LA SECONDA GUERRA PUNICA
5.2. La Seconda Guerra Punica
Nell’intervallo tra la prima e la seconda guerra punica i Romani spazzano via i presidi cartaginesi dalla Sardegna e dalla Corsica, muovendo guerra a Teuta, regina degli Illiri, e stendendo il loro dominio su tutto il medio e basso Adriatico, spingono i loro presidi dalla Lunigiana sino al golfo di Genova, soggiogando, con una guerriglia, i Liguri, e finalmente muovono la guerra contro i Galli che si estendevano nella valle del Po, da Rimini ai piedi
TP
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PT Polib., I, 88 e II, 27; App., Lib., 5. TP 463 PT Eutr., III, 1. TP 464 PT Liv., XXI, 63. TP 465 PT Polib., II, 8-12.
romane già concentrate a Rimini indusse i Galli a ritirarsi costeggiando il Tirreno, da Orbetello in su. Ma a Talamone incontrarono l’esercito dei legionari romani che discendeva
re tutta la valle del Po, eccettuato il Piemonte, e per spingere ad
seconda guerra che essi ebbero
, “il potere marittimo ebbe un
tutto delle proprie flotte per
Tiberio Sempronio, raggiunse a Lilibeo la flotta vittoriosa, con cui si recò bito ad occupare l’isola di Malta, catturandovi la guarnigione cartaginese; rientrato a
da Pisa. La battaglia si impegnò violentissima. I Galli furono sconfitti in pieno, perdettero quarantamila uomini e lasciarono diecimila prigionieri. Di lì a poco Flaminio invase la valle Padana e varcò il Po. C’erano voluti ventitré anni di guerra per conquistare la Sicilia, ne bastarono quattro per prende
oriente il confine terrestre sino alle Alpi Giulie, il che voleva dire avere anche il possesso dell’Alto Adriatico. Presa dai Romani la Sardegna Cartagine mosse ad estendere il suo dominio nella penisola Iberica.
Con la ‘rottura’ del Trattato dell’Ebro iniziava così la II guerra Punica, in cui i Romani dimostrarono di aver perfettamente messo a punto i principi basilari della gestione del potere
marittimo. Infatti, se nella prima guerra contro Cartagine i Romani erano riusciti, a
coronamento di un gigantesco ed indomabile impegno sul piano prettamente navale, a strappare ai Punici la supremazia marittima, fu nella
l’occasione di avvalersi del potere marittimo per contenere, contrastare e finalmente eliminare la tremenda minaccia recata, per impulso di Annibale, dalla città rivale.
Non è certamente casuale che le riflessioni del Mahan abbiano inizialmente preso a riferimento proprio le operazioni delle forze marittime di Roma nel corso della seconda guerra Punica. Lo stesso Mahan riconobbe che, nella storia di Roma
peso ed un’importanza strategica che ha ricevuto scarso riconoscimento”; per quanto
concerne, in particolare, “la sua influenza sulla seconda guerra punica, ... le notizie che ci
restano sono sufficienti per autorizzare l’affermazione che esso fu un fattore determinanteTP
466
PT“.
Ma la migliore e più diretta riprova della capacità romana di dominio del mare venne fornita dal secondo confronto bellico con Cartagine. Fin dall’inizio della guerra, mentre Annibale procedeva dalla Spagna verso l’Italia seguendo la via terrestre - la sola consentitagli dalla presenza navale di Roma -, le forze romane, erano così suddivise fra i due consoli: 60 quinqueremi ed un esercito a Publio Cornelio Scipione (padre dell’Africano) per intercettare le linee di comunicazioni fra Spagna ed Italia; 160 quinqueremi e delle forze terrestri a Tiberio Sempronio per la guerra a sud, nell’area marittima compresa fra la Sicilia e l’Africa, i quali si mossero con grande dinamismo, avvalendosi soprat
intercettare le linee di comunicazioni fra l’Africa e l’Italia e fra la Spagna e l’ItaliaTP
467
PT.
Il primo provò prima ad intercettare Annibale portandosi con propria la flotta alle foci del Rodano. Ma, poiché il Cartaginese lo aveva preceduto, navigò fino a Genova ove sbarcò con l’esercito, lasciando il comando della flotta al fratello Gneo Cornelio Scipione, che avrebbe dovuto portarla in Spagna.
Prima ancora che l’altro console, Tiberio Sempronio, raggiungesse la flotta in Sicilia, i Cartaginesi avevano già avviato delle incursioni navali contro l’Isola, con una flotta di trentacinque quinqueremi. Ad essa si oppose il pretore Marco Emilio, che assunse il comando della flotta dislocata nel porto di Lilibeo e catturò sette navi puniche con 1700 uomini; “la flotta “romana rientrò illesa nel porto, avendo avuta una nave speronata, ma che anch’essa
tornò da sé solaTP
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PT“. Mentre le operazioni navali romane si avviavano con la benaugurante
vittoria navale di Lilibeo, Annibale infliggeva la prima sconfitta (sul Ticino) alle legioni romane, comandate dal console Publio Cornelio Scipione.
L’altro console, su
TP
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PT A.T.MAHAN, L’influenza del Potere Marittimo sulla Storia, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma,
1994 (titolo originale: The influence of Sea Power upon History; traduzione dall’inglese di Antonio Flamigni), p. 20. TP 467 PT Liv., XXI, 49-50. TP 468 PT Liv., XXI, 49-50.
Lilibeo ed avendo poi appreso della progressione di Annibale in Italia, imbarcò l’esercito e si portò con le navi lungo l’Adriatico fino a Rimini; sbarcate le truppe, marciò contro Annibale, venendo tuttavia sconfitto in battaglia terrestre (sul Trebbia).
meno, giugno 217 a.C.) e, un anno opo, il quarto e più disastroso rovescio (Canne, 2 agosto 216).
Dall’esame dei primi due anni di guerra, colpisce lo stridente contrasto fra la grande sicurezza con cui i Romani si mossero sul mare e le crescenti difficoltà incontrate sul terreno, nella loro stessa Italia, di fronte all’apparente invincibilità dell’esercito condotto da Annibale. Si disse mani, in quella contingenza, fu tutta nel temporeggiare: detto così, otrebbe sembrare una miope tattica dilatoria, dettata dal timore; si trattò invece - la Storia lo onsapevole di chi sa guardare lontano e, confidando nei tempi nghi della strategia, opera le sue scelte basandosi estensivamente sul potere marittimo.
riscossa
Annibale aveva lasciato il fratello Asdrubale – con forze terrestri e navali – in Spagna, che doveva costituire la principale riserva logistica per le forze terrestri cartaginesi in Italia. Data l’importanza strategica di tale ruolo, i Romani, nonostante le gravi difficoltà arrecate loro dall’esercito di Annibale in Italia, continuarono ad attribuire un’elevata priorità alle operazioni nella penisola iberica, a cui essi potevano agevolmente accedere avvalendosi della loro libertà di movimenti sul mare. Nella primavera 217 a.C., Gneo Cornelio Scipione, portatosi alla foce dell’Ebro con 35 navi, vi sconfisse la flotta di Asdrubale, di cui catturò non meno di venticinque navi (su 40). Dopo la vittoria navale dell’Ebro e la conquista di tutto quel tratto della costa iberica, la flotta romana saccheggiò anche l’isola di Ibiza, tenuta dai Cartaginesi, traendone una grande quantità di bottino. Le operazioni romane in Spagna proseguirono anche nei cinque anni successivi, sotto il comando dei due Scipioni (Gneo Cornelio Scipione ed il fratello Publio, che si era ricongiunto).
In quel secondo anno di guerra, il console Gneo Servilio Gemino, con 120 quinqueremi, saccheggiò l’isola di Menige (odierna Gerba), riscosse un tributo dall’isola di Cercina (Kerkennah) e si impossessò dell’isola di Pantelleria. Sul fronte italiano, le legioni romane subirono da Annibale la terza tremenda sconfitta (Trasi
d
che la salvezza dei Ro p
dimostra - della scelta serena e c lu
Questo consentì a Roma di ribaltare una situazione che appariva irrimediabilmente compromessa:
“quando, invasa, calpestata […] e desolata da battaglie sanguinose, parve sul punto di giacere prostrata, l’indispensabile possesso del mare la sollevò e le fornì l’occasione della
vincitriceTP
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PT“.
Nel grandioso scenario del conflitto, il Senato seppe scegliere le proprie mosse con estrema lungimiranza, e ciò avvenne su di una scacchiera costituita da una grande pluralità di teatri con esigenze operative contemporanee: penisole italiana, iberica e balcanica, acque della Sicilia, della Sardegna e del nord-Africa; coste e territorio della Sicilia e della stessa Cartagine.
Nella penisola italiana, fin dopo la battaglia di Canne, Annibale tentò in tutti i modi di impadronirsi di una città marittima, sperando di potervi ricevere dei rifornimenti da Cartagine: provò con Napoli (216 a.C.), poi con Cuma (215), quindi con Pozzuoli e con Taranto (214), ma non ebbe successo, poiché i Romani impiegarono le loro migliori energie per evitare ch’egli giungesse al mare. Più tardi, in seguito ad una congiura interna, la città di Taranto aprì le porte al Cartaginese (212), che non riuscì comunque né ad espugnarne la rocca (ove il presidio di Marco Livio Salinatore venne periodicamente rifornito dalla flottiglia romana di Reggio), né a sfruttarne il porto per i suoi collegamenti con l’Africa o con la Spagna (vi fu solo, nell’estate 211, una breve sosta inconcludente di una flotta punica proveniente dalla Sicilia), fino a quando i Romani ripresero la città (209).
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namento
g il fratello a Leontini, che divenne così la testa di ponte dei
Tuttavia, Marcello marciò subito contro la città, che attaccò su due fronti assieme ad Appio Claudio, cui aveva ordinato di procedere dalla parte opposta. La resistenza fu spazzata via al primo assalto, ma Ippocrate e Epidice furono lesti a darsi alla fuga prima che iniziassero le rappresaglie dei romani, che portarono alla tortura e alla decapitazione di 2000 filocartaginesi.