ROMA DOPO LA DISTRUZIONE DI CARTAGINE: GUERRE MITRIDATICHE, SILLA; LUCULLO, POMPEO
7.1. La crisi istituzionale del I secolo
Con la distruzione di Cartagine, i Romani ottennero, si, la rimozione della più temibile minaccia alla loro sicurezza ed al loro predominio sul mare, ma essi si sarebbero anche privati del più credibile e pressante incentivo a salvaguardare l’integrità delle proprie capacità belliche: è questa la tesi di alcuni apprezzati storici antichi (sopra tutti Sallustio), che imputarono alla stessa causa l’insorgere degli egoismi e della corruzione. Fra i commentatori moderni, quei pochi che si sono soffermati sulle vicende navali del I secolo a.C. hanno voluto estendere quella tesi, sostenendo che Roma avrebbe addirittura rinunciato a mantenere delle proprie flotte, vanificando la già acquisita supremazia marittima. Purtroppo la ricostruzione storica di svariati e
poco ci dicono sugli avvenimenti di cui trattano e che nulla potrebbero comunque dirci su tutto il resto. Pertanto, al fine di trovare qualche risposta soddisfacente, occorre considerare le peculiarità politiche e militari di quel periodo storico, gli indizi navali presenti nei testi pervenutici e la coerenza dei grandi eventi marittimi che hanno portato Roma all’assoluto
dominio dei mari.
In quel periodo storico, Roma venne investita da una “crisi istituzionale” la cui origine non va ricercata, come inevitabilmente fecero i contemporanei, nell’affievolimento dei tradizionali valori morali, nel dilagare della corruzione e nel prevalere degli interessi di fazione su quelli dello Stato; presso qualsiasi società, questi aspetti sono presenti - in maggiore o minore misura - in tutte le epoche, e si riflettono nelle tristezze della cronaca quotidiana. Quella crisi non fu altro che una inevitabile febbre della crescenza, poiché Roma era passata dal controllo problematico di solo una parte della Penisola italiana alle proiezioni oltremare in Spagna, in Africa, nella penisola balcanica, sulle coste asiatiche dell’Egeo e su tutte le principali isole bagnate dai mari che circondano l’Italia. Vi erano inoltre degli interi regni che stavano passando sotto il suo dominio, essendo stati lasciati in eredità al popolo romano dai rispettivi sovrani (Pergamo nel 133 a.C., Cirenaica nel 96 e Bitinia nel 74). L’ammirevole struttura
organizzativa della Repubblica non era stata concepita per gestire gli interessi di un Impero in via di costituzione ed in continua espansione, né poteva più tutelarli in modo adeguato. Sul piano politico, le lotte senza esclusione di colpi fra Mario e Silla, Pompeo e Cesare, Antonio e Ottaviano, ancorché alimentate da motivate ambizioni dei contendenti, non furono altro che gli effetti perversi della necessaria ricerca di un più rispondente assetto istituzionale, ricerca che giunse a compimento con la costruzione del nuovo ordinamento del principato augusteo. Sotto il profilo militare, quelle lotte determinarono non pochi scompensi, aggravati dalla natura non permanente che ebbero le forze armate (ivi incluse, beninteso, quelle marittime) per tutto il periodo della Repubblica: le flotte, come le legioni, venivano allestite ogni volta che se ne verificava l’esigenza; al termine di quell’esigenza gli equipaggi (come le legioni) venivano congedati; e per ricostituirli occorreva ricominciare tutto daccapo. Questo spiega che, se le contese politiche interne non consentivano di far approvare in tempo utile la
na diversa considerazione deve essere riservata
onsiderare che
uppe: la rilevanza delle
collegamento, l’avvicendamento ed il sostegno logistico delle forze.
costituzione di una flotta, si rischiava di doverne fare a meno (come accadde a Silla agli inizi della prima guerra Mitridatica), e di dover fare affidamento sulle sole navi recuperate dagli
alleati (come fece Lucullo, per conto di Silla), da affiancare poi alle navi romane che nel
frattempo si facevano costruire (come fecero Silla nell’inverno 86-85 e Lucullo in quello 73- 72).
Quando si parla di navi alleate, peraltro, occorre ricordare che una loro presenza minoritaria in tutte le flotte di Roma era del tutto normale (com’era normale l’analoga presenza di reparti
alleati nelle legioni). Va infine notato che u
alle navi costruite ed equipaggiate nelle provincie (soprattutto in Sicilia e nelle provincie d’Africa e d’Asia), che erano poste a tutti gli effetti sotto la sovranità di Roma: poiché quelle navi erano di proprietà dello Stato romano e tenuto anche conto del carattere spiccatamente cosmopolita del nascente Impero, sarebbe illogico, oltre che anacronistico, c
quelle fossero navi alleate anziché romane.
Per quanto concerne gli “indizi navali” reperibili nei vari frammenti, limitandoci al periodo fra il termine della guerra Numantina e l’inizio della I guerra Mitridatica, che è quello meno documentato, troviamo innanzi tutto la guerra Balearica (123-122) in cui Quinto Cecilio Metello con la sua flotta rimosse la piaga della pirateria dalle isole BaleariTP
548
PT.
Successivamente, nell’intero periodo della guerra Giugurtina (111-105) i Romani mantennero oltremare un esercito di oltre 40 mila uominiTP
549
PT, più volte avvicendato e sempre supportato
logisticamente dalle navi romane, che assicurarono anche il collegamento con le acque della Tripolitania (ove Leptis Magna aveva richiesto la protezione di RomaTP
550
PT): oltre a svariate
centinaia di navi onerarie, vi deve certamente essere stata una flotta di navi da guerra, commisurata con le esigenze di sicurezza e con il rango consolare dei vari comandanti in capo avvicendatisi in Africa. Subito dopo, nella guerra Cimbrica (104-101), una flotta - citata da Furio AnziateTP
551
PT - venne utilizzata per il sostegno logistico delle tr
esigenze navali è dimostrata dal fatto che Mario ebbe bisogno di scavare un canale navigabile (la celebre Fossa MarianaTP
552
PT) per consentire alle navi un transito in sicurezza evitando le
secche delle bocche del Rodano. In quegli stessi anni, nelle guerre contro i Lusitani (108-94) vi fu certamente la necessità di una cospicua componente navale per il trasporto, il
TP
548
PT Strab., III, 5, 1; da Strabone, Geografia - Iberia e Gallia, Libri III e IV, introduzione, traduzione e note di
Francesco Trotta, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1996.
TP
549
PT Oros., V, 15, 6; da Orosio - Le Storie contro i pani, Adolf Lippoldm (a cura di), Arnoldo Mondadori Editore,
Fondazione Lorenzo Valla, 1976 (2 volumi).
TP
550
PT Sall., B.I., LXXVII; da “Caio Sallustio Crispo, La congiura di Catilina - La guerra Giugurtina - Orazioni e
Lettere”, testo latino e traduzione in italiano di Giuseppe Lipparini, Zanichelli Editore, Bologna, 1979.
TP
551
PT Gell., XVIII, 11; da “Aulo Gellio - Notti Attiche”, traduzione e note di Luigi Rusca, Biblioteca Universale
Rizzoli, Milano, 1992 (2 volumi).
TP
552
Questa presenza navale romana in acque oceaniche (probabilmente con base a Cadice) è anche dimostrata dal fatto che al pretore Quinto Servilio Cepione (108) venne attribuita la costruzione di un grande faroTP
553
PT nei pressi della foce del Beti (odierno Guadalquivir), mentre
al proconsole Publio Licinio Crasso (96-93) venne addirittura attribuita una navig
554 azione da
adice alle isole CassiteridiTP PT (odierne Scilly, a sud-ovest della Cornovaglia), ricche di
agno e di piombo. Ancora nello stesso periodo, nella guerra Tracica (103-71) l’esigenza avale fu implicita nella collocazione oltremare dell’area di operazioni; la particolare ferocia
rra romane.
principali città costiere del Ponto; nel suo trionfo a Roma, fece sfilare 110 avi da guerra rostrate catturate al nemico. Nel frattempo, Gneo Pompeo Magno, investito del
C st n
attribuita ai Traci dovrebbe aver reso irrinunciabile l’uso di navi da gue