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6.4 “egli è il solo che ha senno; gli altri sono ombre che vagano TP

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 129-134)

PT

“.

Data l’accanita resistenza opposta dai Punici, le operazioni protrattesi nei primi due anni (149-148) non ebbero risultati apprezzabili. Pertanto, nei comizi per l’elezione dei successivi consoli, il popolo candidò Publio Cornelio Scipione EmilianoTP

536

PT.

Scipione Emiliano, proclamato console, salpò da Roma nella primavera del 147 a.C.: non appena giunto nelle acque africane, recò immediato soccorso, con le proprie navi, a Lucio Ostilio Mancino, il comandante della flotta dell’anno precedente, che s

di estrema precarietà dopo aver effettuato uno sbarco temerario in un punto isolato delle fortificazioni a mare della città di Cartagine, presso il sobborgo di Megara.

I Punici, appostatisi sulle alture ch so

apparvero le navi di Scipione, rapide spaventevolmente e piene di soldati da ogni parteTP

537

PT“.

Scipione Emiliano iniziò quindi le proprie operazioni attaccando la parte della città chiamata

TP

534

PT ‘La città fu per altro oggetto di un saccheggio che indispose gli abitanti della regione nei confronti deio

Romani’; A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 107.

TP

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PT Si tratta di un verso dell’Odissea pronunciato da Catone al momento dell’elezione alla suprema magistratura

di Scipione Emiliano.

TP

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PT Figlio di Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Perseo, che lo aveva dato in adozione al figlio di Scipione

l’Africano; questi si era infatti già distinto come legato in Spna nel 151 (guerra Celtiberica) e come tribuno militare, come visto, in Africa nel 149 (primo anno della terza guerra Punica). Tuttavia nel 148, Scipione aveva solo l’età per concorrere alla carica di edile curule.

TP

537

e tagliando l’accesso terrestre alla penisola su cui si trovava Cartagine, mediante lo scavo di un duplice fossato per tutta la larghezza dell’istmo. Nel contempo, le navi della sua flotta enivano mantenute in pendolamento davanti alla città per la prosecuzione del blocco navale;

i in cui soffiava un ento molto teso dal mare, riuscivano occasionalmente a forzare il blocco, portando limitate

e delle navi per il trasporto e la

errati, affinché non fossero dissipati dai flutti. Era

ldati, e ordinò che ogni

ale, da tempo richiamato nei pressi della città, accampato sull’Istmo tra il Lago di

o ai Romani di approfittare delle magre difese che Asdrubale aveva lasciato al suo

, ebbe tutto l’agio di oter allestire una lunga linea di fortificazioni, come detto, che andava dalle alture di Sebkhet

ezzo una torre, resa più alta da impalcature nee sopra le quali i romani potevano osservare una vasta zona all’interno della cinta

alle città

L’episodio confermava che la secolare lotta tra le due città non poteva risolversi che con la distruzione totale dell’una o dell’altraTP

540

PT“.

v

ciononostante, alcune veloci navicelle a vela, approfittando dei period v

quantità di cibo che venivano distribuite ai soldati scelti di Asdrubale.

Scipione decise allora di bloccare fisicamente l’entrata del porto: facendo lavorare lacremente i suoi soldati a terra, ed avvalendosi certament

a

posa in acqua dei grandi massi, egli

“tirò nel mare un argine lungo, cominciandolo da quel tratto che, posto tra la laguna ed il mare, si chiama “lingua”, continuandolo nell’alto mare ed indirizzandolo fin sopra l’entrata. Faceva poi contenere quell’argine con dei macigni grandi e s

questo argine largo ventiquattro piedi [~7,1 metri] in superficie, e quadruplo alla baseTP

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PT“.

I primi mesi del 147 furono impegnati al riassetto ‘morale’ delle legioni.

“Appiano racconta che Scipione apostrofò i suoi come predoni e non come so

qual volta si suonasse l’adunata, chi era abbastanza lontano da non sentire il suono della tromba era da ritenere passato al nemico e come nemico andava trattatoTP

539

PT

In primavera, più che altro per saggiare lo stato di combattività dell’esercito, il console lasciò un nuovo attacco contro il sobborgo di Megara, avvalendosi di una torre contigua alle mura, che permise agli assedianti di raggiungere gli spalti, scendere all’interno e aprire una breccia tra le mura in cui confluirono 4.000 legionari.

Ma Adrub

Tunisi e il mare, si precipitò all’interno delle mura costringendo il console a ritirarsi.

Tuttavia, quell’attacco, apparentemente fallimentare produsse un effetto largamente positivo permettend

campo, per occuparlo, costringendo il generale punico a restare in città. Libero ormai dalle scorrerie di Asdrubale, il console, in soli venti giorni p

er-Ariana al Lago di Tunisi (ora occupato dalle legioni) scongiurando, finalmente, ogni approvvigionamento dei cartaginesi via terra; si trattava di un lungoi campo trincerato rettangolare costituito da quattro fosse lungo i rispettivi lati, tre dei quali muniti di palizzata e uno, quello verso la città, di un muro con in m

lig muraria.

Scipione aveva così ottenuto in pooco tempo ciò che invano avevano tentato nel corso di due anni i quattro consoli che lo avevano preceduto, sprecando le forse in inutili assedi

limitrofe.

Non a caso gli abitanti di Cartagine, in cui militavano ben 30.000 armati, si sentirono perduti e Asdrubale, per obbligarli a lottare fino allo stremo

“fece portare i prigionieri romani sugli spalti: torturati, scorticati, mutilati e impiccati davanti agli occhi dei loro commilitoni, i disgraziati rimasti ancora vivi furono, infine, fatti precipitare dalle mura.

TP

538

PT App., Lib., 121. TP

539

PT A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 108. TP

540

Restava da rendere efficace anche il blocco via mare e, a tal fine, Scipione ordinò ai suoi uomini di costruire un argine di pietra tra Kherredine e il porto più esterno, per chiudere

alleate. La battaglia, estremamente accanita, rimase

te non

stiti dei Cartaginesi non tentarono più alcuna sortita, mentre la flotta romana

di terra, ma no0nostante i suoi fossero riusciti ad aprire una

uovo tentativo portò all’incendio della fortificazione punicache

ancora una volta avevano cambiato ‘bandiera’) non fossero stati bersagliati dai

Quindi, prima di procedere all’assalto finale, si mosse con la flotta per eliminare, in collaborazione con dei reparti terrestri, ogni residuo supporto esterno alla resistenza di Cartagine. Egli prese così la città di NeferiTP

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PT, dopo aver sconfitto la guarnigione che, da quei

luoghi, inviava viveri a Cartagine.

l’imboccatura a quest’ultimo, dalla quale continuavano a entrare gli aiuti per la città.

Ritenendo inattuabile l’impresa, i difensori si limitarono a deridere i soldati impegnati nei lavori; ma quando dopo due mesi di attività ininterrotta i punici si resero conto che l’entrata al porto era effettivamente in procinto di essere bloccata, tentarono il tutto per tutto.

Avendo ancora, in quel periodo, il controllo di tutta l’area del duplice porto, mercantile e militare (Cotone), essi lavorarono occultamente per poter riattivare l’accesso al mare, scavando un’altra bocca che doveva aprirsi verso levante; allo stesso tempo e con altrettanta segretezza, utilizzando tutto il materiale ancora disponibile nei loro arsenali, costruirono centoventi navi da guerra coperte nell’arco di due mesiTP

541

PT.

Tre giorni dopo l’apertura della nuova bocca del porto, questa nuova flotta uscì a confrontarsi con quella romana. Iniziò così la battaglia navale di Cartagine (147 a.C.), che fu l’ultima combattuta da una flotta punica. L’intento dei Cartaginesi era quello di infliggere ai Romani danni tali da costringerli a rimuovere - o perlomeno alleggerire significativamente - il blocco navale. Alla flotta romana, la cui forza era incentrata sulle solite, poderose, quinqueremi, erano aggregate alcune unità delle città

sostanzialmente equilibrata fino al tardo pomeriggio, quando i Cartaginesi - verosimilmente esausti ed in affanno - decisero di sospendere il combattimento e di rientrare in porto prima del tramonto. Ma le navi più piccole, accorse prima di tutte verso la stretta imboccatura, entrarono in collisione, ostruendo l’ingresso a tutte le altre, che fuggirono verso l’argine antistante le mura della città. Esse vennero così bloccate dalle navi romane, che, con l’aiuto di quelle alleate, continuarono a speronare le unità puniche fino a quando il buio della not

permise la prosecuzione delle operazioni. In seguito alla vittoria navale romana, le poche unità super

continuò le operazioni di blocco navale.

Per raggiungere il completo controllo del porto, Scipione fece assalire il vallo che chiudeva il porto esterno lungo la lingua

breccia, i Punici, guadando i bassifondi, riuscirono a respingere gli invasori incendiandone le macchine d’assedio. Un n

venne abbattuta e sostituita dai Romani con un muro alto quanto quelli della città, gli spalti del quale, presidiati da 4.000 armati, offrivano un adeguato controllo del porto esterno.

Dopo quasi tre anni di tentativi, il blocco terrestre e marittimo di Cartagine era ormai effettuato.

Il console avrebbe offerto la pace se gli ambasciatori romani, con la mediazione dei capi numidi (che

proiettili lanciati dai nemici.

Si era ormai alle porte dell’inverno e Scipione ritenne che la fame e l’epidemia avrebbe completato il suo assedio.

TP

541

PT Strab., XVII, 3, 15; da “The Geography of Strabo”, with an english translation by Horace Leonard Jones,

Ph.D., LL.D., Vol. VI-VII-VIII, William Heinemann Ltd - G.P. Putnam’s Sons, London-New York, 1929-1930- 1932 (3 volumi); A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 108, parla invece di 50 navi da guerra allestite con il legname delle case abbattute.

TP

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PT A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 108: “la presa della città

avvenne grazie a un’abile manovra convergente nei confronti dell’esercito del comandante Diogene e dell’accampamento nemico che ricordava quelle tanto care al suo nonno adottivo: furono Caio Lelio, suo luogotenente e figlio del braccio destro dell’Africano, e Golussa ad ad attuarla, conducendo 3.000 uomini e le

Trascorso l’inverno 147-146 a.C., i Romani poterono raccogliere i frutti delle loro precedenti operazioni.

Scipione mosse il duplice attacco contro la cittadella (Birsa) ed il porto militare

errimo, tribuno

eramento a falange, e case alte sei piani

città chiese la pace ma né Asdrubale né i 9.000 disertori che a lui si erano uniti

ri si lasciarono bruciare assieme

Italia, erano principalmente legati a considerazioni marittime: qualche anno

La misura della disperazione in cui si dibattevano i Cartaginesi al termine della stagione invernale fu data dalla successiva mossa di Asdrubale che, per ridurre il fronte entro il quale concentrare le difese, fece bruciare tutti gli edifici e i magazzini del porto.

A quel punto (Cotone).

Si portò a ridosso delle mura della prima protetto da una testuggine rivestita in pietra, che lo difendeva dal lancio di pezzi di muro diroccato; pare che la corona muralisTP

543

PT in quella

circostanza spettò al sedicenne Tiberio Sempronio Gracco, il futuro, celeb della plebe.

Il solo scopo di questo attacco era però di distrarre l’attenzione degli stremati difensori dal vero obiettivo, le mura che chiudevano la città lungo Kherredine, adiacenti al porto interno, che vennero aggredite dalle truppe di Caio Lelio. Fu facile per i Romani raggiungere l’abbrivio del mercato; tutt’altra cosa si rivelò raggiungere il cuore della città.

Strade strette, le quali non permettevano uno schi

costituirono una difesa fondamentale per gli ultimi attacchi cartaginesi; i romani furono costretti a combattere casa per casa, in un terreno in cui anche i cadaverio ammassati potevano costituire un difficile ostacolo alla loro marcia: una vera e propria Stalingrado ante

litteram che durò per sei giorni, al termine dei quali Scipione raggiunse la rocca in cui i pochi

superstiti opponevano resistenza.

Scipione fece bruciare tutta la la parte bassa della città per spianare la strada alle macchine da guerra. La

erano nelle condizioni di poter chiedere la grazia e si accamparono al Tempio della Salute; tuttavia mentre il primo si gettò ai piedi di Scipione, lui che aveva dichiarato “mai sarebbe

nato quel giorno in cui Asdrubale avrebbe guardato contemporaneamente la luce del sole e la propria patria che veniva distrutta dalle fiammeTP

544

PT“, i diserto

al tempio.

La città venne conquistata, nell’arco di sei giorni e sei notti. Gli abitanti furono venduti come schiavi, i disertori sopravvissuti dati in pasto ai leoni e ai soldati fu concesso un saccheggio illimitato, a parte l’oro, l’argento e le offerte sacre che furono destinate all’erario, mentre alcune restituite alle città sicule da cui provenivano.

Scipione inviò quindi a Roma una nave recante l’annunzio della vittoria. La nave risalì il Tevere fino al porto fluviale dell’Urbe, suscitando presso la popolazione un entusiasmo liberatorio da tutte le ansie e le inquietudini precedentemente sofferte. Va peraltro osservato che quei timori, sebbene alimentati dall’ancor fresco ricordo della devastante campagna di Annibale in

prima, uno dei più efficaci interventi di Catone per sollecitare l’intervento di Roma contro l’ancor florida e vicinissima Cartagine era stato quello di mostrare ai Senatori un grosso fico maturo proveniente dal territorio punico, dichiarando, al loro stupore per la bellezza e la freschezza del frutto, che la nazione che lo produceva era “a tre giorni di navigazione da

RomaTP

545

PT“.

La Commissione dei Dieci inviata in Africa dal Senato per stabilire il futuro assetto di quel territorio decretò che Scipione dovesse demolire quanto rimaneva di Cartagine e che, in

macchine d’assedio a un attacco frontale, mentre altri 1.000 agivano sul fronte opposto, dove non trovando una grande resistenza poterono entrare nel campo e sorprendere da tergo i punici. […] la città privata della guarnigione fu poi espugnata dopo un assedio di 22 giorni”.

TP

543

PT Si trattava di un anrico riconoscimento della tradizione romana offerto a chi per primo, durante un assedio,

fosse riuscito a scavalcare le mura nemiche.

TP 544 PT Polib., XXXVIII, 8. TP 545 PT Plut., Cato, 27.

avvenire, più nessuno vi dovesse abitareTP

546

PT. Ampie zone della città erano già preda del fuoco

appiccato dagli stessi abitanti negli ultimi giorni della lotta. Cartagine continuò a bruciare per

Polibio, lo storico che lo aveva seguito, e disse: “Polibio, è un glorioso

omento, è vero, ma non so come, io ho paura, e già vedo il momento in cui un altro darà lo esso ordine contro la nostra patriaTP

547

PT“.

ublio Cornelio Scipione Emiliano celebrò il trionfo nel 145 a.C., e meritò anch’egli, come il onno adottivo, il soprannome di Africano (a cui venne poi aggiunto, dieci anni dopo, quello i Numantino).

diciassette giorni consecutivi.

Fu in quel momento che Scipione, il quale a malincuore aveva eseguito l’ordine, prese la mano destra di m st P n d TP 546 PT App., Lib., 135. TP 547 PT Polib., XXXVIII, 21.

“Pompeo con tutta la flotta mise sotto sorveglianza il mare tra la Fenicia e il Bosforo e poi egli stess

contro Mitridate, che aveva trenta

duemila cavalieri nel suo schieramento ma non aveva iul coraggio di attaccare battaglia”.

Plutarco

(Pomp., 32)

CAPITOLO VII

ROMA DOPO LA DISTRUZIONE DI CARTAGINE: GUERRE

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 129-134)