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La prima e la seconda guerra macedonica

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 123-125)

DALLE GUERRE MACEDONICHE ALLA TERZA GUERRA PUNICA

6.1. La prima e la seconda guerra macedonica

Dopo la caduta di Cartagine, diventato il Mediterraneo un lago romano, la storia militare marittima di Roma non ha pagine di grande rilievo.

Subito dopo il termine della seconda guerra Punica, Roma si trovò coinvolta in due altri conflitti sviluppatisi, in successione, nell’area del mare Egeo. In entrambi i casi, i Romani intervennero in difesa delle città libere della Grecia contro le mire espansionistiche di due ambiziosi sovrani del mondo ellenistico: Filippo V, re di Macedonia (II guerra Macedonica: 200-197 a.C.), e Antioco IV il Grande, re di Siria (guerra Siriaca: 191-189). In entrambi i casi, inoltre, i Romani associarono alle proprie operazioni marittime le forze

nazioni alleate, fra le quali ebbero un ruolo nettamente preminente le due nazioni che erano in possesso delle maggiori capacità navali in quell’area: Rodi ed il regno di Pergamo. Pertanto, nella maggior parte delle azioni che si svolsero nelle acque dell’Egeo, operò una forza navale

multinazionale costituita dalla flotta romana (da 50 a 70 quinqueremi), dalla flotta regia di

Pergamo (24 quinqueremi) e dalla flotta rodia (20-22 navi coperte); alla flotta romana erano normalmente aggregate svariate unità minori rese disponibili dalle marinerie italiche e da altre città marittime alleate. Il nucleo più consistente di questa forza navale fu sempre costituito, occorre sottolinearlo, dalle navi di Roma; coerentemente, il comando supremo delle operazioni navali venne sempre detenuto dal comandante della flotta romana. Insomma, sarebbe difficile non rilev

fo

sicurezza correlate con le crisi internazionali. E se vi era similitudine nella struttura, vi fu anche similitudine nelle finalità prevalentemente politiche (più che militari) di queste aggregazioni: i Romani non avvertivano tanto l’esigenza di ottenere dei rinforzi (anche se

Il coinvolgimento di Roma in quel teatro era scaturito dalla minaccia posta dal potenziamento della flotta macedone e dalle richieste di aiuto pervenute dagli Ateniesi, direttamente

inacciati d’invasione dai Macedoni. Nel 200 a.C., pertanto, il console Publio Sulpicio Galba

decideremo a farlo ora, dopo aver cacciato dall’Italia Annibale, dopo aver sconfitto i

onsole Manio Acilio Glabrione, mentre la flotta venne data al pretore Caio Livio Salinatore.

quella di Antioco, comandata da Polissenida, nella battaglia navale di orico (porto a nord della penisola Eritrea). Polissenida, “quando vide che era nettamente

essere totalmente escluso dal ominio del mareTP PT“. Poi, visto che il nuovo console Lucio Cornelio Scipione (che era

accompagnato da suo fratello Publio, l’Africano) si prefiggeva di affrontarlo in Asia minore, Antioco,

m

dovette innanzi tutto convincere il popolo (che pareva piuttosto restio) ad approvare la spedizione nell’Ellade. Ed egli fece leva su di una tesi essenzialmente marittima, sostenendo - come diremmo oggi - l’opportunità di un tempestivo controllo delle aree di crisi oltremare, in modo da evitare l’estensione del conflitto e le conseguenti ripercussioni sugli interessi e sulla sicurezza nazionale. Poiché tale criterio era già stato felicemente adottato nella prima guerra Macedonica, con l’invio della flotta di Marco Valerio Levino nelle acque elleniche, egli ricordò che quello stesso

“Filippo che si era già accordato con Annibale, per mezzo di legati e di lettere, per fare uno sbarco in Italia, non poté muoversi dalla Macedonia perché gli fu mandato contro con una flotta Levino che gli portava la guerra in casa. E quello che si fece allora, quando avevamo in Italia un nemico come Annibale, non ci

Cartaginesi?TP

514

PT“.

In questo nuovo conflitto, la flotta romana, dopo aver efficacemente concorso alla difesa di Atene e delle città costiere dell’Attica (Pireo, Eleusi e Megara) dagli attacchi macedoni, aggregò le navi di Pergamo e di Rodi, con cui effettuò delle operazioni congiunte nel mare Macedonico (Egeo settentrionale) ed assicurò la presa di diverse città costiere. Il ruolo delle forze navali di quella coalizione era soprattutto quello di esercitare una dissuasione nei confronti della flotta macedone (che prese il mare, infatti, solo in qualche sporadica occasione) e di effettuare operazioni in costa a sostegno ed integrazione delle operazioni terrestri. Al termine del conflitto, le condizioni di pace imposte al re macedone riflessero la volontà del Senato di acquisire il controllo dei tre punti chiave della Grecia (i porti di Demetriade, Calcide e Corinto), prevedendo anche la consegna di tutte le navi da guerra

coperte, ad eccezione di cinque e della nave regia (troppo grande e difficilmente

manovrabile).

Cinque anni dopo la pace fra i Romani e Filippo (192 a.C.), Antioco, con 100 navi da guerra e 200 da trasporto, sbarcò in forze a Demetriade, avviando così la sua offensiva contro la Grecia. L’anno dopo, Roma diede inizio alle operazioni contro Antioco, che si riportò presto ad Efeso, sul litorale asiatico. Il comando della nuova missione oltremare venne assegnato al c

Con tale comandante, la flotta romana giunse sulla sponda asiatica verso l’autunno 191 a.C., e continuò ad operare in quelle acque fino alla resa del re Antioco. Dopo aver aggregato le navi del re di Pergamo (ma non quelle di Rodi, che erano in ritardo), la flotta comandata da Caio Livio si scontrò con

C

inferiore quanto a valore dei combattenti, spiegate le vele di trinchetto si lasciò andare a fuga disordinataTP

515

PT“, riuscendo a riparare nel porto di Efeso. Nell’inseguimento, la flotta romana

gli affondò dieci unità e ne catturò tredici con i relativi equipaggi. La sola perdita subita dalla parte dei Romani fu quella di una nave alleata. Nel successivo inverno 191-190, Antioco si impegnò soprattutto a potenziare la sua flotta, “non volendo

516 d TP 514 PT Liv., XXXI, 5-7. TP 515 PT Liv., XXXVI, 45. TP 516 PT Liv., XXXVII, 8.

“considerando che soltanto se si fosse saldamente impadronito della supremazia marittima avrebbe potuto impedire agli eserciti di fanteria di passare in Asia e avrebbe allontanato definitivamente la guerra da quel territorio, decise di scendere in mare e di risolvere la situazione per mezzo di una

attaglia navaleTP

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PT“.

Antioco, tificato nel 188 a.C., privavano il re della sua flotta, salvo pochissime unità a cui era munque vietato allontanarsi dalle acque costiere della sponda orientale del Mediterraneo di Antioco (50 navi da guerra Patara, da Quinto Fabio Labeone, comandante della otta romana. A testimonianza della vittoria navale di Mionneso, venne eretto nel Campo

sacro di Roma) in cui traspare con evidenza l’importanza ella vittoria navale di Mionneso, che fu determinante per la sconfitta del re Antioco, nonché

i Romani furono nuovamente impegnati contro i Macedoni (III guerra

TP PT

b

L’occasione si presentò nell’estate 190 a.C., nelle acque a sud della penisola Eritrea, nella grande battaglia navale di Mionneso in cui si scontrarono la flotta comandata da Lucio Emilio Regillo (80 navi, di cui una cinquantina di Roma e 22 di Rodi) e quella comandata da Polissenida (89 navi): la flotta siriaca perse 42 navi (di cui 13 catturate, le altre affondate o incendiate), mentre due sole unità vennero perse dai Romani.

“Antioco ne fu atterrito: e poiché, privo di ogni dominio sui mari, non s’illudeva di poter difendere posizioni lontane, richiamò le forze che presidiavano Lisimachia affinché non fossero sopraffatte dai RomaniTP

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PT“.

Lo sbarco navale in Asia venne quindi effettuato con unità delle flotte di Roma, di Pergamo e di Rodi; esso avvenne in assenza di qualsiasi contrasto da parte delle superstiti navi di Antioco. Poco dopo il re di Siria, sconfitto anche sul terreno (Magnesia), accettò le condizioni

i pace presentate dal console. Le clausole marittime del trattato di pace con d

ra co

(costa siriaca e palestinese). In quello stesso anno, la flotta

coperte) venne distrutta con il fuoco, a

fl

Marzio il tempio dei “Lari marinari” - protettori della Flotta - dedicato nel 179 a.C., sul cui portale venne affissa una lapide con un’iscrizioneTP

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PT (che si volle anche riprodurre sul tempio

di Giove Capitolino, l’edificio più d

la fierezza dei Romani per l’ulteriore riprova della loro superiorità marittima.

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