CAPITOLO IV ROMA E CARTAGINE
4.6. Prime vittorie navali e primi sbarchi in Africa
TP PT
assurdità di tutta evidenza per chi abbia una minima conoscenza, sia di questi, che di quelle: qualsiasi marinaio sa bene che stare a bordo, navigare, arrembare una nave nemica e combattervi sono tutte attività tipicamente navali, che richiedono un addestramento specifico oltre al necessario piede marino. La fanteria di marina - per i Romani, i classici o navali
milites, più comunemente chiamati socii navales (anche nei periodi in cui furono
obbligatoriamente reclutati fra i cittadin tr
N
direttamente, innanzi tutto con azioni di speronamento - con i d
secondo tempo, con l’arrembaggio delle navi che si riusciva ad affiancare ed a trarre a sé con il lancio di rampini (con cui si portavano le due fiancate a contatto, trattenendo poi l’altra nave in tale posizione abbordata). L’invenzione di questi rampini (harpagones o manus), attrezzi marinareschi tuttora in uso, viene fatta risalire addirittura a Pericle di AteneTP
409
PT: essi
hanno continuato ad essere utilizzati per gli arrembaggi in battaglia navale perlomeno fino al XVI secolo (Lepanto).
L’introduzione del corvo, attribuita a Caio Duilio, si prefiggeva una finalità del tutto analoga a quella dei rampini, consentendo però un efficace aggancio della nave nemica anche senza doversi preventivamente portare in posizione affiancata. Essa risultò utilissima ai Romani, poiché li mise in condizione di pote
o
La stessa esigenza dovrà poi indurre Marco Agrippa, circa due secoli e mezzo dopo, a mettere a punto l’arpax per poter agganciare a distanza le più manovriere navi dei pirati di Sesto PompeoTP
410
PT.
i
vi saltavano sopra e finivano per combattere come sulla terra ferma. È evidente che mentre i legionari romani si trovarono a combattere nelle condizioni così tradizionali la scienza dei Cartaginesi fu sorpresa e travolta dalla novità dei rostriTP
411
PT e la battaglia si concluse con un
clamorosa disfatta cartaginese.
Nel primo volume della sua “Storia generale della Marina militare”, Jack La Bolina esalta la novità del rostro
di attualità Jack dice che “ogni radicale e razionale mutamento di tattica, quando giunge
inavvertito ed inatteso, trae per conseguenza la vittoria nel campo del riformatore“.. Nella
storia marittima è continuata la vicenda fra l’arma messa lungo il fianco e quella riposta nell’estremità anteriore.
TP
408
PT Si tratta, com’è noto, di un antico luogo comune, che ancor oggi viene spesso ripetuto. In realtà, nella
lunghissima storia della marina a remi ed a vela (dall’antichità classica fino al Rinascimento, perlomeno), l’arrembaggio ha sempre costituito una fase fondamentale del combattimento navale. Esso richiedeva delle specifiche attitudini marinare, al di là delle doti occorrenti per un combattimento di fanteria terrestre.
TP 409 PT Plin., N.H., VII, 209. TP 410 PT App., B. civ., V, 118. TP 411
PT Ci si riferisce evidentemente ai “corvi” (i rostri erano già in uso da secoli): si tratta probabilmente di un refuso editoriale
Il console Caio Duilio (260) aveva assunto il comando della flotta in sostituzione del collega Gneo Cornelio Scipione, che, portatosi alle Lipari con 17 navi, era stato catturato dai Cartaginesi con un inganno. Poco prima la flotta romana aveva già riportato un primo incoraggiante successo contro i Cartaginesi al largo di capo Vaticano. Ma fu Caio Duilio a condurre vittoriosamente la flotta di Roma nella sua prima grande battaglia navale. Questa avvenne, com’è noto, nelle acque di Milazzo, contro una flotta punica di 130 navi. Lo scontro, caratterizzato dal felice sfruttamento della sorpresa costituita dalla presenza e dall’efficacia dei corvi, fu pienamente favorevole ai Romani: dopo aver tentato di portarsi all’attacco con i
ll’evento risulta peraltro comprovato dalla straordinaria serie di onori
ssi mostrarono anzi, molto chiaramente, la volontà di consolidare il proprio potere marittimo infliggendo a Cartagine ogni possibile danno: sui suoi possedimenti nelle tre
rostri, confidando nella maggiore agilità delle proprie navi, i Cartaginesi vennero frastornati dall’implacabile azione dei corvi,
“poiché da ogni parte i corvi incombevano minacciosi, di modo che inevitabilmente chi si avvicinava ne veniva attanagliato, i Cartaginesi cedettero e presero la fuga, atterriti dalla nuova esperienza, dopo aver subito la perdita di cinquanta naviTP
412
PT“.
I Cartaginesi pendettero 50 navi, delle quali 13 colate a picco, nonché 3000 uomini uccisi e 7000 prigionieri. Se la vittoria terrestre di Agrigento aveva entusiasmato il popolo romano, la vittoria di Milazzo portò questo entusiasmo al delirio. Il mito cartaginese era in frantumi. Cartagine era stata battuta sul mare, Roma aveva vinto anche sul mare. Avendo subito la perdita di una cinquantina di navi, i superstiti presero la fuga, prostrati dall’inattesa esperienzaTP
413
PT.
La vittoria navale di Milazzo, una vera e proprio “battaglia modello”TP
414
PT segnò una svolta
memorabile nella storia di Roma, che aveva raggiunto la statura di una potenza navale in grado di misurarsi con Cartagine. “Nessun’altra vittoria riuscì mai ai Romani più gradita di
questaTP
415
PT“. “I Romani, contrariamente a ogni aspettativa, potevano concepire la speranza di ottenere la supremazia per mareTP
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PT“ e pertanto, di poter competere con Cartagine in mareTP
417
PT.
L’eccezionalità de
riservata al vincitore: egli inaugurò la lunga serie dei trionfi navaliTP
418
PT dei comandanti delle
flotte romane, cerimonie che poi dovranno accompagnare tutta la fase dell’espansione transmarina di Roma; in suo onore venne anche eretta, nel Foro romano, la prima colonna
rostrata dell’Urbe, monumento che venne costantemente manutenuto dai Romani, tanto da
permanere al suo posto anche durante il periodo dell’Impero (vi sono testimonianze dirette nel II secolo d.C.TP
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PT) e far pervenire fino ai nostri giorni un’ampia parte dell’iscrizione del
basamento; a Caio Duilio venne infine accordato un altro privilegio senza precedenti - quello della scorta permanente con fiaccole e suonatori - inteso a mantenerlo circondato da un’aura trionfale per tutto il resto della sua vitaTP
420
PT.
Negli anni successivi le due flotte non compiono nulla di particolarmente importante. La storia non registra che gli scontri di Sulci e di Tindaride, mentre si preparava la grande battaglia di Ecnomo (Licata). Ma i Romani non si limitarono certo agli aspetti protocollari e celebrativi. E TP 412 PT Polyb., I, 23. TP 413 PT Polyb., I, 23. TP 414
PTA. V. VECCHJ (Jack La Bolina), Storia generale della Marina Militare, cit., p. 127. TP
415
PT Eutr., II, 20; da “Eutropio - Compendio di Storia Romana”, Michele Caroli (a cura di), Rondinella e
Loffredo Editori, Napoli, 1929.
TP
416
PT Polib., I, 24. TP
417
PT Eutr., II, 20; Polib., I, 24. TP
418
PT Liv., Per., 17; Fasti triumph., an. CDXCIII; Sil., VI, 663-664; da Silio Italico - Le Puniche, versione di
Antonio Petrucci, Istituto Editoriale Italiano, La Santa, Milano1928-VI (2 volumi).
TP
419
PT Plin., N.H., XXXIV, 20; Sil., VI, 663-664; Quintil., Inst. orat., I, 7, 12. TP
420
isole maggiori, sulla sua flotta e sul suolo d’Africa. Subito dopo la vittoria navale, infatti, essi utilizzarono la flotta per ottenere degli immediati successi nella Sicilia occidentale (ove si erano concentrate le posizioni puniche) ed effettuarono poi una spedizione navale in Sardegna
e il conferimento della prima corona navale (quella che
a grande spedizione anfibia per portare la
naria potenza
ntate da Roma furono giudicate eccessivamente dureTP PT. È noto che
ed in Corsica (259), ove sconfissero i Cartaginesi, conquistando la Corsica e la sua capitale Aleria e scalzando il nemico dalla Sardegna settentrionaleTP
421
PT.
Due anni dopo, il console Caio Attilio Regolo, con un brillante stratagemma adottato per indurre i riluttanti Cartaginesi al combattimentoTP
422
PT, ottenne nelle acque di Tindari una
parziale vittoria navale che gli vals TP423PT
dovrà poi divenire, con Varrone e soprattutto con Marco Agrippa, la più ambita delle onorificenze militari dei Romani), probabilmente più per premiare la sua irruente combattività che non per la valenza del risultato conseguito. Il predetto console, peraltro, condusse anche delle efficaci incursioni navali contro gli insediamenti punici nelle Lipari e nell’isola di MaltaTP
424
PT. Nel frattempo i Romani prepararono un
guerra in Africa.
L’imponente forza navale approntata a tale scopo affrontò la flotta nemica nell’estate del 256 al largo di EcnomoTP
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PT. Quella di Ecnomo fu la più grande delle battaglie navali mai registrate
dalla Storia, “si rimane ... colpiti dalla gravità della battaglia e dalla straordi
che entrambe le città dimostrarono col mettere in campo tanta moltitudine di uomini e di naviTP
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PT“afferma Polibio, sia per numero di navi partecipanti (680, di cui 330 navi romane),
sia per numero di uomini imbarcati (290 mila, di cui 140 mila Romani). Dopo una sosta a Messina costeggiarono sino a Capo Pachino e di qui voltarono verso Ecnomo o Licata, dove un loro esercito terrestre li attendeva. La flotta romana affrontò il combattimento pur essendo appesantita dal carico bellico necessario per lo sbarco in Africa: vi erano perfino le navi che trasportavano i cavalli, poste a rimorchio di quelle della terza squadra (costituita da quinqueremi dotate del corvo). Pertanto i due consoli romani, Marco Attilio Regolo e Lucio Manlio VulsoneTP
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PT, adottarono un dispositivo idoneo a proteggere le navi più lente e meno
manovriere.
Anche in questa battaglia, tatticamente molto più complessa di quella di Milazzo, i Romani ebbero la meglio, perdendo solo 24 navi, mentre i Cartaginesi ne persero un centinaio, di cui 64 catturate con tutti gli equipaggiTP
428
PT.
Dopo la vittoria navale di Ecnomo, Attilio Regolo condusse con successo anche il primo sbarco navale romano in Africa, impadronendosi di Clupea (odierna Kelibia) e di Tunisi, giungendo quindi a pochi chilometri dalla stessa Cartagine. Ivi restò a presidiarla Marco Attilio con 40 navi, 15.000 fanti e 500 cavalli, mentre l’altro console se ne tornò a Roma col bottino della battaglia di Ecnomo.
Avendo subito ripetute sconfitte e perduto numerose città, i Cartaginesi accettarono di intavolare delle trattative di pace, che non approdarono tuttavia alla cessazione delle ostilità
poiché le condizioni prese 429
TP
421
PT Liv., Per., 17; Flor., I, 18, 15; Val. Max., V, 1, 2; Sil., VI, 671-672; C.I.L., VI., 1287. TP
422
PT Polyaen., Strat., VIII, Caius da Gli Stratagemmi di Polieno tradotti da Lelio Carani, dalla Tipografia di Gio.
Battista Sonzogno, Milano, 1821; Polyb., I, 25.
TP
423
PT Naev., B. poen., IV, fragm. 30; D. CARRO, TLa Corona navaleT, da “Notiziario della Marina”, periodico
mensile a carattere professionale, anno XLII, n.7, Roma, 1995.
TP
424
PT Oros., IV, 8, 5. TP
425
PT Località sul promontorio della costa sud-occidentale sicula, nei pressi dell’odierna Licata. TP
426
PT Polib., I, 25.26. TP
427
PT Amilcare e Annone per i Punici. TP
428
PT Polyb., I, 25-28; Oros., IV, 8, 6. TP
429
PT Liv., Per., 17; Polyb., I, 29-31; Flor., I, 18, 17-20; Eutr., II, 21; Oros., IV, 8, 7 - 9, 1; Diod., XXIII, 11-12;
le successive operazioni terrestri si risolsero in una grave sconfitta dei Romani e nella cattura del loro celebre ed eroico comandante in capo430.
tuttavia funestata nelle acque di Camarina da un disastroso naufragio, da ui si salvarono solo 80 navi su 364TP
432
PT. dovuto soprattutto alla imperizia marinara degli
mmiragli romaniTP
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PT. I Romani non si perdettero d’animo dinanzi al disastro, ma ordinarono
la costruzione di 220 navi lunghe che furono fabbricate nello spazio di tre mesi. A Messina all’assedio di Palermo he conquistarono. Con questo tutta la costa settentrionale della Sicilia cadeva in possesso dei
osteggiare, come sempre, l’ammiraglio rdina di prendere l’alto mare da Palermo in direzione di Ostia. Altra nuova e più grande
n l Lilibeo. Questa flotta da
TP PT
La flotta romana, inviata in Africa nella successiva primavera (255) per soccorre ed evacuare le forze terrestri, conseguì il pieno successo, ottenendo nelle acque di capo Ermeo anche una brillante vittoria navale, che fruttò la cattura di ben 114 navi puniche e la dedica di una colonna rostrata sul Campidoglio in onore del console Marco Emilio PaoloTP
431
PT.
La missione venne c
a
raccolsero le 80 unità superstiti del naufragio di Camarina e mossero c
Romani. Ai Cartaginesi non restava che la zona fra Drepano e Lilibeo, cioè l’estrema punta occidentale, la più vicina, fra l’altro, a Cartagine. Nei due anni seguenti, la flotta romana (con 300 navi) venne impiegata per la presa di Palermo (254)TP
434
PT e per un’altra redditizia incursione
in Africa (253), dove per poco essendosi fatta sorprendere dalla bassa marea non rimase in secco sui bassi fondi della Sirte, altro documento dell’imperizia navale dei RomaniTP
435
PT. La
flotta riceve l’ordine di tornare a Roma, ma invece di c o
tempesta: 150 navi perdute più le onerarie. Roma attraversa una crisi di sfiducia. Tuttavia ricostruisce la sua flotta, 250 a.C., per rifornire il suo esercito che aveva stretto d’assedio il Lilibeo. Poiché l’assedio languiva, l’ammiraglio romano Publio Claudio volle tentare una diversione su Trapani, dove stazionava la flotta cartaginese. Ma qui fu battuto in modo catastrofico. I Romani perdettero 93 navi e 30.000 uomini. L’anno seguente 249 a.C., Roma riorganizza una flotta per mandare soccorsi agli assedia ti de
Siracusa per Pachino si dirige verso occidente, ma una terza tempesta la distrugge, lasciando solo due navi superstiti.
seguita da un secondo tremendo naufragio, al largo di capo Palinuro, ove vennero perse più di 150 naviTP
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PT
Il La Bolina sottolinea come tali disastri fossero dovuti, in massima parte, all’imperizia degli ammiragli, come lo stesso Jack La Bolina riconosce due pagine dopo quando dice: “il fatto
dei naufragi giganteschi è gravissimo; piuttosto che all’architettura delle poliremi, meno stabili che le triremi, io ne attribuisco la cagione alla inesperienza dei capitani e degli equipaggi nuovi”.