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La buona fede di Polibio e di Filino

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 75-78)

alla fine del VI sec a.C.

3.7. La buona fede di Polibio e di Filino

Si è accennato al fatto che Nissen avanzasse l’ipotesiTP

305

PT che il trattato del 343 a.C. e

probabilmente anche quello del 306 possano essere stati tenuti nascosti dal governo romano a causa della ‘clausola’ di reciproca non-ingerenza, sicuramente più accettabile in quello del 306 che in quello del 43 3 .

L’ipotesi di Nissen sembra inoltre avere a suo favore un numero considerevole di prove, dirette che indiretta, ed è stata, oggi, accettata da altri studiosi come O. MeltzerTP PT e M. Cary.

Essa ha turbato invece almeno uno studioso, J.L. Strachan-Davidson. Nei Prolegomena alle sue Selections from Polybius gli definisce l’ipotesi di Nissen “molto sorprendente”, “abbastanza singolare” e “bizzarra”TP

307

PT.

issen, ai suoi occhi si è macchiato di una gravissima colpa non sul piano intelle “N

regole sociali: egli con la sua impudenza, ha dimostrato “cattivo gusto” e si è reso colpevole di lesa maestà nei confronti di Roma e di Polibio accusando la prima di un errore ‘morale’ il secondo di un errore ‘intellettuale’TP

308

PT”.

M

caduto nel tranello che insidi a ogni storico, lasciandosi ingannare dal fatto che Roma, vincitrice del conflitto, abbia creato attorno a se (attraverso la storiografia e la letteratura in generale) una serie di ‘interpretazioni giustificatrici’ di ogni sua operazione e di ogni suo errore. Roma quindi deve essere moralmente al di sopra di qualunque rimprovero e ciò giustifica anche il successo di Polibio rispetto a Filino.

Tuttavia se la storiografia polibiana risente della fortuna romana chi dice che Polibio sia più

TP

303

PT Polib., I, 10. TP

304

PT E.TAUBLER, Imperium Romanum, I, cit., pp. 273-274 cerca di screditare nello stesso tempo la testimonianza

di Servio e quella di Filino, avanzando l’ipotesi che le loro affermazioni siano basate non sulla conoscenza dei termini di un trattato ignorato da Polibio, ma solo sulla deduzione, e per giunta erronea, che ambedue avevano tratto dai termini del secondo trattato polibiano. Questa ipotesi, come pure quella di T.FRANK, An Economic

History of Rome, cit., p. 689, per cui Filino aveva tratto “conclusioni avventate” dal trattato del 278 a.C. sembra

più azzardata dell’altra secondo la qualeServio e Filino si riferiscono entrambi ad un identico trattato diverso da quelli menzionati da Polibio e i cui termini essi hanno riportato correttamente. Sarebbe una singolare coincidenza se la tesi di Servio derivasse proprio dalla lettura del trattato di Filino.

TP

305

PT H.NISSEN, Die romisch-karthagischen Bundnisse, cit., p. 323. TP

306

PT O.MELTZER, cit., I, cap. 5, pp. 413-417 e n. p. 530. TP

307

PT J.L.STRACHAN-DAVIDSON, Prolegomena, Selections from Polybius, pp. 62-63. TP

308

PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 691. TP

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PT Nissen (Die romisch-karthagischen Bundnisse, cit., p. 324) ricorda che secondo la testimonianza dello stesso

Polibio, suo padre Licorta era soggetto a cadere in errore. Licorta viene infatti accusato da Polibio (XXII, 9) di aver ignorato l’intera serie dei trattati quando un’ambasceria achea fu inviata in Egitto nel 187 a.C. per rinnovare

Con ciò non si vuol mettere in dubbio la buona fedeTP

310

PT di Polibio che è invece manifesta.

“Se Polibio fosse stato un apologeta di Roma in mala fede, se egli avesse sempre saputo che veramrente roma teneva nascosto nell’armadio uno scheletro così sinistro come la clausola di reciproca non-ingerenza riportata da Filino, non avrebbre certo richiamato l’attenzione su quell’armadio scuotendone la porta. Egli avrebbe tralasciato, piuttosto di menzionare l’affermazione di Filino mentre, in realtà ha compiuto una digressione per renderla notaTP

311

PT”.

Dopo aver esposto il contenuto dei suoi tre trattati anteriori alle guerre romano-cartaginesi e he sono il primo, il secondo e l’ultimo nella serie dei cinque trattati liv

c in

iani, Polibio compie 312

ile dal

unto,

fatti una digressione al corso della sua narrazione per muovere dei rimproveri a FilinoTP PT.

“Questi sono i fatti. I [testi dei] trattati esistono ancora. Essi sono conservati su tavole bronzee nel tesoro degli edili del tempio di Giove capitolino. In questa situazione è sicuramente impossibile non stupirsi del comportamento dello storico Filino. Non lo si deve biasimare per aver ignorato i fatti. Ciò non sorprende, se si considera che fino ai giorni nostri tali fatti erano sconosciuti ai persino a quei Romani e a quei cartaginesi i cui ricordi giungevano fino al passato più remoto e il cui interesse per gli affari pubblici era vivissimo. Il problema, piuttosto è come Filino abbia avuto l’audacia di smentire apertamente i fatti e dove abbia ottenuto le sue presunte informazioni. Filino afferma che esisteva un trattato romano-cartaginese il quale obbligava Roma a non intervenire in qualsiasi parte della Sicilia e cartagine a non intervenire in qualsiasi parte d’Italia. Egli sostiene, inoltre, che Roma violò questo trattato e si rese spergiura facendo sbarcare il suo primo corpo di spedizione sul suolo siciliano. Tutto ciò filino lo afferma precisamente nel secondo libro della sua opera, malgrado non esista, né sia mai esistrita, alcuna stipulazione scritta di questo tenore. Ho giàa fatto riferimento a questo problema nel corso della mia narrazione, ma ne ho rimandato la discussione dettagliata fino a questo punto [ovvero l’inizio del racconto della guerra annibalica]. La ragione per cui ora ne ho discusso in modo particolareggiato consiste nel fatto che molti hanno ricevuto un’impressione sbagliata, assai lontana dalla verità, prendendo per buono il racconto di Filino”.

Evidentemente Polibio era convinto che la sua confutazione di Filino fosse inappellab

momento che la sua ricerca era stata condotta direttamente nel tempio di Giove capitolino, lì dove erano conservati i trattati, e dove venne lasciato libero di studiare da solo, a suo piacimento, la serie dei trattati ivi conservati. Probabilmente lo storico di Megalopoli vide personalmente i testi dei trattati dal momento che dichiara apertamente che non avrebbe potuto decifrare illatino arcaico del più antico trattato romano-punico di cui offre un riass senza ricorrere all’aiuto di persone esperteTP

313

PT. Asserisce anche che questi trattati erano venuti

alla luce solo da poco tempoTP

314

PT; Il che testimonia che probabilmente, sebbene Polibio non

arrivi a sostenerlo, l’attenzione delle autorità era stata richiamata su di essi proprio in

i trattati esistenti tra la Confederazione achea e il governo tolemaico. Dopo che Licorta e i suoi colleghi, accompagnati da un ambasciatore tolemaico, furono ritornati dall’Egitto nel Peloponneso e quando Licorta ebbe riferito, su incarico dei colleghi, che essi avevano deliberatamente rinnovato il ‘trattato di alleanza’, questi rimasero confusi quando il generale della Confederazione, Aristeno, chiese a Licorta a quale particolare trattato intendesse riferirsi. Gli ambasciatori, sia achei che tolemaici, dovettero confessare di aver agito nella convinzione che ci fosse un unico trattato acheo-tolemaico. Allora Aristeno citò i termini di una serie di trattati e fece notare che fra di essi esistevano grandi differenze.

TP

310

PT Un generoso riconoscimento all’integrità morale di Polibio è in Nissen (Die romisch-karthagischen Bundnisse, cit., p. 325). L’onestà di Polibio è messa invece sotto accusa da Taubler (E.TAUBLER, Imperium

Romanum, I, p. 274). TP

311

PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 692. TP

312

PT Polib., III, 26. TP

313

PT Polib., III, 22. Taubler (Imperium Romanum, I, cit., pp. 256-257) rileva che Polibio deve aver tradotto il testo

dei trattati dal latino, ma che egli non afferma in realtà di aver tradotto gli originali iscritti sulle tacole di bronzo. Secondo Werner (Der Beginn der romischen Republik, cit., p. 309) Polibio si servì o degli stessi documenti originali o di accurate trascrizioni.

TP

314

conseguenza delle ricerche storiche da lui condotteTP

315

PT. Se fu davvero la sua iniziativa a

mettere le autorità sulle tracce di questi testi, doveva essere statto sconvolgente per loro scoprire che ve ne era almeno uno, o addirittura due (il quarto e forse anche il terzo della enumerazione liviana) che mostravano chiaramente come nel 264 a.C. Roma si fosse resa colpevole di una flagrante violazione dei patti. E chi abbia avuto esoperienza del modo di pensare, sentire e agire dei governanti dell’Occidente moderno, quando ritengono che non sia nel pubblico interesse che la collettività venga informata su una qualche vicenda, sarà propenso a sospettare che le autorità romane abbiano permesso a Polibio di accedere solo a quei trattati che esse ritenevano non inopportuno portare a conoscenza dello storicoTP

316

PT.

Tuttavia è anche vero che se Polibio fosse stato attento, avrebbe scoperto che il trattato del

, restarono in vigore fino alla guerra punica. Bisognerebbe pertanto conoscere il

ente il solo che le autorità romane tennero nascosto a polibio. L’accordo del 306 .C. al tempo di questa grande guerra, in favore della quale Roma, ora padrona della

uniche rono disposte a far conoscere ciò che quelle romane vollero tener segreto, questo non si

278 a.C. non poteva far riferimento al secondo trattato che gli era stato presentato come immediatamente precedente. Ma forse egli ripose un’eccessiva fiducia sulle autorità romane non sospettando minimamente che la serie dei trattati che gli era stata mostrata potesse essere incompleta. Da qui anche la sicurezza dello storico nel confutare quanto detto da Filino. Polibio, infatti, non solo dischiara infatti che la clausola di recipoca non ingerenza ricordata da Filino non era registratta per iscritto, ma che addirittura non c’era mai stata. Questa era una cosa che Polibio non poteva sapereTP

317

PT. Polibio è del tutto indifeso di fronte alla seguente

osservazione di PiganiolTP

318

PT:

Ai tempi di Pirro, alcuni accordi precedenti furono rinnovati e solo una clausola fu aggiunta della quale ci fornisce il testo. Gli accordi che furono rinnovati sono quelli del 306 a.c. che, di conseguenza

trattato del 306 a.C., ovvero l’unica prova che occorrerebbe per confutare Filino ma anche, probabilm

a

Campania penetrava in Italia meridionale proprio nel momento della guerra tra Agatocle e cartagine, doveva avere uno spessore particolare. A questo punto non sarebbe del tutto inverosimile a priori che la Sicilia fu riservata interamente alla sfera d’influenza cartaginese e l’Italia a quella romana.

La lista di Polibio, pertanto non sembra essere quella completa come lo storico stesso riteneva. Da ciò si può facilmente dedurre che lo storico agrigentino probabilmente ebbe la possibilità di accedere direttamente agli archivi. Non bisogna certo far credito alle autorità cartaginesi di una scrupolosità maggiore rispetto a quelle romane. Se le autoriotà p

fu

deve necessariamente al fatto che le prime fossero in linea di principio più sincere. Ciò può essersi verificato perché in questo caso la disponibilità era, dal punto di vista cartaginese, manifestamente ‘nel pubblico interesse’. Le autorità cartaginesi dovevano essere oltremodo desiderose di vedere pubblicata da Filino la clausola di reciproca non-ingerenza, quanto lo

TP

315

PT R.WERNER, Der Beginn der romischen Republik, cit., p. 113 e p. 307 con la n. 5, accoglie l’ipotesi secondo

cui i testi erano stati consultati da Catone in rapporto ai contrasti politici intestini insorti a Roma circa la terza guerra romano-cartaginese.

TP

316

PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 693 TP

317

PT Taubler (E.TAUBLER, Imperium Romanum, I, cit., p. 272) avanza l’ipotesi che il numero delle tavole bronzee

iscritte, conservate nel tesoro dehli edili, potrebbe essere stato inferiore al numero dei trattati effettivamente conclusi, se si contano come trattati a sè stanti il documento originario e le sue versioni rivedute, come pure i semplici rinnovi dello stesso. Egli ritiene che la procedura costituzionale romana richiedesse che le versioni rivedute, aql pari del documento originale, venissero formalmente approvate e sottoposte a giuramento da parte del popolo romano, mentre i semplici rinnovi che non comportavano una revisione dei termini venivano soltanto registrati dal senato senza affrontare la spesa superflua di incidere il testo inalterato su una nuova tavola, che sarebbe stata soilo un duplicato della precedente. Ma i trattati del 343 e del 306 a.C. devono essere stati non semplici rinnovi di accordi già in vigore, ma versioni rivedute di essi, quindi secondo la stessa tesi di Taubler sarà stato necessario iscriverli entrambi su una nuova tavola.

TP

318

erano probabilmente quelle romane di assicurarsi che essa non sarebbe stata pubblicata da Polibio.

Pensare poi che Filino sia un falsario e che egli abbia inventato il trattato di sana pianta è

amento; ecd è più naturale osservare che i Romani del circolo di Polibio abbiano voluto cancellare le tracce di quel trattato anziché ritenere che i Cartaginesi lo

bbiano inventato di sana pianta.

2) perché anche presso i Romani, se i circoli vicini a Polibio negavano del tutto l’esistenza di quel trattato, viceversa queela parte della tradizione annalistica, di cui è eco nel discorso di

ll’esistenza del trattato di

ima guerra, risultava ormai pretenzioso dal momento che i

Non c’è, infatti, motivo di dubitare che Filino abbia visto egli stesso una copia del trattato, o comunque ne abbia avuto notizia precisa così come in genere si ammette per i trattati tramandati da altri storiciTP

321

PT.

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 75-78)