alla fine del VI sec a.C.
3.5. Il trattato liviano tra il 348 e il
Finora si sono presi in considerazione i primi due trattati della lista polibiana. Mostrando come egli menzioni prima del trattato del 306 due trattati (quello del 509-508 a.C., e del 348, ricordato anche da Livio e da Diodoro) resta tuttavia ancora da stabilire se lo storico di Megalopoli avesse ragione nel ritenere che la sua lista fosse ‘completa’.
q
q c
In tutti i casi in cui il secondo trattato diverg Cartagine e a svantaggio di Roma eccetto, fors m
trattati è probabilmente tale da poter essere considerato una prova ulteriore a favore della tesoi che fra i due trattati sia intercorso unh lungo e non un breve intervallo di tempoTP
255
PT. Infine
esiste un’altra prova documentata che indipendentemente dall’intervallo di tempo tra i due trattati suggerisce per il primo una datazione alta. Polibio diceTP256PT che
trattato era così arcaica, in confronto al latino in uso nai suoi tempi che perfino i più abili linguisti Romani suoi contemporanei non erano quasi in grado di interpretarne alcuni passi anche dopo averli studiati molto attentamente. Se si considera che la lingua latina cominciò ad acquistare una forma letteraria canonica so
stupirsi se al tempo in cui scriveva Polibio (ovvero un secolo dopo), la lingua del primo trattato potesse risultare di difficile interpretazione, sebbene esso risalisse a non più di 250 anni primaTP
257
PT. Anche se lo storico non lo afferma esplicitamente, dal suo resoconto si evince
tuttavia che a differenza del primo, il secondo e il terzo trattato non rappresentavano per i Romani suoi contemporanei le stesse difficoltà linguistiche. Quindi se è giusto far risalireil secondo trattato al 348 a.C., l’impliciota differenza linguistica tra il primo e il s
farebbe supporre che tra i due fosse trascorso un intervallo temporale molto ampioTP
258
PT.
TP
253
PT F.SCHACHERMEYR, Die romisch-punischen Vertage, cit., p.358. TP
254
PT A.AYMARD, Les deux premiers traités entre Rome et Carthage, cit., p. 287. i cittadini sono presumibilmente
non solo quelli di Cartagine, ma anche quelli degli stati Libi-fenici suoi alleati e degli Stati sicelioti ad essa soggetti.
TP
255
PT R.WERNER, Der Beginn der romischen Republik, cit., p. 353. TP
256
PT Polib., III, 22 : « Ma tanta differenza intercorre fra la lingua arcaica dei Romani e quella attuale che solo
specialisti esperti, dopo attento esame, riescono a stento a capirne qualcosa ».
TP
257
PT In più la città volsca di Anxur è indicata, nel primo trattato, col nome etrusco di Terracina che dunque
conduce ad epoca anteriore rispetto alla ‘volscizzazione’; i tipici arcaismi del primo trattato, su cui insisteva tanto polibio, si spiegano solko assegnando il primo trattato al 510 a:C., il secondo al 348 (non già rispettivamente al 348 e al 306 nel qul caso sarebbe incomprensibile perché mai Polibio insistesse sulla arcaicità esclusivamente del primo trattato.
TP
258
PT Questo argomento a favore di una datazione del primo trattato intorno al 509 a.C. è stato addotto da Meyer,
cit., II, p. 297 e STRACHAN-DAVIDSON, cit., Prolegomeni, p. 54. tale datazione viene accettata da WALBANK,
Il dubbio nascerebbe da un’affermazione di Livio secondo cui nel 306 a.C. il trattato tra Roma e Cartagine venne rinnovato per la terza volta259 e che il trattato del 278 a.C. era non il terzo
e non tre come credeva PolibioTP PT.
anta
truire la possibile esistenza di un trattato non
te la campagna del 343 a.C., LivioTP PT nota gli effetti psicologici che questa
presa ebbe sugli altri popoli. I Falisci avanzarono la richiesta di un a tregua con Roma, la
ia , in questo caso, il
TP PT
ma il quinto della serieTP
260
PT; ciò indicherebbe che i trattati antecedenti alla prima punica fossero
cinque 261
Fin qui la ricerca, basata sulla ricostruzione tanto della storia cartaginese che di quella romana, attraverso un lavoro di collazione, pare abbia dimostrato la precisa datazione dei due trattati finora esaminati, dimostrando come (nel caso del primo trattato) spesso, anche qualora un’unica fonte confermi l’esistenza di un dato di fatto, il quale non trovi altrett affermazione (se non addirittura confutazione) in alte autorevoli fonti, ciò non deve essere immediatamente etichettato come ‘imprecisone’ o ‘errore’ da parte dell’autore stesso.
Lo stesso metodo utilizzato riguardo Polibio, unica fonte, a quanto pare del trattato del 510/509 a.C., attraverso il quale, appoggiando la buona fede dello storico di Megalopoli, si è cercato di far luce sull’informazione da lui riportata, sarà utile adesso a proposito della notizia riportata da Livio.
Parlando, infatti del trattato del 306 a.C. l’annalista romano afferma trattasi del ‘quarto’ della serie.
I conti a quanto pare non tornerebbero: semmai il trattato in questione dovrebbe essere il terzo (secondo la tradizione polibiana) a meno che, cercando di salvare l’informazione di Livio così come fatto per Polibio, non si tenti di ricos
ricordato da alcun’altra fonte conclusosi dopo il 348 e prima, ovviamente, del 306 a.C.TP
262
PT
Dopo aver descritto il successo conseguito da Roma nel difendere la Campania dall’invasione
sannitica duran 263
im
Confederazione latina ritornò sul suo proposito di attaccarla mentre i Cartaginesi mandarono a Roma un’ambasceria per congratularsi e per offrire una corona aurea come offerta votiva al tempio di Giove capitolino. La corona pesava, secondo Livio, 25 libbre (11, 340 Kg).
Premesso che da sempre la ‘corona’ è il simbolo di una krate o
‘riconoscimento’ da parte di Cartagine di una krateia romana nell’ambito della zona campana. A questo punto ci si dovrebbe chiedere per quale motivo la città tiria si fosse scomodata neanche cinque anni dopo aver stipulato un trattato commerciale con la stessa Roma, ad offrire un così alto e gratuito riconoscimento.
TP
259
PT Liv., IX, 43: “cum Karthaginiensibus eodem anno foedus tertio renovatum”. TP
260
PT Liv., Epit., XIII: “cum Karthaginiensibus quartum foedus renovatum est”.
261 H. Last ha fatto osser
TP PT vare che livio non può aver voluto dire quello che effettivamente dice “sarebbe
probabilmente avventato, egli scrive, forzare le espressioni ‘tertio’ e ‘quarto renovatum’ a significare ‘rinnovato’ per la terza e quarta volta: esse significheranno semplicemente che un trattato venne rinnovatoi mediante accordi
Polibio. Ma resterebbe comunque valido anche se, al contrario, dovessimo identificare il trattato liviano con il primo di Polibio. In tal caso, però dovremmo supporre che il secondo trattato di Polibio fu concluso col governo romano dall’ambasceria cartaginese che portò la corona aurea in offerta a Giove capitolino nel 343 a.C.: anche in tal caso il trattato liviano del 306 a.C. mancherebbe nella serie di Polibio. In ogni caso si ha l’impressione che Diodoro sbagliasse nel ritenere che il trattato del 348 a.C. fosse stato il primo e che Polibio avesse invece ragione nel pensare che il primo trattato fosse stato concluso attorno alla data in cui egli lo pone, più alta di circa un secolo e mezzo rispetto all’altro.
TP
262
PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 683. TP
263
PT Liv., VII, 28.
che furono il terzo o il quarto in ordine di tempo, computando come primo il trattato originario” (in “CAH”, VII, 1928, p. 860). Anche se si dovesse accettare l’interpretazione di Last, il numero dei trattati nella lista di Livio resterebbe pur sempre maggiore di uno rispetto a quello di Polibio; l’assenza di un solo trattato nella serie polibiana, fra il secondo e il terzo, sarebbe del tutto sufficiente a spiegare la clausola del trattato del 278 a.C. con cui si stabiliva che dovevano esser mantenute “le clausole degli accordi esistenti”. Il trattato mancante nella serie poliziana sarà quello datato da Livioal 306 a.C., che si accetti l’una o l’altra interpretazione delle espressioni liviane, come pure l’una o l’altra delle contrastasnti identificazioni dei trattati della serie liviana con quelli della serie polibiana. Ciò risulta subito evidente se identifichiamo il trattato del 348 a.C. col secondo trattato di
Sembra, infatti, quantomeno improbabile che Cartagine abbia offerto all’Urbe una così consistente quantità d’oro in dono per averne in cambio niente altro che impalpabile
cartaginese venuta a Roma nel no è confortato dalle
TP PT
i oma aveva compiuto tutte le sue precedenti operazioni militari, per non parlare del fatto che
va osato scendere
rtaginese del
ceria inviata nel 343 a Roma, recante la corona aurea, simbolo a questo punto del
va iniziato la sua lunga marcia verso il
benevolenza.
“Se veramente venne concluso un altro trattato romano-cartaginese fra il 348 a.C. e il 306 a.C., esso deve essere stato negoziato col governo romano da questa ambasceria
343 a.C.TP
264
PT. L’indizio fornito dal racconto liviano degli avvenimenti di quell’an
rove indirette desumibili dal quadro della situazione internazionale coeva265”. p
Roma aveva dimostrato di poter sostenere l’audace sfida lanciata ai Sanniti, rispondendo all’appello di Capua quando quest’ultima le aveva chiesto protezione contro quest’ultimi. A quell’epoca i Sanniti costituivano la massima potenza dell’Italia peninsulare; la Campania, che si trovava alle porte del Sannio era, inoltre, molto al di là del raggio d’azione entro cu R
la linea di comunicazione diretta dell’esercito romano fra l’ager romanus e il Sannio era controllata da potenze ostili – i Latini, Volsci, Aurunci – che potevano aggredire l’Urbe in qualunque momento.
Ciò nonostante, Roma, ormai sempre più convinta della sua espansione, ave
in campo contro i Sanniti in una guerra la cui posta era il controllo della Campania.
Quando la prima campagna della guerra romano-sannitica che ne seguì, aveva reso la Campania, il territorio più ricco di tutta l’Italia, sotto il controllo (o quantomeno l’influenza) capitolina, nonostante fossero passati soltanto cinque anni dal trattato con Cartagine, con ogni probabilità Roma doveva essere impaziente di ottenere un riconoscimento ca
fatto che la Campania si fosse aggiunta a quei territori del Lazio i quali erano già stati riconosciuti come suoi domini; Cartagine, dal canto suo, doveva essere impaziente di assicurarsi da parte della nuova potenza egemone in Campania la garanzia che avrebbe potuto continuare a trattare affari in questo importante mercato italicoTP
266
PT.
Per questo motivo, visto il cambiamento di situazione, probabilmente tanto ai Romani quanto ai Punici conveniva rivedere gli accordi del 348 e l’occasione fu probabilmente data dall’ambas
riconoscimento punico della ‘nuova’ potenza italica capitolina.
Toynbee aggiunge a questo un parere assolutamente corretto e ragionato:
“e forse anche un riconoscimento del suo dominio [o meglio epikrateia] in Sicilia, come contro partita al riconoscimento cartaginese dei domini romani in Italia, nelle nuove e più grandi dimensioni che essi avevano ormai assunto.l’anno reale 340 a.C. in cui Roma ave
sud, rappresentò un periodo critico per l’epikrateia cartaginese in Sicilia. Intorno al 341 a.C essa era stata sconfitta sul fiume Crimiso dalle forze congiunte dei Sicelioti sotto il comando di Timoleonte”.
L’intuizione di Toynbee, secondo cui non sarebbe da escludere che Roma ormai fosse riconosciuta, dallo sguardo punico, come ‘massima potenza italica’ getterebbe più che un sospetto sul fatto che ormai le due potenze, che da lì a poco avrebbero dato vita a tre lunghissime guerre, cominciassero a riconoscere l’una il dominio dell’altra.
TP
264
PT Questa ipotesi è stata avanzata da Nissen, (Italiche Landeskunde, cit., pp. 323-325). Taubler, (E.TAUBLER, Imperium Romanum, cit., p. 272), suppone che in questa occasione fosse stato effettivamente rinnovato il
trattato, ma senza che ne fossero rivisti i termini.
TP
265
PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 683. TP
266
PT Questa considerazione è svolta da Nissen (Italiche Landeskunde, cit.) sulle orme di A.SCHAFER, Das esiste romisch-karthagische Bundniss, in “Rhein Mus”, XVI, 1861, pp. 288-290, a p. 290 Schafer, tuttavia, segue
Mommsen (oltre che in questo articolo in un altro apparso ivi, XV, 1860, pp. 396 e 488) nel datare il primo trattato romano-cartaginese al 348 a.C.
Se è vero che la tradizione attribuisce, come si vedrà nel paragrafo successivo, tale consapevolezza soltanto quarant’anni dopo, ovvero al 306 (il celebre trattato di Filino), è anche vero che tale consapevolezza fosse già chiara nel 343 a.C., quando vi erano dunque pressanti ragioni, sia sul fronte romano che su quello cartaginese, per negoziare un nuovo trattato che permettesse di prendere atto di una situazione radicalmente mutata.
ueste considerazioni depongono a favore dell’ipotesi che un nuovo trattato romano- artaginese sia stato negoziato in questo periodo e che esso sia stato forse il terzo tra quelli numerati dalla fonte cui Livio attinge quando afferma, relativamente ai trattati del 306 e del
uinto della serie.
ibio (vissuto comunque un secolo prima
268
en in Sicilia e la seconda, per converso, in Italia; ma lo storico di imile disposizione non fosse mai esistita.
rtire dalla situazione contemporaneaTP
270
PT
romano-punica dal trattato del 348 (dopo avere considerato anche nel paragrafo precedente la
Q
c e
278 a.C, che essi furono rispettivamente il quarto e il q A questo punto ci si dovrebbe chiedere come mai Pol
di Livio) non fosse a conoscenza tanto del trattato del 343 quanto, come si vedrà, di quello del 306 a.C.?
Nissen avanza l’ipotesiTP
267
PT che il documento relativo al presunto trattato del 343 a.C. (e a
questo punto anche quello del 306) possa esser stato tenuto nascosto dal governo romano come ‘segreto di stato’. La motivazione per cui il senato romano avesse agito in questo modo potrebbe essere legata che tanto nel trattato del 343 quanto (sicuramente) quello del 306, ci fosse la cosiddetta clausola di reciproca non-ingerenza; ovvero il riconoscimento del ‘dominio’ romano in Italia e di quello punico in Sicilia.
Effettivamente questa ‘clausola’ doveva comunque esser stata espressa in uno dei due trattati in questione e in termini espliciti, laddove nel trattato del 278 a.C. era stata solo riconfermata con un semplice rinvio a quello precedente. Tuttavia sembra più p obar bile cheTP PT tale
disposizione abbia fatto la sua prima comparsa nel trattato del 306 a.C., dal momento che questa è sicuramente la data più alta in cui la rivendicazione di un controllo esclusivo sull’intera Sicilia da parte di Cartagine e da parte di Roma su tutta l’Italia potevano essere legittimamente avanzate. Nel 343 a.C. né l’una né l’altra rivendicazione sarebbe rientrata in una prospettiva politica realistica. La presenza della disposizione relativa alla reciproca non- ingerenza anche in uno solo dei trattati romano-cartaginesi anteriori a quello del 278 a.C. è sufficiente, d’altronde, a spiegare perché quest’ultimo fu redatto nei termini in cui lo riassume Polibio; e il trattato del 306 a.C. è ovviamente attestato molto meglio di quello postulabile per il 343 a.C. la conclusione del trattato del 306 a.C. è, dopo tutto, menzionata esplicitamente da Livio, mentre la conclusione di un trattato del 343 a.C. si può solo inferire dalla numerazione liviana dei successivi trattati, e insieme alla notizia, sempre in Livio, di un’ambasceria cartaginese a Roma nel 343 a.C.