trascurando, nel I secolo a.C., la “scandalosa” decisione di Verre di nominare un Siracusano al comando della flotta siciliana)TP
512
PT, ed essi non avevano alcuna propensione a delegare le funzioni di propria
propria rete di fari sulle coste mediterranee ed
dottare il parere espresso da Michel Reddé, che non esita a classificare quei
competenza; e, poiché le decisioni a livello strategico sulla gestione del potere marittimo risalivano evidentemente al massimo livello politico di Roma (ai consoli e soprattutto al Senato), dobbiamo riconoscere che l’utilizzo del mare e delle flotte era indiscutibilmente soggetto ad una volontà esclusivamente romana. Allo stesso modo, tutto romano fu l’impulso per lo sviluppo dei traffici commerciali marittimi; tipicamente romano fu il pragmatico sfruttamento di ogni possibilità di trasporto navale, così come il perfezionamento delle costruzioni navali con l’introduzione di soluzioni sofisticate ed innovative (come quelle rilevate sulle stupefacenti navi di Nemi, ed ora riscontrabili con le tecniche dell’archeologia subacquea anche su altri scafi); assolutamente romana fu l’inventiva e la concreta capacità realizzatrice di imponenti opere marittime (costruzione di grandiosi porti artificiali, scavo di canali navigabili, creazione di una vera e
oceaniche, impianto di parchi marini e di estesi complessi di vasche per l’allevamento dei pesci, ecc.); squisitamente romana fu la voglia di godere della bellezza e delle piacevolezze del mare costruendosi le ville quanto più possibile vicine alla riva, lungo le coste delle regioni più amene o nell’incantata tranquillità delle isole. Non sembra quindi sufficiente supporre che vi fosse presso i Romani solo una rassegnata accettazione di ineludibili impegni marittimi, essendovi invece l’evidenza di una profonda conoscenza dell’ambiente marittimo, di una intima confidenza con esso e di un vero e proprio amore per il mare. Detto questo, possiamo senz’altro a
pregiudizi come dei “clichés, dont la fausseté est éclatante” TP
513
PT.
Dall’esame degli aspetti navali e marittimi della storia di Roma nel periodo antecedente la prima guerra Punica, emerge con sufficiente chiarezza come i Romani avessero già da tempo costituito una piccola marina da guerra ed acquisito una discreta esperienza navale. Inoltre, essendo in possesso di una marina mercantile in rapido accrescimento e di traffici navali di rilevante interesse strategico, essi dovevano necessariamente prefiggersi l’acquisizione di una piena autosufficienza nella tutela dei propri interessi marittimi. Ma poiché questo obiettivo
TP
511
PT M.PALLOTTINO, Storia della prima Italia, Rusconi Libri, Milano 1994; pp. 190-192. TP
512
PT Cic., Act. II in Verr., V, 31-32 e 52. TP
513
PT TP
513
PT M.REDDE, Mare Nostrum: Les infrastructures, le dispositif et l’histoire de la Marine Militaire sous l’Empire Romain, cit., pp. 135-136.
non poteva essere perseguito senza incontrare l’ostilità di Cartagine, Roma doveva conquistarsi la libertà di navigazione sottraendo alla potenza navale punica la supremazia in
omani con straordinaria determinazione, a prezzo di notevolissime perdite ra 700 e 800 navi da guerra, di cui oltre 600 affondate in occasione di tempeste), e fu onseguito nell’arco un ventennio (261-241), a coronamento di un gigantesco ed indomabile pegno sul piano prettamente navale, dopo aver inflitto alla rivale cinque sconfitte navali ontro una sola subita) e la perdita di circa 530 navi da guerra (oltre 250 affondate; le altre atturate).
successivi sviluppi della storia di romana appaiono confermare anch’essi la credibilità di uella ricostruzione, risultando come la naturale continuazione della linea politica che si era rientata con decisione in direzione del mare e che aveva caparbiamente lottato per affermarsi di esso. I grandi eventi marittimi della fase dell’espansione transmarina lasciano infatti omprendere che, anche quando pressati da gravissime emergenze interne, i Romani ontinuarono a cogliere tutte le occasioni favorevoli per consolidare il proprio potere
arittimo; dopo essersi confrontati per mare con tutte le maggiori - e certamente non
missive - potenze navali dell’epoca, essi riuscirono a pervenire al dominio dell’intero editerraneo ed a creare in quel bacino un Impero dalle connotazioni genuinamente arittime.
definitiva, la prima guerra Punica, così come riusciamo per ora a ricostruirla, appare serirsi in modo del tutto armonico nel lungo cammino che portò il piccolo popolo dei Quiriti diffondere la civiltà romana su tutte le sponde del mondo allora conosciuto. Essa risulta oltre assolutamente determinante ai fini della prosecuzione di quel cammino, che sarebbe ato inconcepibile se i Romani non fossero stati in grado di affrontare i Cartaginesi e di incerli sul mare.
mare. E per ottenere tale risultato, il cui conseguimento non avrebbe potuto essere né rapido né indolore, essa doveva far compiere alla propria marina da guerra un vistosissimo salto di qualità ed impegnare ingentissime risorse.
La ricostruzione del conflitto - basata prevalentemente su Polibio, ma anche confortata dalle altre più frammentarie fonti disponibili - risulta coerente con le premesse. Il dominio del mare fu perseguito dai R (f c im (c c I q o su c c m re M m In in a in st v
te be potuto impedire agli eserciti di fanteria di passare in Asia […],
decise di scendere in mare e di risolvere la situazione per mezzo di una battaglia navale “
Polibio
(XXI, 11)
di svariate
are una profonda similitudine fra tale struttura e quella delle varie rze navali multinazionali istituite anche negli anni più recenti per fronteggiare esigenze di
questi comportavano comunque un utile risparmio finanziario), quanto quella di coinvolgere una coalizione quanto più possibile ampia nel contrastare il ‘prepotente’ di turno.
“considerando che soltanto se si fosse saldamen impadronito della supremazia marittima avreb