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Sesto Pompeo e la guerra sicula

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 161-174)

LA PIRATERIA NEL MEDITERRANEO: POMPEO E L’IMPERIUM CONTRO I PIRATI; SESTO POMPEO.

8.4. Sesto Pompeo e la guerra sicula

Nel 44 a.C., dopo l’uccisione di Giulio Cesare, Marco Antonio non ebbe difficoltà a suscitare l’ira popolare contro i congiurati, ma avvertì il bisogno di ammorbidire le diffidenze del Senato.

”Antonio propose di richiamare dalla Spagna, dove era tuttora braccato dai generali di Cesare, Sesto

Pompeo, figlio di quel Pompeo Magno che ancora tutti vivamente rimpiangevano, ... e di nominarlo comandante supremo della flotta, come era stato suo padre, autorizzandolo a servirsi delle navi romane ovunque fossero, secondo necessità. I senatori, pieni di ammirazione per ciascuna di queste proposte, le accettarono con entusiasmoTP

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PT.

Nel 43 a.C. Sesto Pompeo, secondogenito di Pompeo Magno (il figlio maggiore, Gneo, era morto in Spagna nel 46 a.C. dopo essere stato sconfitto da Giulio Cesare a Tapso), fu nominato Comandante della flotta e della difesa delle acque costiere (“ora maritima”).

Egli tuttavia, sicuramente non confidando più che nel comando di cui era stato appena insignito nel fatto di doversi recare a Roma per riceverlo, secondo la leggi,, recatosi a

Marsiglia, vi si mantenne per osservare ciò che accadeva a RomaTP

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PT, intanto, dopo aver preso tutte le navi che erano nei porti, andò navigando insieme con le altre che aveva portato dalla Spagna.

Sesto Pompeo aveva raccolto in Spagna delle forze terrestri e navali costituite da elementi ribelli. Ovviamente il figlio del Magno avendo visto la morte del padre nonché quella del suo stesso uccisore, essendo ben consapevole dell’incertezza della situazione a Roma scelse la via della prudenza, pur guardandosi le spalle.

Ma chi era Sesto Pompeo:

“Questo giovane non era colto, si esprimeva anzi scorrettamente, ma era audace negli assalti, lesto nell’agire, di pronta intuizione, per niente simile al padre quanto a lealtà, liberto dei suoi liberti, servo dei suoi servi, invidioso di chi deteneva posizioni di prestigio per poi ubbidire a persone di infima importanzaTP

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PT”.

Velleio, il quale probabilmente risente della storiografia augustea, disegna un ritratto abbastanza ingeneroso del figlio di colui che comunque aveva reso il Mediterraneo un ‘placido lago’, il quale al contrario tanto a Myle quanto a Nauloco mostrerà comunque di aver ben ereditato lo spirito ‘marittimo’ dell’illustre genitore.

TP

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PT App., Guerre Civili, III, 4. TP

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PT App., Guerre Civili, IV, 84. TP

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In quello stesso anno (43 a.C.), Caio Giulio Cesare Ottaviano (nome assunto nel 44 a.C. dal giovane Ottavio, che era stato adottato da Giulio Cesare) venne nominato, a soli 19 anni, propretore e senatore, poi console (in agosto), ed infine triumviro (a partire da novembre). I due eredi dei precedenti triunviri erano finalmente pronti a conquistare il loro ruolo. E il palcoscenico scelto dai giovani non furono più i polverosi campi delle legioni ma il limpido Mediterraneo.

Sesto Pompeo, ormai ricco e potente grazie alla lunga e proficua attività di pirata, fece sapere ad Antonio che era disposto ad allearsi con lui e lo stesso orientamento manifestò Domizio Enobarbo, l’autore della distruzione della flotta dei cesariani lo stesso giorno di Filippi. Per quanto riguardava il figlio di Pompeo MagnoTP

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PT, il suo sostegno sarebbe stato utile in caso di

guerra con Ottaviano, mentre “se Cesare manteneva gli impegni presi con lui, si sarebbe sforzato di riappacificare Pompeo e CesareTP

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PT”; con Pompeo Antonio cercò di prendere il toro

per le corna e, da qualche parte dell’Adriatico, si avvicinò alla sua potente flotta con sole cinque navi “per non apparire diffidenteTP

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PT” delle duecento che aveva a disposizione: dopop

alcuni attimi di tensione, durante i quali i suoi luogotenenti persero la calma, il cesaricida ammainò la bandiera e si affiancò alla nave di Antonio. Ora si trattava di vedere quali intenzioni avesse Ottaviano: si era chiaramente sull’orlo di una guerra civile di vaste proporzioni, e Antonio si irrigidì ulteriormente quando venne a sapere che, a seguito della morte di uno dei suoi luogotenenti in Gallia, le sue undici legioni erano passate ad Ottaviano; ma ancor più sospettoso divenne quando i “Brindisini chiusero le porte ad Enobarbo come a un vecchio nemico e ad Antonio come colui che conduceva un nemicoTP

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PT”.

Convinto che si trattasse di un ordine di Ottaviano bloccò con un fossato e una palizzata l’istmo della città e diede pieno mandato a sesto pompeo di nuocere all’altro triunviro; il corsaro si diede subito da fare assediando Cosenza e turi e cacciando le guarnigioni di Ottaviano dalla Sardegna, mentre gli uomini di Antonio prendevano Siponto vicino Manfredonia. A sua volta il figlio di Cesaree non perse tempo e mandò Agrippa a Brindisi coi veterani cui aveva già assegnato lotti di terreno: “questi lo seguivano a distanza come se muovessero contro Pompeo; ma quando ebbero appreso che quanto avveniva era opera di Antonio, subito se ne tornavano indietro senza dare nell’occhioTP

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PT”.

Ottaviano ne fu notevolmente impressionato e mosse egli stesso alla volta di Brindisi e fu così che i due triunviri si trovarono accampati l’uno di fronte all’altro.

Ottaviano aveva a disposizione un numero maggiore di truppe e Antonio fece spargere la voce di rinforzi a lui provenienti dalla Macedonia. Poi di notte faceva imbarcare cittadini inermi su navi da guerra, che il mattino seguente sbarcavano a gruppi successivi, sotto gli occhi del nemico come se provenissero proprio dalla Macedonia; quindi piombò addosso a 1.500 cavalieri giunti in soccorso a Ottaviano presso la città di Iria, tra Brindisi e Taranto, sorprendendoli nel sonno con soli 400 dei suoi cavalieri. Tuttavia mentre le circostanze sembravano stagnarsi nella guerriglia, l’improvvisa notizia della morte di FulviaTP

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PT e la

mediazione del comune amico Lucio Cocceio Nerva, i due triunviri sancirono l’ennesimo accordo tra lorocon il matrimonio di Ottavia, sorella vedova di Ottaviano, e Antonio e copn una nuova divisione dell’impero

“fece la pace con Antonio e con Lepido alla condizione di far parte ciascuno di loro per cinque anni

dei triumviri incaricati di dare la costituzione allo stato e di proscrivere ognuno i propri personali avversariTP 668 PT. TP 662

PT A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 353. TP

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PT App., Guerre Civ., V, 52. TP

664

PT App., Guerre Civ., V, 55. TP

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PT App., Guerre Civ., V, 56 TP

666

PT App., Guerre Civ., V, 57. TP

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PT App., Guerre Civ., V, 59; A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 355. TP

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L’Africa restò a Lepido, mentre la città di Scutari diveniva il confine tra l’Occidente di Cesare e l’Oriente di Antonio.

L’istituzione del triumvirato, concertata fra i tre interessati, venne legittimata dal voto popolare che ne approvò il mandato per un quinquennio (fino al 38 a.C.). Le proscrizioni dei triumviri sconvolsero l’Italia soprattutto nel periodo da fine novembre 43 agli inizi del 42 a.C..

Ristabilito l’ordine interno, i triunviri che da lì a poco avrebbero dato vita (Lepido a parte) una nuova ondata di guerre civili.

Rimaneva da sistemare Sesto Pompeo il quale, con il possesso della Sicilia e della Sardegna, era in grado di impedire gli approvvigionamenti dell’Urbe: non a caso nel mese di novembre ci furono tumulti a Roma, e ciò rese ancora più urgente un accordo con il corsaro che, dopo un tentativo a vuoto, si prestò a un incontro presso capo Miseno. Il figlio di pompeo magno ebbe parecchio in considerazione della pressione che era in grado di esercitare dalla sua posizione: le isole da Ottaviano, il Peloponneso da Antonio, la carica di augure, la promessa di un consolato, gli inarichi di liberare il mare dai pirati e di inviare il grano a Roma, nonché un cospicuo indennizzo per la confisca dei suoi beniTP

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PT. Poi i due triunviri andarono a pranzo

suua sua ammiraglia, ormeggiata a largo del promontorio che pompeo indicò come l’unica eredità paterna che gli fosse stata lasciata, alludendo alle confische e al fatto che Antonio abitava nella casa del padre. Durante il banchetto uno dei suoi luogotenenti parlò ad un orecchio dell’anfitrione chiedendogli se, per caso, non desiderasse che fossero tagliati gli ormeggi della nave, per farlo “signore non solo della Sicilia e della Sardegna ma di tutto il dominio romano”. “Bisognava che tu lo facessi senza dirmelo prima – rispose Pompeo dopo aver riflettuto un po’ – ora accontentiamoci della situazione presente: non è infatti mia abitudine tradire i giuramenti”TP

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PT.

Ottaviano, da parte sua, stava incontrando grandi difficoltà con Sesto Pompeo, con il quale aveva instaurato una vera e propria guerra, assai misera nei risultati per il proprio partito e nefasta per Roma, che era ancora afflitta dalla carestia.

Antonio giungendogli in soccorso si spostò una prima volta a Brindisi per rispettare un appuntamento che lo stesso Ottaviano gli aveva fissato, ma ilo figlio di Cesare non si fece trovare; la circostanza inaugurò una nuova fase di incomprensioni tra i due che proseguì fino alla fine del marzo del 37, quando Antonio giunse nuovamente in Italia, a taranto, dove su richiesta del cognato, si era portato dietro le sue trecento navi: stavolta Ottaviano c’era, ma solo per dirgli che, nel corso dell’inverno, Agrippa era riuscito ad allestire una nuova flotta e non c’era più bisogno del suo aiuto. Questo per l’altro triunviro significò automaticamente che non avrebbe avuto luogo lop scambio tra le proprie navi e le legioni di Ottaviano, di cui aveva bisogno per la campagna partica. Fu Ottavia a convincere i due triunviri a comunicare; Antonio lasciò ad Ottaviano 120 navi e questi gli promise 10.000 legionari italici per la campagna partica; infine, scaduto il quinquennio del triunvirato decisero di rinnovarlo, a detta di Appiano, senza interpellare Lepido, il popolo e il senato di Roma.

Dopo il ripudio di Ottavia da parte di Antonio, in un primo momento il triunviro fece finta di niente impegnato con Agrippa a Nauloco contro Sesto PompeoTP

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PT.

8.5. Nauloco

L’attacco finale al figlio di Pompeo Magno scattò il primo luglio del 36 a.C., con la consacrazione della flotta e un’offensiva multipla nei confronti della Sicilia da parte delle

TP

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PT A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 355. TP

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PT Plut., Ant., 32. TP

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flotte di Ottaviano e Agrippa a Pozzuoli, di Lepido dall’Africa, e di Tito Statilio Tauro da Taranto; ma due giorni dopo una tempesta decimò il naviglio del comandante in capo, e la campagna riprese solo alla metà di agosto, con Agrippa incaricato di tenere impegnato a nord Sesto Pompeo mentre gli altri, datisi appuntamento dall’altra parte dello stretto, avrebbero puntato verso Messina.

Pompeo intuì che quello del luogotenente era solo un diversivo e, aspettando il momento opportuno per lanciarsi contro Ottaviano mentre questi era impegnato nel trasferimento delle truppe attraverso lo stretto, intese tenere a sua volta impegnato Agrippa; rinforzò quindi il naviglio a disposizione del proprio luogotenente Papia e se ne stette su un’altura a osservare lo scontro che ebbe luogo tra le due flotte davanti a Milazzo. “Da entrambe le parti i preparativio erano stati fatti in modo splendido, e si avevano torri sulle navi a prora e a poppaTP

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PT”.

Il comandante di Ottaviano si valse della maggior mole delle sue navi, per operare sfondamenti con i rostri e bersagliarne le ciurme dall’alto; la sua ammiraglia aggredì anche la nave di Papia, colpendone la prora e squarciandone la stiva. Vedendo la propria flotta in difficoltà, Sesto npompeo diede bordine di ripiegare, e le navi superstiti guadagnarono i fondali bassi, dove Agrippa, in considerazione del grosso tonnellaggio delle sue, ebbe l’accortezza di non avventurarsi.

Tuttavia la strategia del figlio di pompeo non era affatto compromessa dall’esito della battaglia di Milazzo. Il corsaro, dopo aver consolato i suoi uomini affermando che avevano combattuto contro mura e non contro navi, si precipitò contro Ottaviano accampato a Naxos e lo costrinse a una nuova battaglia navale, che si risolse in un disastro per il figlio di Cesare, a stento scampato alla cattura. Fu allora Agrippa (il cui contributo sarà anchre importante ad Azio cinque anni dopo) il 3 settembre del 36 a.C., presso Nauloco a largo di Milazzo, ad essere l’artefice della vittoria decisiva, (lo testimonia il fatto che il nome di ottaviano non è mai citato nella battaglia stessa)TP

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PT.

Ad Agrippa si attribuisce un’innovazione tecnica navale abbastanza importante: l’arpax, un lungo palo di legno “rinforzato intorno con del ferro e avente alle estremità due anelli. Uno dei due anelli reggeva lo stesso arpax, quasi un uncino di ferro, l’altro reggeva parecchie funi che tiravano con argani l’arpax, dopo che con un lancio di catapulta avesse afferrato la nave avversariaTP

674

PT”.

A Nauloco, invece, Ottaviano, già latitante a Filippi, potè permettersi di osservare la battaglia dalla riva, con le truppe di terra, dopo che egli stesso e stesso Pompeo, avevano convenuto di dover porre fine alla loro lunga contesa, con una grande battaglia navale. Quando si era sentito proporre l’idea dell’avversario, il futuro Augusto era rimasto a lungo dubbioso, poiché fino ad allora le sorti non gli erano state particolarmente propizie in mare: aveva finito con l’accettare, dice appiano, perché aveva paura di essere giudicato un codardo (o forsew confidando nella perizia del suo ammiraglio).

Lo stesso Appiano racconta che, proprio come in una singolar tenzone, le due parti convennero di utilizzare nel combattimento trecento navi e di poterle munire di torri e di ogni tipo di arma da getto.

“Ses. Pompeo, figlio del Magno, raccolti dall’Epiro proscritti e schiavi fuggiti, con queste forze, senza disporre di alcuna stabile base, esercitò lungamente sul mare la pirateria e dapprima occupò la città di Messina in Sicilia e poi l’intera provinciaTP

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PT”.

TP

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PT App., Guerre Civili, V, 106. TP

673

PT A. FREDIANI, I Grandi generali di Roma Antica, I volti della storia, cit., p. 382. TP

674

PT App., Guerre civili, V, 118. TP

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Forte dell’arruolamentodi schiavi proscritti nonché di profughi provenienti da Roma e dalle città italiche; Sesto Pompeo colpì Roma proprio nel suo punto debole: la Sicilia. Il più importante granaio dell’impero era a questo punto sotto scacco mentre una tra le più importanti vie marittime, punto di passaggio e di unione tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale, era ormai sotto il suo controllo. Più che lo sprovveduto di cui sembra parlare Velleio, Roma si trovò di fronte un nuovo e dinamico Pompeo. “ E con lui vi erano anche,

per la flotta, degli Africani e degli Spagnoli praticissimi di marineria; e Pompeo confidava molto in essi, per le esigenze di comandanti, di navi, di militi navali e di denaroTP

676

PT”.

In quella fase, Sesto Pompeo si avvaleva del comando dei mari per rafforzare la propria posizione, accogliendo gli scampati con grande premura, e con altrettanta sollecitudine,

mandava in giro i suoi emissari, per esortare i fuggitivi a raggiungere la Sicilia. Scialuppe e mercantili, da lui inviati in alto mare, si facevano incontro alle barchette di fuggiaschi; triremi lungo la costa lanciavano segnali a chi avesse perso l’orientamento e facevano imbarcare i proscritti che fossero riusciti a raggiungere la costa.

L’attività in mare svolta dalle forze navali di Sesto Pompeo si tramutò presto in pirateria vera e propria; questa veviva condotta avvalendosi, come ammiragli, di personaggi come Mena (diminutivo di Menodoro) che, secondo quanto si presume, era stato uno dei capi pirati cilici catturati da Pompeo MagnoTP

677

PT.

“Si mise allora ad infestare il mare con azioni piratesche per mezzo di Mena e Menecrate, liberti di suo padre, e si serviva del bottino per provvedere alle necessità sue e dell’esercito. Non si vergognava di infestare con eccessi degni di pirati quel mare che era stato reso libero dalle armi e dal comando di suo padreTP

678

PT”.

Il giudizio di Velleio ancora una volta mirato a screditare l’azione di Sesto Pompeo, riconosce tuttavia la grande influenza che il nome di Pompeo Magno avesse ancora sui pirati cilici; influenza ora ereditata dal figlio.

L’esperienza dei pirati cilici arruolati da Sesto Pompeo si rivelò fondamentale nelle prime azioni belliche: quando infatti

“Cesare Ottaviano, all’udir tali cose, inviò Salvidieno con una flotta per sconfiggere Pompeo in mare - impresa certamente non agevole - ed egli nel contempo muoveva lungo l’Italia per cooperare presso Reggio con Salvidieno.Uscito Pompeo con una poderosa flotta per incontrare quest’ultimo, ed avendo ingaggiato una battaglia navale presso capo Scilleo, in prossimità dell’imboccatura dello stretto, le navi di Pompeo, essendo più leggere e dotate di provetti marinai, prevalevano per velocità e per qualità nautiche, laddove le romane, essendo di maggior taglia e peso, ne soffrivano.Sopravvenuta poi la consueta marea, per cui la corrente divideva il mare a tratti alterni, i Pompeiani poco ne risentirono poiché vi erano abituati, mentre gli uomini di Salvidieno, inesperti di quei fenomeni, ne furono turbati, non potendo né stare in piedi, né sollevare i remi, né reggere con facilità i timoni.Quindi Salvidieno, verso il calare del giorno, diede il segno della ritirata, e così si ritirò anche Pompeo. Vennero perdute da entrambi un pari numero di navi; poi Salvidieno riparò le altre, rotte o malconce, che si erano ritirate nel porto Balaro, davanti allo strettoTP

679

PT”.

La sconfitta di capo Scilleo (42 a.C.), ad opera della flotta di Pompeo contro l’ammiraglio Quinto Salvidieno Rufo Salvio, fu il primo sintomo del fatto che la flotta nemica fosse meglio equipaggiata e organizzata di quella inviata dai triunviri. Nonostante tutto però, Salvidieno continuò ad esercitare il comando della flotta di Ottaviano (che era impegnato, insieme ad

TP

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PT App., Guerre Civ., IV, 85. TP

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PT App., Guerre Civ., IV, 36. TP

678

PT Vell Pat., II, 73, 3. TP

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Antonio, contro Bruto e Cassio) con risultati ben poco soddisfacenti. Più tardi, accusato di cospirare contro Ottaviano, non poté sfuggire alla morte.

Nel 41 a.C., la flotta di Sesto Pompeo venne potenziata con ulteriori 80 navi portate da Lucio Staio Murco, ammiraglio dei recentemente sconfitti Bruto e Cassio. Ciò permise al giovane di recidere le linee di comunicazioni marittime utilizzate per i rifornimenti di Roma: la grave carestia che ne conseguì suscitò, nel 39 a.C. delle preoccupanti sommosse nell’Urbe. I triunviri, a questo punto,

gli richiesero la paceTP

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PT.. racconta Velleio che in questo trattato di pace fu deciso di concedere a Pompeo la Sicilia e l’Acaia; ma quell’animo irrequieto non ne fu soddisfattoTP

681

PT.

Il “patto di Miseno”, stretto all’inizio dell’estate 39 a.C., concedeva a Sesto Pompeo l’amministrazione delle tre isole maggiori (con eventuale successiva estensione all’Acaia); tuttavia, gli impediva di pirateggiare in qualunque altra costa italica e non.

Sesto Pompeo non mantenne a lungo gli impegni assunti a Miseno: già nel 38 a.C., il suo ammiraglio Menecrate condusse delle incursioni sulle coste della Campania, saccheggiando

Pozzuoli, Formia, Volturno, in una parola l’intera Campania, le isole di Ponza e di Enaria, la stessa foce del fiume TevereTP

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PT; a questo pounto Cesare intraprese la guerra contro di luiTP

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PT.

Ottaviano assunse quella decisione nel 38 a.C. e la fece approvare, l’anno successivo, dai triumviri, che rinnovarono il loro mandato per un secondo quinquennio (37-33 a.C.).

La guerra sicula fu tra le prime ch’egli intraprese, ma la trasse in lungo, interrompendola spesso ... per rifare le flotte, che in due naufragi pur essendo d’estate aveva perdute ...TP

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PT

Nel 38 e nel 37 a.C., le flotte di Ottaviano subirono alcuni insuccessi e due naufragi disastrosi.

Pompeo non riteneva conveniente di approfittare della buona occasione di tali naufragi, ma soltanto offriva sacrifici al mare e a Nettuno e si faceva chiamare loro figlioTP

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PT.

Questa è la prima apparizione dell’azzurro, colore del mare, quale distintivo dei comandanti navali; al termine della guerra contro Sesto Pompeo, come vedremo più avanti, quello stesso colore verrà adottato per l’insegna conferita da Ottaviano al suo ammiraglio Agrippa

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 161-174)