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Deterioramento delle relazioni tra Roma e Cartagine

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 90-92)

CAPITOLO IV ROMA E CARTAGINE

4.4. Deterioramento delle relazioni tra Roma e Cartagine

Il severo impegno a cui Roma venne sottoposta nel corso della guerra contro Taranto - soprattutto a causa dell’apparente invincibilità delle forze di Pirro sbarcate in Italia - venne accompagnato da profonde mutazioni nelle sue relazioni con Cartagine.

Nelle fasi iniziali del conflitto, i Cartaginesi provarono a sedurre i Romani con un gesto di apparente amicizia, presentandosi inaspettatamente davanti ad Ostia (nel 282) con una poderosa flotta (120-130 navi) che essi rendevano disponibile per sostenere le operazioni romane. Si trattava evidentemente di un tentativo di ingerenza nella guerra che si stava svolgendo in Italia, con gravi difficoltà per i Romani sul fronte terrestre, e che avrebbe compo

scacchiere marittimo. Il Senato, fedele all’intransigente costume dei Romani nei momenti di massimo pericolo, respinse l’offerta dei Cartaginesi rendendo noto al loro ammiraglio Magone che Roma non aveva l’abitudine di intraprendere delle guerre che non fosse in grado di combattere con le proprie forzeTP

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PT. Va osservato che il Senato non disse di non aver

bisogno del sostegno navale, ma di avere forze sufficienti per tutte le necessità belliche, lasciando intendere che le pur modeste forze navali disponibili fossero comunque in grado di far fronte alle prevedibili esigenze (controllo delle fasce marittime costiere e concorso alle operazioni terrestri).

Tre anni dopo, perdurando ancora quella stessa guerra, venne comunque ratificato il terzo

trattato navale fra Roma e Cartagine: esso prevedeva una reciproca assistenza in caso di

necessità belliche, attribuendo ai Cartaginesi l’oner

l’obbligo di fornire il sostegno eventualmente necessario alle operazioni navali romane. Nessuna delle forme di assistenza contemplate da quel documento venne tuttavia richiesta dai Romani per tutto il prosieguo della guerra contro Pirro. Quest’ultimo, finalmente sconfitto dal console Curio Dentato nel 275, lasciò definitivamente l’Italia.

I Romani poterono così concentrare la propria azione contro Taranto, continuando sempre ad astenersi dal richiedere qualsiasi aiuto ai Cartaginesi. Ma furono costoro a decidere autonomamente di rientrare in scena, sul finire di quella guerra, con un cla

inutile, ribaltone: nel 272, infatti, mentre la città di Taranto - ormai stremata - stava per capitolare, essi inviarono la propria flotta in aiuto agli assediatiTP

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PT. Anche se tale iniziativa

TP 380 PT Theophr., H.P., V, 8. TP 381

PT Liv., Per., 11; Val. Max., I, 8, 2. TP

382

PT Liv., Per., 11-12; Dio. C., I-XXXIV, fragm,. 145; App., Samn., 7; Dionis. Hal., XIX, 4-6; Plut., Pyrr,.13. TP

383

PT Val. Max., III, 7, 10; Iustin., XVIII, 2. TP

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doveva dimostrarsi ininfluente sull’esito della guerra, essa costituì comunque un plateale gesto di ostilità contro Roma, aggravato dalla violazione del trattato di mutua assistenza sottoscritto solo sette anni prima. Si trattò, per i Cartaginesi, di un passo falso, visto che

i […] nella possibilità di minacciare ogni parte d’Italia387“.

aveva privato di qualsiasi redibilità quel mutuo sostegno navale previsto dal Trattato, i Romani dovevano ecessariamente prefiggersi il conseguimento dell’autosufficienza nella tutela dei propri

teressi marittimi. Ma poiché questo obiettivo non poteva essere perseguito senza incontrare solo per la Sicilia, ma nche per il mare

Per effettuare lo sbarco in Sicilia e per il successivo sostegno a favore delle operazioni a terra, i Romani avevano bisogno di una flotta di dimensioni certamente più ampie di quelle

risultò inefficace; ma quel passo era coerente con la logica che aveva animato l’interesse punico verso il conflitto in Italia: sfruttare i momenti di maggiore difficoltà di uno dei contendenti per tentare di aggiogarlo, avvalendosi del proprio strapotere nel campo marittimo; non essendovi riusciti con i Romani (né con la prima generosa offerta della flotta, né con le attraenti clausole del trattato navale), essi avevano tentato in extremis con Taranto, nel convincimento che gli aiuti recati dalla flotta avrebbero scongiurato la capitolazione della città.

Conclusa la guerra Tarantina, Roma si trovò incontrastata egemone sull’intera Penisola. Essa aveva già da tempo iniziato a pensare in termini di potere marittimo, costituendo la sua prima marina da guerra e provvedendo, con le navi rostrate di cui si era dotata, ad estendere il proprio controllo sul mare ai fini della sicurezza delle coste tirreniche e della crescente flotta mercantile utilizzata. A quel punto, le sue accresciute responsabilità nei confronti di tutte le popolazioni d’Italia resero inevitabile il confronto con la potenza navale punica, giacché questa manteneva l’assoluta capacità di condizionare a suo piacimento il libero svolgimento dei traffici marittimi di vitale interesse per i rifornimenti e per l’economia della stessa Roma e delle altre marinerie della Penisola. Inoltre, la grave slealtà commessa dai Cartaginesi stava facendo germinare, presso i Romani, quella diffidenza per la malafede punica che dovrà più tardi determinare l’irriducibile rancore di CatoneTP

385

PT.

Quando i Mamertini, nel 268, richiesero l’aiuto degli alleati Romani in difesa di Messina, minacciata dai Siracusani e dai Cartaginesi, il Senato fu estremamente cauto prima di aderire alla richiesta: da un lato, data l’importanza strategica della Sicilia ai fini delle esigenze economiche e di sicurezza di Roma e dell’Italia, non poteva lasciare che Cartagine completasse il proprio insediamento in quell’isola, da cui avrebbe potuto minacciare l’intera PenisolaTP

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PT; d’altra parte era ben consapevole delle difficoltà dell’impresa, visto che si

trattava di sfidare la maggiore potenza marittima esistente nel Mediterraneo.

Dopo ulteriori quattro anni (264 a.C.) i Romani si risolsero ad intervenire in difesa degli alleati di Messina, tenendo ben presente l’importanza strategica della Sicilia ai fini delle proprie esigenze di sicurezza: essi vedevano

“come i Cartaginesi […] fossero padroni di tutte le isole dei mari Sardo e Tirreno: temevano che, se avessero posto piede anche in Sicilia, i Cartaginesi sarebbero divenuti vicini troppo potenti e

pericolos TP PT

Queste considerazioni si ricollegavano direttamente all’altra motivazione dell’intervento di Roma, cioè “l’aiuto che i Cartaginesi avevano dato ai TarantiniTP

388

PT“, in violazione del

Trattato navale: avendo sperimentato la malafede punica, che c

n in

l’ostilità di Cartagine, Roma doveva combattere quella guerra, non a

TP

385

PT Cato., Orig., IV, fragm. 9. TP 386 PT Polib., I, 10. TP 387 PT Polib., I, 10. TP 388

PT Amp., XLVI; da Memoriale di Lucio Ampelio, con emendazioni, traduzione e note di Pietro Canal, dalla Tip.

raggiungibili con le sole navi - da guerra ed onerarie – in possesso della Città; essi fecero quindi quello che normalmente facevano per le forze terrestri: integrarono la propria flotta con

“delle navi da cinquanta remi e delle triremiTP

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PT“ rese disponibili dalle città alleate, con

prevalenza, naturalmente, di quelle con maggiori capacità ed esperienze marittime, come Napoli e Taranto.

Venne comunque deciso di costituire una flotta radunando, oltre alle navi da guerra romane, tutto il naviglio utilizzabile che potesse essere prontamente reperito presso le altre marinerie

ampania e la Magna Grecia; il terzo a Rimini, per i porti adriatici), precisa ch’essi erano

o a, interdire l’Adriatico ad eventuali nuove flotte provenienti dall’Epiro, 391

d’Italia. A tale compito vennero preposti dodici provveditori della flotta, detti questori

classici (magistratura istituita nel 267)TP

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PT. Mommsen, nel riferire la posizione assegnata a tre

dei predetti provveditori (il primo ad Ostia, per il porto di Roma; il secondo a Cales, per la C

incaricati di sorvegliare le coste e di radunare ed organizzare una marina da guerra per difenderle; ed aggiunge che, con tale provvedimento, il Senato dimostrò la volontà di acquisire piena libertà e potenza sui mari, porre tutte le marinerie d’Italia sotto il pieno controllo di R m

affrancarsi dalla supremazia cartagineseTP PT. Anche se egli non cita le fonti da cui ha tratto i

predetti dati, i provvedimenti parzialmente delineati appaiono bene attagliarsi alle principali esigenze marittime di Roma in previsione del conflitto con Cartagine, Va comunque precisato che l’insieme delle navi radunate ed immesse nella nuova organizzazione doveva essere utilizzato non solo per la protezione delle coste, ma anche per costituire la flotta di inviare in Sicilia.

Pertanto, tre anni dopo la quaestio mamertina (264), Roma annunciò il proprio intervento in difesa degli alleati di Messina, tenuto conto che il trattato bilaterale con Cartagine era decaduto, essendo stato infranto dalla parte punica con l’aiuto recato ai TarantiniTP

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PT. Le

predisposizioni navali essenziali erano ormai state messe a punto.

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 90-92)