alla fine del VI sec a.C.
3.8. Il trattato del 278: ulteriore conferma dell’esistenza del ‘trattato di Filino’
Stando a Livio un trattato,- il quarto della serie, – era stato concluso, come detto, nel 306 a.C.; Polibio, al contrario, afferma che quel trattato non fosse mai esistito, ammettendo l’esistenza di due soli trattati (ovvero 509 e 348) prima di quello del 278 a.C.
inesatto
1) perché le invenzioni di questo tipo anche se tendenziose partono sempre da datin precisi e non da costruzioni senza fond
a
Annone presso Livio, non solo riconosceva l’esistenza di esso, ma addirittura se ne faceva un mezzo di propaganda per attribuire ai Cartaginesi la responsabilità della prima punica.
È assai notevole la circostanza che la storiografia romana o di tendenza romana, fosse, su questo puntgo, nettamente divisa in due indirizzi: da una parte quello che si riflette nel discorso di Annone ovvero che l’annalistica romana sapesse de
Filino, dall’altra la negazione di esso da parte di Polibio. Come spiegare questa incongruenza? Probabilmente a un certo punto i Romani riconobbero che il ‘trattato di Filino’ fosse un po’ scomodo dal momento che l’appellarsi continuamente alla ‘responsabilità punica’ per quanto concerne lo scoppio della pr
Cartaginesi avrebbero potuto giustificare questo intervento come l’applicazione delle clausole antipirriche del trattato del 278.
Roma comunque che sembra continuamente avere ‘paura della storia’ o del ‘giudizio storico’ cercò di dare la responsabilità tanto del primo quanto bdel secondo conflitto punico a Cartagine; un documento di questo stato d’animo potrebbe essere il famoso frammento di Catone in cui si dice che nel 218 i Cartaginesi sextum de foedere decessereTP
319
PT.
Non è da escludere che qualcuno avesse fatto sparire il trattato e che quando Polibio pubblicò i trattati tra Roma e Cartagine prima del 241 riducendoli a tre ed escludendo l’esistenza del trattato di FilinoTP
320
PT.
La malafede a lui obiettata da Polibio sembra a questo punto ingiustificata.
TP
319
PT Cato, Fragm., 84 P TP
320
PT Taubler., cit., p. 256; Schachermeyr, p. 352 TP
321
PT A questo punto sarebbe da escludere l’interpretazione dello Schachermeyr, cit., p. 378 secondo cui il ‘trattato
di Filino’ sarebbe sì autentico ma da attribuire o alla fine della guerra contro Pirro o meglio ancora all’epoca dell’ambasceria di Magone del 278. di queste datazioni la prima è da escludere perchè in tal caso non si capirebbe come, dovendo considerarsi la guerra pirrica considerarsi finita con la presa di Taranto, l’annalistica romana parlasse di una violazione cartaginese nel 272 a un trattato che ancora doveva stipularsi.
Si è tuttavia pienamente dimostrato come l’incompleta lista polibiana (nonché la ‘poca attenzione’ dello storico) rendesse palese il fatto che nei circa settant’anni che separano il ‘secondo’ e ‘il terzo’ trattato la situazione politico-commerciale di entrambe le contraenti fosse notevolmente cambiata.
Tale aporia fatta rilevare da NissenTP
322
PT nel racconto polibiano consiste nel fatto che,
considerando nel suo computo il trattato del 278 a.C. come quello successivo al secondo (del 348 a.C.), lo storico invita a credere che nel 278 a.C. Roma, quando concluse un nuovo trattato con Cartagine, acconsentisse a conservare inalterate “le clausole degli accordi esistenti” (quindi quelle del 348 stando al suo computo) le quali, a differenza dei termini del primo trattato avevano lasciato del tutto indefinita la superficie di quella parte dell’Italia che
né completo né indiscusso ma comunque si potrebbe parlare di una sorta di
essa rivendicava come suo dominioTP
323
PT. In questo caso, Polibio esige da noi un atto di fede
troppo fuori della norma perché lo si possa ammettere, per quanto alta sia la stima che abbiamo della sua competenza e della sua integritàTP
324
PT. La situazione geo-politica del
Mediterraneo occidentale nel 278 a.C. era, infatti completamente diversa da quella del 348. Roma non solo esercitava il suo dominio nella parte centrale e settentrionale della penisola italica dall’uno all’altro mare, ma già nel 343 a.C. (ovvero quando fu stipulato il ‘terzo trattato’) aveva esteso la sua sfera d’influenza verso sud fino alla Campania ed ora controllava saldamente la penisola fino allo stretto di MessinaTP
325
PT.
Inoltre la prima guerra con Taranto nel 303, la seconda sannitica con la splendida vittoria di Sentino nel 295, la severa punizione ai Lucani e ai Bruzi nel 282 a.C per non parlare delle guarnigioni, dietro richiesta delle poleis, con cui Roma aveva munito le città greche di Turi, Locri e Reggio. È vero che, nel 278 a.C. l’Urbe non esercitava sull’Italia meridionale un controllo epicraziaTP 326 PT. 322
TP PT Art. cit., pp. 325-326. essa è rilevata anche da J.L.STRACHAN-DAVIDSON, The treaties between Rome and Carthage bifore the first Punic War, Prolegomena, VII a selections from Polybius, Oxford 1888, p. 62.
TP
323
PT Si è notato come nel secondo trattato riportato da Polibio, il nome ‘Lazio’ compare solo una volta, nel
contesto delle clausole relative alle comunità latine non soggette a Roma.- l’esposizione polibiana dei termini del secondo trattato non contiene nulla che giustifichi il commento dello storico, secondo il quale esso avrebbe ‘nuovamente’ stabilito che Cartagine doveva astenersi dall’attaccare almeno quattro delle cinque città costiere del Lazio menzionate nel primo trattato.
TP
324
PT Questa considerazione è di Meyer, (Kleine Schriften, cit., II, p. 296). Taubler e Scachermeyr seguono T.
MOMMSEN, Romische Cronologie, Berlin 1859 [rist. Osnabruck 1981], pp. 323-325, nel ritenere che il primo
trattato di Polibio debba essere identificato con quello liviano del 348 a.C. ed il secondo con quello che Livio pone nel 306 (E.TAUBLER, Imperium Romanum, cit., pp. 373-374; F.SCHACHERMEYR, Die romisch-punischen
Vertage, cit., p. 364, n. 3 e p. 373). Essi cercano quindi di salvare la reputazione di Polibio avanzando l’ipotesi
che il suo secondo trattato riguardi in realtà non solo il lazio, ma anche l’ampia porzione di territorio italico al di fuori del Lazio che nel 306 a.C. era caduta sotto il controllo politico, diretto o indiretto di Roma. Schachermeyr, (Die romisch-punischen Vertage, cit., pp. 375-377) sostiene che l’espressione ‘a Romani e ai loro alleati’ nel passo iniziale dl secondo trattato polibiano, designi tutta la Confederazione romana come si presentava nel 306 a.C. tuttavia, la stessa formula era stata impiegata già a proposito del primo trattato; malgrado ciò, in quella precedente occasione i negoziatori romani non si erano accontentati di questa formula generica. Essi avevano riportato nel trattato anche i nomi di tutte e cinque le città lungo la costa del territorio che Roma rivendicava a quell’epoca come suo esclusivo dominio. È difficile pensare che, se veramente il secondo trattato fosse stato concluso nel 306 a.C. e non nel 348 a.C., i loro successori non vi avrebbero trascritto gli stessi nomi, insieme a quelli delle altre posteriori conquiste costiere di roma. Un’altra difficoltà ad accogliere questa ipotesi consiste nel fatto che in questo secondo trattato, come nel primo, si fa riferimento al solo Lazio come unica regione d’Italia. Ora, per quale motivo si sarebbe dovuto menzionare il solo Lazio come dominio di Roma in un’epoca in cui i domini romani comprendevano anche altre e ricche regioni? Taubler (Imperium Romanum, cit. p. 275) pone l’interpretazione secondo cui Polibio intendesse tutte ‘le colonie di riritto latino’ anche se ciò sembrerebbe lontano dalla traduzione letterale del testo.
TP
325
PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 685 TP
326
PT Inoltre la seconda guerra tarantina del 281, furono i momenti principali di questo trentennio che dal 306
condusse al 278 l’anno in cui parve necessario in base alla minaccia di pirro, rivedere le clausole del 306. sconfitto anche pirro le due potenze si trovavano ora di fronte l’una all’altra. Il trattato del 273 tra Roma e
Nel 278 Roma era in guerra contro una coalizione di Sanniti, Tarantini e Epiroti. Nonostante la sconfitta di Eraclea e Ascoli Apulo, soprattutto il fatto che il re epirota avesse intenzione di asciare ai suoi alleati’ il fronte romano per occuparsi del ‘vero motivo’ della sua venuta,
ontiera sud-orientale dei domini romani fino 328
.C. questo esito
ato del 278, ovvero cacciare, da dove era venuto, il re Molosso il quale vanificava tanto l’epicrazia punica che
impedire che re stranieri giungessero in aiuto dei Siculi, quanto
‘l
ovvero Cartagine, “si poteva facilmente prevedere, inoltre, che Pirro per parte sua, sarebbe infine tornato all’offensiva contro l’egemonia romana sulla penisola, ancora incompletaTP
327
PT”.
E tuttavia era già chiaro che, anche se Pirro fosse riuscito a piegare Roma al terzo tentativo, non avrebbe comunque potuto far arrestrare la fr
al confine sud-orientale del lazio MaggioreTP PT. Anche se fosse vero che Pirro nei suoi
negoziati di pace con Roma, aveva chiesto che essa si ritirasse all’interno di questi suoi confiniTP
329
PT, non si può credere che nel 278 a.C, in un nuovo trattato con Cartagine, la stessa
Roma abbia potuto ammettere senza alcun valido motivo che il suo dominio in Italia era di fatto limitato al solo lazio, e neppure all’intera regione; dando a questo punto ‘ragione’ a Polibio.
Roma infatti con la città punica più che di ‘dominio’ parlava, come detto, di epicrazia ovvero di ‘sfera d’influenza’ e pertanto, nonostante l’ostacolo epirota avesse seriamente fatto vacillare l’epicrazia capitolina, difficilmente Roma avrebbe comunque stipulato un trattato (dopo aver energicamente rifiutato quello con Pirro) ridimensionando, e non di poco, la sua sfera d’influenza.
“Se pertanto nel 306 tanto Roma quanto Cartagine sembravano esercitare un’influenza egemonica abbastanza netta la prima in italia centro-meridionale e la seconda in Sicilia, nel 278 a
era stato rimesso in discussione, per tutte e due le potenze occidentali, dall’apparizione di Pirro al loro comune orizzonte”TP
330
PT.
Comune orizzonte, comune nemico. Da questa esigenza nasce il tratt ri
quella romana. A questo punto una guerra comune conveniva sia a cartagine a cui premeva, almeno nel 278, che l’alleata Roma mantenesse comunque il controllo dell’italia peninsulare fino allo stretto, in modo da
all’Urbe, la quale avrebbe riaffermanto la sua influenza sulle colonie magno-greche e chiuso definitivamente la questione dell’ostilità di Taranto.
Giungendo a questo scopo comune, con uno sforzo congiunto, “ciascuna delle due parti contraenti sarebbe stata in grado di completare la sottomissione della Sicilia, nel caso di Cartagine e dell’Italia peninsulare, in quello di RomaTP331PT”.
Tolomeo II Filadelfo; nel 272 la pretesa ‘dimostrazione’ cartaginese a Taranto e la pace con Roma; nel 270 la presa di Reggio. L’Italia da zona di espansione romana era ormai divenuta dominio dell’urbe.
TP
327
PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 685 TP
328
PT Nel 280 a.C. Pirro era riuscito a spingersi nel lazio Maggiore, lungo la via Latina, almeno fino ad Anagni, e
forse anche fino a Preneste, ma ciò era stato possibile perché fino a quel momento aveva dovuto affrontare solo uno dei due eserciti consolari romani. Non appena l’altro esercito era riuscito a disimpegnarsi dal teatro bellico dell’Etruria e aveva iniziato a marciare verso sud, Pirro aveva trovato più prudente ritirarsi. Dopo la battaglia di Eraclea e Ascoli Satriano probabilmente puntando sul suo vero obiettivo ovvero cartagine ae la Sicilia, egli tentò d’intavolare trattative di pace sul fronte romano (cfr. P.LEVEQUE, Pyrrhos, cit., p
329 Stando ad Appiano (Sam., 10) i trattati di pace proposti da Pirro prevedep. 359-363)
TP PT vano che Roma riconoscesse e
rispettasse l’indipendenza di tutti gli alleati di pirro in Italia, Greci e non Greci e restituisse ai Lucani, Dauni e ai Bruzi tutti i loro territori e accettasse di vedere ilo suo impero limitato al solo Lazio (Ineditum Vaticanum, in “Hermes”, XXVII, 1892, p. 120, Von Arnim (a cura di). Passerini (Sulle trattative dei Romani con Pirro, in “Athenaeum”, XXXI, 1943,., p. 109) afferma invece che le richieste territoriali di Pirro furono essenzialmente legate al riconoscimento degli alleati italici e non alla forzata limitazione del potere romano.
TP
330
PT A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 685. TP
331
In questa situazione sarebbe stato naturale che i due contraenti del trattato del 278 a.C. avessero riconfermato una clausola di reciproca non-ingerenza, già recepita nel trattato immediatamente precedente, negoziato nel 306 a.C. o al massimo nel 343 a.C.
a, afferma lo storico, quanto segue:
ere una pace separata con uno dei
alora il governo cartaginese, leggendo probabilmente le future mosse del re pirota, non fosse intervenuto con la proposta di un nuovo trattato.
re d’Epiro, a cui Roma avrebbe sicuramente ceduto in mancanza di
dove Pirro, al contrario
influenza su ‘tutta’ la penisola) e attaccare su due fronti un comune nemico.
Finchè le due parti avessero tenuto fede a questo comune impegno, ciascuna di esse sarebbe stata ancora libera, rispetto a Pirro, di venire in aiuto l’una dell’altra se egli, ad un certo momento, avesse concentrato le sue forze su uno dei due fronti; ma questa sarebbe stata ora, per Pirro una mossa pericolosa dal momento che non gli sarebbe stato possibile, nel frattempo, difendere l’altro fronte con uno sbarramento diplomatico anziché militare.
Tuttavia Polibio, dopo aver parlato del secondo trattato della sua lista (348 a.C.) giungendo a quello del 278 a.C., affermaTP
332
PT che Roma e Cartagine “mantennero inalterati tutti gli articoli
degli accordi preesistenti” e stipularono alcune clausole supplementari che egli poi cita o riassume. La prima di esse prevedev
“se le parti contraenti concludono un trattato con Pirro, esse dovranno farlo per iscritto e congiuntamente, così da poter essere libere di accorrere l’una in aiuto dell’altra, nel territorio di quella parte che sia stata aggredita”.
Sembra però alquanto assurdo che nel 278 fossero rimasti ‘inalterati’ gli accordi preesistenti, stando al computo polibiano, del trattato del 348.
A questo punto sarebbe utile esaminare con attenzione la clausola aggiuntiva del trattato del 278 per comprendere quale potesse essere il ‘trattato precedente’ e cosa contenesse.
In base al contesto le parti contraenti cercano di prevenire un’ovvia mossa diplomatica, che Pirro aveva tentato nei confronti di Roma, alla vigilia della seconda ambasceria punica nella città, durante l’intervallo fra la battaglia di Ascoli Apulo e la sua partenza per la Sicilia.
’obiettivo perseguito dal re epirota era quello di conclud L
suoi due avversari, (con Roma, in questo caso dal momento che egli stava per muovere contro Cartagine in Sicilia) in modo da poter disporre di tutte le sue forze per aggredire l’altro. Secondo la ricostruzione degli avvenimenti offerta da LevequeTP
333
PT, le proposte di pace
inizialmente avanzate da Pirro nei confronti di Roma dopo la prima campagna della guerra contro di essa (280 a.C.) erano state respinte dal senato; ma, dopo la sconfitta di Ascoli del 279 a.C., la conclusione di un trattato di pace, seppur abbastanza duro, sarebbe stata cosa fattaTP
334
PT, qu
e
Ovviamente Cartagine avrebbe dovuto ‘convincere’ l’Urbe nell’accettare le proprie proposte piuttosto che quelle del
alternative.
A questo punto il trattato ‘persuasivo’ del 278 proposto da Cartagine avrebbe dovuto riconoscere, nonostante tutto, l’epicrateia romana in Italia, lad
chiedeva che l’Urbe limitasse i suoi confini al Lazio, e che, pertanto mantenessero ‘inalterati i dettemi dei precenti accordi’ (306).
Con queste premesse Roma avrebbe dovuto scegliere se abbandonare un fronte di battaglia dopo due sonore sconfitte e veder limitate le proprie conquiste, oppure se allearsi con la flotta più potente del mediterraneo occidentale (la quale per di più riconosceva all’Urbe la sua
TP
332
PT Polib., III, 25. TP
333
PT P.LEVEQUE, Pyrrhos, cit., pp. 415-417. TP
334
PT In base alle ragioni addotte da Cassola (I gruppi politici romani del III sec. a.C., cit., pp. 159-167) si
dovrebbe credere che C. Fabrizio Luscino fosse favorevole al fatto che Roma concentrasse le sue energie sull’obiettivo di una espansione verso nord-ovest e che quindi era farvele alla conclusione di una pace con Pirro, sia pure a prezzo di una rinuncia da parte di roma all’ambizione di espandersi ulteriormente verso sud-est.
Fino a questo punto, dunque, la clausola del trattato romano-cartaginese del 278 a.C. che escludeva la pace separata e di per sé chiara, nei termini in cui la riporta Polibio; ma le parole conclusive sono d’interpretazione molto meno agevole.
lano un trattato con Pirro devono farlo per iscritto e
“In questo patto conservano tutti i dettami dei precedenti accordi, ma a questi aggiungono le seguenti clausole: se le parti contraenti stipu
congiuntamente, in modo tale da poter essere libere di venire l’una in aiuto dell’altra nel territorio della parte che venga aggreditaTP
335
PT quale dei due avrà bisogno d’aiuto siano i Cartaginesi a fornire le
navi e per l’andata e per il ritorno, ma ciascuno si paghi i propri soldati. In caso di necessità i Cartaginesi portino aiuto ai Romani per mare. Nessuno costringa gli equipaggi a sbarcare se non vogliono”.
Fino all’espressione “poter essere libere di venire l’una in aiuto dell’altra” la clausola non ha bisogno di spiegazioni.
La frase “in modo tale da poter essere libere di venire l’una in aiuto dell’altra nel territorio della parte che venga aggredita”TP
336
PT parrebbe evidenziare che da quel momento i Cartaginesi avrebbero
potuto intervenire militarmente nel ‘territorio’ romano e viceversa.
L’aggettivo “libere” di venire in aiuto l’una dell’altra, senza condizioni, in qualunque teatro bellico il loro intervento militare potesse apparire più vantaggioso ai due alti comandi, farebbe pensare che prima (ovvero nel trattato precedente) le due grandi potenze non fossero affatto “libere” di prestarsi soccorso l’una nel territorio (o nella sfera d’influenza) dell’altra e viceversa. Ad esempio, nel foedus cassianum, concluso fra Roma e la Confederazione latina, era previsto semplicemente che le parti contraenti “dovranno venire in aiuto della parte che subisca l’aggressione”TP
337
PT senza che fosse specificato che le parti erano da quel momento
‘libere’ di poterlo fare.
L’introduzione di una simile frase si spiegherebbe se “le clausole degli accordi esistenti” (cioè dell’ultimo trattato) comprendessero quella di reciproca non-ingerenza, che Filino registra come ancora in vigore nel 264 a.C.
Dal momento che il trattato del 278 a.C. cominciava con lo stabilire che “tutte le clausole degli accordi esistenti” dovevano essere “mantenute in vigore” (e pertanto anche la non- ingerenza nella prima parte del trattato), le parti contraenti si sarebbero trovata, pertanto, preclusa la possibilità d’intervenire, perfino accorrendo l’una in aiuto dell’altra, nella regione in cui ciascuna si era impegnata a non intervenire, a meno che esse non avessero aggiunto ora una clausola che permettesse di superare questa difficoltàTP
338
PT e che le rendesse ‘libere di farlo’.
TP
335
PT Polib., III, 25. TP
336
PT Le traduzioni possibili di questa clausola sarebbero due: “se Romani e Cartaginesi stringono alleanza scritta
con Pirro, la stringano entrambi in modo che sia possibile aiutarsi a vicenda nel territorio del contraente attaccato” oppure “se stipulano pace scritta con Pirro, la stipulino entrambi. [Affinché] sia lecito aiutarsi a vicenda nel territorio del contraente attaccato”. La prima interpretazione (cfr. Giannelli, Roma nell’età delle guerre puniche, cit., p. 49; Altheim, Italien u. Rom., II, p. 392) comincerebbe con la dichiarazione di possibilità di aiuto reciproco nel territorio dei contraenti ma senza alcuna proibizione di pace separata con Pirro; la seconda inizierebbe al contrario con la proibizione di una pace separata e la dichiarazione di aiuto reciproco nel territorio dei contraenti. Quest’ultima è oggi la più comunemente accettata nonostante anche la prima interpretazione del passo non sarebbe da escludere (la clausola proibitiva di far pace separata è posta di norma alla fine e non all’inizio del trattato stesso cfr. Taubler, cit., p. 210 a proposito di un trattato tra Cartagine e gli Etoli e Polibio (VII, 9); a proposito del trattato tra Annibale e Filippo). Ma è anche vero che quello del 278 non è un nuovo trattato ma una semplice clausola e pertanto, giuridicamente, non è detto che dovesse seguire i criteri e l’ordine dei trattati.
TP
337
PT Dionig. D’Alic., VI, 95. TP
338
PT “Ciò spiegherebbe perché, nel capitolo militare del nuovo trattato, veniva espressamente previsto che
ciascuna parte sarebbe stata libera di venire in aiuto dell’altra nel territorio di quest’ultima allo scopo specifico di collaborare sul piano militare contro il comune nemico di allora. Pirro”. A.J.TOYNBEE, L’eredità di Annibale, cit., p. 688
Ciò mostrerebbe come il ‘territorio’ di entrambe le contendenti fosse in un primo momento (o meglio nel precedente trattato) precluso l’una alla’altra mentre la nuova clausola apriva ora la possibilità alla flotta cartaginese di agire nel ‘territorio’ romano, in caso di pericolo, e alla flotta romana di agire in ‘territorio’ cartaginese