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La pirateria del Mediterraneo

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 152-156)

LA PIRATERIA NEL MEDITERRANEO: POMPEO E L’IMPERIUM CONTRO I PIRATI; SESTO POMPEO.

8.1. La pirateria del Mediterraneo

La pirateria era un fenomeno che in quegli anni aveva assunto proporzioni inquietanti e rischiava di creare gravi danni all’economia romana, penalizzando i suoi commerci marittimi e rendendo particola

Gli effetti della pirateria rendevano questo fenomeno particolarmente inviso al ceto dei cavalieri che dai traffici marittimi e dai commerci e gli appalti nelle regioni orientali traevano importanti profitti.

Tra le cause che avevano reso il fenomeno della pirateria così diffuso si può porre in evidenza la crescita dell’economia servile e quindi la forte domanda di schiavi che veniva proprio dalla società Romana. La riduzione in schiavitù dei prigionieri di guerra e di coloro che non erano in grado di pagare i prop

manodopera servile e quindi i pirati con le loro scorrerie sulle coste orientali, diventavano una fonte di approvvigionamento di una risorsa considerata sempre più preziosa, dando vita ad un fiorente “m

Un’altra causa era sicuramente più politica, infatti il fenomeno della pirateria veniva “alimentato” da alcuni monarchi asiatici, come ad esempio Mitridate, proprio in funzione anti Romana.

A favorire il fenomeno l’indubbia difficoltà da parte di Roma di controllare e di mantenere sicura un’area geografica sempre più estesa: un chiaro effetto negativo della sua rapida espansione nel bacino del Mediterraneo.

Roma quindi era sempre più danneggiata dai pirati e sempre di più nella società Romana

loro navi si erano spinti sulle

e subiva il clima di insicurezza generato dai pirati.

e guidata dallo stesso Cesare, il rapimento del

che la minaccia della pirateria on fosse stata definitivamente debellata.

o i evitare che potesse nuovamente non essere riconosciuto. Dopo averlo beffato ed essersi presi gioco

gare627“.

cui conosciamo il comandante in carica nel 89, il legato Aulo Postumio AlbinoTP PT, e pochi

sprazzi su qualche azione compiuta da un certo Otacilio e da altriTP

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PT - venne integrata con

cresceva l’ostilità nei confronti della pirateria e la volontà di porre fine in modo radicale a questo fenomeno. Il ceto dei cavalieri colpevolizzava l’aristocrazia per la sua palese incapacità di fronteggiare questa piaga.

Del resto i pirati si facevano sempre più intraprendenti e con le

coste della penisola italiana e addirittura nel porto di Ostia; in questo modo oltre ai pesanti danni economici, le azioni della pirateria avevano un effetto psicologico sulla popolazione dell’Urbe ch

Racconta Plutarco che “un giorno rapirono anche due pretori, Sestilio e Bellino, coi loro

vestiti di porpora e sene andarono portando via insieme con quelli anche i loro servi e i loro littoriTP

625

PT“.

Come se non bastasse, ancora il sacerdote di cheronea racconta: “anche la figlia di Antonio,

uno che aveva avuto l’onore del trionfo, fu presa mentre si recava in campagna e fu liberata a prezzo di un forte riscattoTP

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PT“.

Importante l’episodio che vide protagonista il giovane Caio Giulio Cesare, rapito e taglieggiato dai pirati. Benché la vicenda si fosse conclusa con l’annientamento della banda di fuorilegge, tramite un’azione vendicatric

giovane nobile aveva creato scalpore e quindi aveva contribuito a generare quella sensazione per cui nessun cittadino Romano poteva sentirsi al sicuro fino a

n

Che poi essa fosse particolarmente ostile nei confronti dei Romani, Plutarco racconta cosa potesse accadere a un prigioniero che osasse definirsi romano:

“Ma l’azione più violenta era questa: allorché un loro prigioniero gridava di essere romano e diceva il suo nome, essi fingendo di essere sbalorditi e di avere paura si percuotevano le cosce e si gettavano ai suoi piedi, pregandolo di perdonarli; il prigioniero prestava loro fede, vedendoli umili e supplichevoli. Poi alcuni gli mettevano le scarpe e altri gli facevano indossare la toga, con il pretest d

di lui per molto tempo, alla fine gettavano in mezzo al mare una scala e gli ordinavano di scendere e andarsene con tanti saluti; e se uno non voleva obbedire lo spingevano e lo facevano affo TP PT

Tutti i tentativi fatti dall’aristocrazia senatoria in questa direzione si erano conclusi in modo pressoché fallimentare e non avevano inciso sul fenomeno nella sua complessità.

Fu combattuta una prima guerra Piratica (102-100); è noto che Marco Antonio (l’oratore) ebbe una propria flotta che venne portata dallo Ionio in Egeo facendola transitare - per via terrestre - dall’Istmo di CorintoTP

628

PT. Infine, nella guerra Sociale (90-88), la flotta romana - di

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TP

625

PT Plut., Pomp., 8; per l’episodio cfr. Cic., de imp. Cn. Pompei, 62, 32; App., Mithr., 93. TP

626

PT Plut., Pomp., 9: si tratta di Antonia, figlia di M. Antonio, pretore nel 102, quando ricevette l’incarico di

combattere i pirati in Cilicia e come proconsole della regione tenne questo comando fino al 100; fra il 10 e il 29 dicembre di quell’anno pare celerbrasse il trionfo per i suoi successi. Fu anche console nel 99 e morì sotto Mario. Al rapimento di Plutarco accenna anche Cic., De imp. Cn. Pompei, 12, 33, in maniera più indeterminata, ma con la precisazione che esso avvenne nei pressi di Miseno.

TP

627

PT Plut., Pomp., 11-13. TP

628

PT C.I.L., I, 2662, da “Remains of Old Latin”, newly edited and translated by E. H. Warmington, M.A.,

F.R.Hist.S., in four volumes, IV - Archaic Inscriptions, William Heinemann Ltd. - Harvard University Press, London - Cambridge, Massachussets, 1953.

TP

629

PT Liv., Per., 75; da “Tito Livio - Storie, Libri XLI-XLV e Frammenti” (op. cit.). TP

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qualche unità proveniente dalla provincia romana d’Asia e da alcune città marittime alleate: due triremi da Eraclea ponticaTP

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PT, alcune navi da SmirneTP

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PT ed altre tre navi provenienti da

Clazomene (nel golfo di Smirne), Mileto e Caristo (Eubea)TP

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PT. Tirando le somme, ci sembra

ragionevole desumere, dai pur scarni elementi di cui disponiamo, che nel periodo considerato

la

tava solamente un’attenuante

isodi più inquietanti, quando un’intera

lebe, interessata alla sicurezza, e dagli equites, interessati agli affari delle

inferto il colpo mortale agli schiavi che avevano seguito Spartaco nella

d un uomo ormai troppo potente e che godeva di una tale ascendente sul popolo romano.

le attività navali di Roma continuarono ad essere caratterizzate da una convincente vitalità. Contro i pirati provò nel 78 a.C., il governatore della Cilicia Publio Servilio Vazia, e ad onor del vero aveva ottenuto anche dei discreti successi, al punto da conquistarsi il titolo di Isaurico per aver sottomesso gli Isauri, ma realisticamente non aveva debellato la pirateria. I pirati eliminati da una parte ricomparivano da un’altra e per sconfiggerli sarebbe stato necessaria un’azione congiunta e coordinata di tutti i governatori della zona oppure creazione di un supergovernatore del Mediterraneo con un incarico esteso ben focalizzato. Nel 74 a.C. un tentativo era stato fatto con Marco Antonio (figlio d’arte, suo padre nel 102 a.C. aveva ottenuto alcuni successi contro i pirati della Cilicia), a cui era stato concesso un imperium di 3 anni, ma la sua azione aveva forse creato più danni dei pirati stessi. Dopo alcuni discutibili successi su piccole flotte che battevano le costa della Liguria e della Spagna, si recò nel Peloponneso dove si distinse più per i saccheggi per le effettive azioni contro i pirati. Ma il peggio doveva ancora dimostrarlo e lo fece quando tentò di assalire Creta, rea di favoreggiamento nei confronti dei pirati a cui forniva approdi sicuri e strategici: Marco Antonio fu sconfitto e dovette accettare una pace umiliante che il Senato di Roma si rifiutò di accettare. A Marco Antonio anche la beffa di essere definito dai suoi concittadini, il Cretico, in ricordo delle sua totale disfatta. Certo Marco Antonio, quando aveva iniziato la sua avventura non disponeva di grandi mezzi, ma questo rappresen

per un uomo che aveva dimostrato sul campo tutti i suoi limiti.

L’aristocrazia aveva tirato un sospiro di sollievo quando nel 73 a.C., uno dei suoi esponenti di spicco e cioè Lucio Licinio Lucullo, aveva riportato importanti successi nella lotta contro Mitridate. In qualità di governatore della Cilicia aveva riportato l’ordine in una regione che rappresentava il cuore della pirateria. Aveva messo sotto pressione anche Tigrane, che il quel momento controllava la Cilicia Piana, e in effetti le scorribande dei pirati si erano ridotte in modo consistente. Ma quando nel 69 a.C., Lucullo, con l’intenzione di conquistare l’Armenia, si era spinto nell’interno, lasciando sguarnite le coste, il fenomeno della pirateria era ripreso fiorente. E in quel periodo era avvenuto uno degli ep

flotta era stata sequestrata dai pirati nel porto di Ostia.

La disillusione provocata da Lucullo, aveva fornito il colpo mortale all’arisotcrazia, sempre più incalzata dalla p

province orientali.

La volontà di ricorrere all’uomo forte a cui concedere un imperium senza limiti per una battaglia radicale, era diventata preponderante nel popolo Quirita che non aveva dubbi su chi fosse il campione che avrebbe liberato i mari dalla piaga dei pirati. Quell’uomo era il cavaliere Cneo Pompeo Magno, l’uomo che aveva sconfitto prima Lepido, poi Quinto Sertorio e che aveva

sua epica avventura.

Bisognava però superare l’ostilità dell’aristocrazia che, nonostante fosse certa che Pompeo avrebbe saputo raggiungere l’obiettivo, era spaventata dall’idea di conferire eccessivi poteri militari a

TP

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PT Memn., XV, 29, da “Fozio - Biblioteca”, tradotta dal cavaliere Giuseppe Compnoni e ridotta a più comodo

uso degli studiosi, per Giovanni Silvestri, Milano, 1836 (2 volumi)

TP

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PT Tac., Ann., IV, 56, da “Cornelio Tacito - Annali”, testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta

Barrile, Zanichelli Editore, Bologna, 1973-74 (3 volumi).

TP

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I pirati erano già stati incontrati in occasione delle guerre mitridatiche, quando i corsari provenienti dalla Cilicia avevano collaborato con il re del Ponto rendendo la vita difficile ai proconsoli romani.

I pirati ormai erano diventati una vera e propria calamità, tanto da rendere rischiosa qualunque traversata, anche di piccolo cabotaggio: diversi celebri Romani erano finiti nelle loro mani, da Giulio Cesare a Clodio. Davanti a Ostia un’intera flotta romana era stata distrutta e la stessa via Appia era ritenuta insicura. I pirati erano efficienti, organizzati e numerosi; potevano contare su una fitta rete di basi navali con magazzini e rifornimenti, mentre i rematori, incatenati ai rispettivi banchi, li garantivano da, tentativi di ‘abbandono della nave’.

Nel Mediterraneo, con il declino della potenza navale di Rodi, l’inerzia dell’Egitto e l’estinzione dell’impero siriano, nessuno era in grado di opporsi alle loro razzie, che peraltro costituivano la base del reclutamento degli schiavi, ai cui mercati affluivano per primi gli stessi Romani.

Plutarco dice di loro:

“Durante le guerre civili, quando i Romani presero a farsi la guerra gli uni contro gli altri alle poirte di Roma, il mare, lasciato senza sorveglianza, cominciò ad attirare e a spingere i pirati sempre più lontano, tanto che si misero ad attaccare non solo le imbarcazioni, ma anche le isole e le città costiere […]. In più luoghi vi erano approdi sicuri per navi corsare, posti fortificati atti a dare segnalazioni, squadre d’assalto che non solo per il valore degli equipaggi, la capacità dei timonieri, la rapidità e la leggerezza delle imbarcazioni, erano particolarmente adatte al loro compito, ma offendevano per l’eccesso della magnificenza più di quanto non destassero timore. Le prue dorate, i tappeti di porpora e i remi d’argento davano l’impressione che le loro malefatte li riempissero d’orgoglio e soddisfazione. Su tutte le spiagge non vi erano che musiche di flauti e di strumenti a corda e scene di ubriachezza; i rapimenti di personaggi illustri e i riscatti di prigionieri presi alle città suonavano oltraggio alla potenza romana. Le navi dei pirati erano più di mille e le città di cui s’impadronirono più di 400TP

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PT“.

Non meno efficace appare Appiano:

“I pirati, poiché a causa della guerra avevano perduto i mezzi di sussistenza e la patria, caduti nell’incertezza più completa, sfruttavano il mare anziché la terra. Essi navigavano in squadre, dapprima su brigantini ed emiole, poi su biremi e trireme, sotto il comando di capi pirati, simili a generali in guerra. Si gettavano sulle città prive di mura, altre le saccheggiavano dopo averne scalzate e abbattute le mura o averle prese con l’assedio. Portavano nei loro ripari navali gli uomini più ricchi per farli riscattare […]. Avevano poi forti, acropoli, isole deserte e ancoraggi un po’ ovunque, ma ritenevano loro basi principali di partenza quelle presso la Cilicia, che era accidentata e priva di porti e aveva grandi cime montuoseTP

635

PT“.

Essi costituivano una piccola società, la quale aveva un proprio modus vivendi e addirittura, una propria religioneTP

636

PT.

Tentativi per estirpare la piaga ne erano stati fatti, in verità, e fin dal principio del secolo. La creazione della provincia della Cilicia non aveva impedito, però, che si continuassero a costituire delle solide basi di ricovero per la pirateria a ridosso della catena del Tauro, che rimaneva al di fuori dell’effettivo controllo romano. A partire dal 75 a.C., tuttavia, con il TP 634 PT Plut., Pomp., 24. TP 635 PT App., Mitr., 92. TP 636

PT Plut., Pomp., 7: “in Olimpo compirono dei sacrifici estranei al rito e praticarono culti misterici, tra i quali

quello di Mitra, rivelato per la prima volta da loro, si è conservato fino ai nostri giorni”. Ma essi, erano anche intolleranti verso gli altri culti; Plut., Pomp., 6: “Dei templi prima inviolabili e inaccessibili assalirono e distrussero quelli di claro, Didima, Samotracia, il tempio della dea ctonia ad Ermione, quello di Asclepio a Epidauro, quelli di poseidone all’Istmo, al Tenato, a Calauria, quelli di Apollo ad Azio e a Leucade, quelli di Era a Samo, ad Argo e a Capo Lacinio”.

progressivo aumento del prezzo del grano, sempre più difficile da far pervenire alla capitale via mare, Roma intese fare sul serio; si inaugurò così una serie di comandi speciali che culminò nel fallimento di Marco Antonio, il quale si andò a impelagare in una guerra contro Creta – se non un covo di pirati certamente un punto di riferimento importante per la pirateria – che dovette essere conclusa da un altro Metello, detto Cretico in ragione del suo Trionfo, modesto nelle proporzioni del conflitto, ma non nella durata, determinata da un assedio triennale all’isola.

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 152-156)