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Roma con

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 38-44)

tro la pirateria Lipariana

2.4. Roma con

La storia romana del V sec. a.C. non presenta avvenimenti degni di nota a livello marittimo. Solo alla fine del secolo, inizio del IV, Roma inizia la guerra contro la città di Veio (406-395 a.C.), la

considerazioni. LivioTP

113

PT riporta, come detto, che “ […] in alcuni annali si parla anche di un combattimento navale c

non sia corretta per la ristrettezza del fiume in quella zona.

Poiché questa è l’unica informazione in nostro possesso possiamo solo osservare che l’opinione di Livio si riferirebbe piuttosto a fattori geografici, e non,come si potrebbe credere, all’impossibilità per i Romani di avere i mezzi per un combattimento navale, per quanto limitato potesse essere. Le fonti, in relazione a questo stesso periodo, riportano, inoltre che dopo la vittoria su Veio, il Senato romano inviò, su una nave da guerra, un’ambascieria con doni per il Santuario di Delfi.

L TP PT

affermando di aver ritenuto che la nave fosse etrusca.

Se l’affermazione del sacerdote di Delfi è esatta – associadola al fatto che i Lipariani erano da sempre grandi nemici della pirateria etrusca – è possibile dedurre almeno un paio di

onsiderazioni. c

Primo: a quest’epoca, evidentemente, le navi romane seguivano il tipo di costruzione navale etrusca. Sull’argomento si ritornerà nella seconda parte quando si parlerà della famosa quinquireme cartaginese andata in secca e, in base a una ‘improbabile’ tradizione, copiata dai Romani.

Secondo: se questa fu la giustificazione, non fu per motivi di carattere religioso che i pirati non solo restituirono il maltolto, ma addirittura scortarono la nave romana fino a Delfi e ritorno.

Probabilmente, nel tipo di scuse addotte per

TP

111

PT Theophr., H.P., V, 8; da “Teofrasto, La Storia delle piante”, volgarizzata ed annotata da Filippo Ferri

Mancini, Ermanno Loescher & C., Roma 1900.

TP

112

PT Val. Max., I, 8, 2; da “Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili”, a cura di Rino Faranda, TEA (su licenza

UTET), Milano 1988. TP 113 PT Liv., IV, 34. TP 114 PT Plut., Cam., 8.

torto, i Lipariani forse temevano qualcosa di diverso dalle ire degli dei; temevano un qualche tipo di rappresaglia. Ora, solo un pregiudizio inimmaginabile può indurre qualcuno

possibilità dell’esistenza di una nave militare romana a uest’epoca, a suggerire che la nave fosse massiliota al servizio di Roma. Thiel non concorda

...nothing suits better my purpose of illustrating Roman helplessness at sea than the fact that a

orta l’episodio e dice che il magistrato supremo liparino era Timasiteo, il quale: “

(Hommann), pur di non ammettere la q

“Why banish this poor authentic Roman ship from history?” (notare il poor!). Non approva

anche perché non potrebbe altrimenti dimostrare altrettanto pregiudizio quando scrive:

Roman warship was first captured by men-of-war from the little island of Lipara and then, when it dawned upon the Liparieans that the Romans were no pirates, she was safely escorted by them to Delphi and safely home again […] like a little girl by a constable!”TP

115

PT

Per prima cosa non dovrebbe meravigliare alcuno che una nave da guerra possa essere stata catturata da men-of-war (lo stesso Thiel ha messo il plurale!), cioè da più di una nave pirata. In secondo luogo i Lipariani erano noti come pirati, non come stinchi di santi. Combattevano la pirateria etrusca perché faceva loro concorrenza, non per altro. Per quale motivo avrebbero dovuto rinunciare alla cattura di una nave che aveva a bordo un piccolo tesoro?

LivioTP

116

PT rip

[…]Romanis vir similior quam suis […]”. Carlo VitaliTP

117

PT traduce quel vir con “sentimenti”: “più informato ai sentimenti romani che non a quelli dei suoi”. Tuttavia sarebbe più corretto tradurlo con ‘carattere’ o ‘virtùTP

118

PT’.

Pertanto l’intero passo risulterebbe:

[…] dalle virtù più simili a quelle romane che a quelle dei suoi... pieno di rispetto per il titolo di ambasciatori, per la divinità cui si portava quel dono e per la motivazione di esso, trasfuse anche nella massa del popolo […] un giusto timore reverenziale […]”.

Le osservazioni che a questo punto è possibile fare sono: innanzitutto, che i Lipariani, evidentemente, non avevano il carattere, le virtù romane, o, quantomeno, non sapevano quanto forti esse fossero; inoltre, che il timore reverenziale fu ‘trasfuso’ per rispetto sia degli ambasciatori, che della divinità.

È da considerare, inoltre che, in base al contesto del periodo (prima viene il vir romano, poi il rispetto per gli ambasciatori indi, per ultimo, il rispetto per la divinità, che sembra il tocco finale per convincere gli scettici), che il timore reverenziale sia più per le possibili reazioni che per motivi religiosi. Di conseguenza si potrebbe ritenere che le azioni successive dei Lipariani - restituzione e scorta della nave - siano state dettate più dal timore di rappresaglia che altro.

E a questo proposito due sole possono essere state le possibilità: i Romani erano in grado di condurla con i loro mezzi, oppure potevano avvalersi del trattato con Cartagine perché la stessa intervenisse con la sua flotta. Più volte, infatti, Cartagine si mostrerà più che ben disposta ad aiutare Roma con la flotta nel momento in cui ritennesse che Roma ne avesse bisogno.

In un caso o nell’altro sembra più corretto trarre, da questo incidente, la conclusione che o Roma era in grado di punire direttamente i Lipariani, oppure che la Repubblica aveva compreso così bene l’importanza della protezione del traffico marittimo romano da

TP

115

PT J. H.THIEL, Studies on the history of Roman sea-power in republican times, North-Holland Publishing

Company, Amsterdam 1946, p. 7. TP 116 PT Liv., V, 23. TP 117 PT Liv., IV-VI. TP 118

PT Letteralmente: uomo di carattere, uomo socialmente virtuoso. Il vir romanus era la quintessenza delle virtù e

provvedere a fornirsi di un alleato che potesse sopperire alle deficenze della preparazione navale romana.

Se proprio non si volesse accettare questa interpretazione si dovrebbe almeno riconoscere che

delle fonti storiche, a

tà del IV sec. e anche dopo la Corsica continuò a essere etrusca. Il secondo trattato

. La stessa frase di Teofrasto che parla di ciò [in un tempo passato] lo pone non posteriore

l’invasione gallica Roma concluse un trattato con Cere ed uno con Marsiglia.

e discussioni sulla data del secondo trattato sono ormai concluse e praticamente tutti

emi, si osserverà subito

già a quell’epoca il vir romano era riconosciuto e rispettato. Altro che “poor authentic roman

ship”!

In seguito a questo avvenimento, l’invasione gallica e la sconfitta all’Allia (circa 387 a.C.), frenarono certamente l’espansione romana, ma non la bloccarono del tutto.

Per quanto concerne questo periodo, si ha una notizia, non datata, di TeofrastoTP

119

PT, che

riferisce di un tentativo romano di una spedizione di 25 navi per stabilire una colonia in Corsica.

La maggioranza degli studiosi, per varie ragioni, ma che riguardano quasi tutte le presunte incapacità marittime romane, considera che la notizia non sia vera. Il Thiel giudica che se fosse vera la spedizione avrebbe potuto avvenire solo dopo il 311, cioè dopo 1’istituzione dei

duoviri navales ma non spiega perché. Supponiamo ritenga che una tale spedizione non

avrebbe potuto aver luogo senza un adeguato appoggio di navi militari. Si sa, tuttavia, che i Romani possedevano navi lunghe ben prima dell’istituzione dei duumviri.

Comunque, visto che dopo il 311 non avrebbe potuto essere compiuta, anch’egli considera falsa la notizia. Ciò sembra un altro caso di interpretazione pregiudiziale

questo punto sarebbe opportuno, per dimostrarlo, riportareintegralmente un lungo passo di Momigliano che mostra non solo come si devono interpretare le fonti, ma anche che i Romani potevano permettersi spedizioni marittime di questo genere, in un periodo in cui subivano l’invasione gallica.

“Noi non conosciamo la storia esatta dei rapporti fra Cartaginesi ed Etruschi in Corsica. Ma per tutta la prima me

fra Roma e Cartagine che noi consideriamo del 348 a.C. non conosce dominio cartaginese in Corsica. Certo dunque che il tentativo romano in Corsica va considerato una continuazione della lotta anti- etrusca

alla metà del IV secolo; mentre per il V secolo osterebbe oltre alla situazione generale di Roma, la conoscenza che di cose romane si poteva avere in Grecia. Ma non soltanto i Romani nella prima metà del IV sec. fecero una spedizione contro la Corsica: fu più fortunato di loro Dionisio di Siracusa, che nella celebre spedizione del 384 contro l’Etruria, oltre a mettere a scacco il santuario ai “Pyrgoi” di Cere, arrivò in Corsica e vi impiantò una stazione siracusana... Ora che sappiamo delle buone relazioni tra Dionisio e i Romani, ci sembrerà ancora più verosimile quell’idea, che i Romani abbiano tentato di imitare Dionisio, che, anche senza specifiche relazioni tra lui e i Romani, ci si presenterebbe ovvia: essendo naturale che i Romani tentassero di approfittare colpo inflitto dai Siracusani agli Etruschi. Vorremmo dunque datare notizia di Teofasto poco dopo il 384. L’impresa andò a male: ciò in fondo conferma che i Romani dovevano essere stati battuti da poco all’Allia e quindi non avevano potuto impegnarci energia e le forze necessarie “TP

120

PT.

Momigliano cita il secondo trattato romano-cartaginese che tratteremo immediatamente. Durante

Quest’ultima, fra l’altro, fornì a Roma contributi per il pagamento del riscatto imposto dai Galli. Ma nel 349 quando Roma era di nuovo minacciata dai Galli, i Latini si rifiutarono di fornirle le previste truppe ausiliarie. Nel 349 Roma quindi, non controllava più, praticamente, la Lega latina.

L

concordano sul 348 a.C., cioè a dire un anno dopo che Roma aveva perso il controllo della Lega.

Anche per questo trattato, che per gli studiosi presenta alcuni probl

TP

119

PT Teophr., Hist.Plant., V, 8, 3. TP

120

c

pirateggiassero.

Ciò sembra una conferma sul problema delle navi lunghe affrontato a proposito del primo trattato.

Come detto, in quegli anni l’influenza e il potere di Roma sulla Lega latina si erano praticamente annullati; tutti coloro che erano legati a Roma da accordi unilaterali, abbandonarono lo status di socius atque amicus populi romani, un anno prima del nuovo trattato con Cartagine. È evidente che, in queste condizioni, Cartagine ne approfittò immediatamente per stipulare un trattato molto più restrittivo del primo.

Roma fu costretta ad accettare perché la sua situazione non era delle migliori. Le fonti riferiscono,

he, al contrario del primo, qui si parla chiaramente della possibilità che i Romani

fra l’altro, dell’arrivo sulle coste laziali di una flotta siracusana a sostegno dei

rtaginese, una qualche forma di contenimento. nte notare che, nonostante queste imposizioni

portato, appunto, dallo storico di Agrigento, è che, se fosse stato

no partigiano del primo). Tuttavia, proprio la rottura, da parte di Roma, di questo

romana; tuttavia questa flotta ormai esisteva, incominciava ad operare... e la sua entità era destinata ad aumentare in caso di necessità, grazie al crescente numero di alleati navaliTP

123

PT“.

La flotta Militare romana fu istituita nel 311 a.C., quando furono nominati i Duoviri navales

classis, ciascuno al comando di dieci navi, ed è sintomatico che ciò avvenga un anno dopo la

costruzione della via Appia.

D’altro canto, durante le guerre sannitiche, un accordo con Napoli aveva lasciato alla città la sua autonomia a condizione che, se richiestole, mettesse a disposizione di Roma la proprie navi da guerra. Un chiaro indice del sempre maggior interesse romano per l’aspetto militare

Latini.

In ogni caso possiamo notare che se i Cartaginesi imposero restrizioni al commercio romano vuol dire che questo commercio marittimo esisteva ed era, se non enorme, almeno tanto importante da richiedere, dal punto di vista ca

La Scardigli fa giustame

“[…] si può constatare anche un certo rispetto di Cartagine per questa [Roma]. […] Mentre il primo trattato è dunque ancora improntato all’eredità etrusca, il secondo trattato è rivolto, in un certo senso, verso il futuro, verso il dominio sulla penisola da parte di Roma”.TP

121

PT

Un ulteriore trattato, che per Livio sarebbe il terzo, fu stipulato nel 306, anche se Polibio ne nega l’esistenza. Il motivo per cui Polibio non ammette il trattato, che è passato sotto il nome di Trattato di Filino perchè ri

stipulato, Roma sarebbe stata colpevole della sua violazione al momento in cui appoggiò i Mamertini a Messina. Poiché gli storici romani hanno sempre cercato di dimostrare che Roma non ha mai rotto i patti e che sono sempre stati gli avversari a costringerla alle guerre, Polibio non poteva che negarne l’esistenza (resta comunque strano che lo faccia Tito Livio, il quale non è me

trattato dimostrerebbe quanto il Senato comprendesse appieno il valore del potere marittimo dell’Urbe.

Per ora limitiamoci a notare che gli avvenimenti degli anni fra il 348 e il 306 avevano dimostrato la continua ascesa del potere di Roma. Il trattato di Filino pone condizioni alla pirateria e ai traffici romani, ma “There are evidences here of the growing power of Rome,

and the Carthaginian dread of the same”TP

122

PT.

Scrive la scarmigli che

“Naturalmente nel 306 non si poteva temere un attacco contro la Sicilia da parte della giovane flotta

TP

121

PT B.SCARDIGLI, I trattati Romano-Cartaginesi, Pisa 1991, p. 98. TP

122

PT F.W.CLARK, The influence of Sea-Power on the History of the Roman Republic, cit., p. 3. TP

123

del problema marittimo. Un breve commento meriterebbe l’incidente del 282 nel Golfo di Taranto.

Non è noto in che data, forse il 302-303, sia stato stipulato un accordo fra Roma e Taranto per il quale le navi lunghe romane non avrebbero dovuto superare Capo LacinioTP

124

PT. Per inciso

questa è un’ulteriore conferma del fatto che i Romani si dedicassero alla pirateria, altrimenti sarebbe inspiegabile la motivazione di questa imposizione ad opera di una città magno-greca

quindici

82, dieci navi romane, comandata dal duumviro navale Lucio Cornelio ,

oniamo, trenta

come Taranto. Sulle motivazioni che portarono al conflitto romano-tarantino e alla rottura del trattato di Capo Lacinio, G.P. Givigliano offre una precisa e convincente teoria.

Partendo dalla venuta di Alessandro il MolossoTP

125

PT, giunto a Taranto nel 334 a.C. con

navi da guerra e un numeroso esercitoTP

126

PT, l’autore offre una rassegna delle imprese del re

d’Epiro contro Bretti e Lucani e il foedus stipulato con RomaTP

127

PT, e al tradimento di

TarantoTP

128

PT, la cui ostilità si riversò anche contro l’Urbe che nel 326 a.C., attraverso il foedus

Neapolitanum, e l’alleanza con Lucani e Apuli, aveva ulteriormente alimentatoTP

129

PT.

Givigliano osserva attentamente il ventennio che tenne impegnata Roma contro i Sanniti (fino al 304) e la seguente richiesta di alleanza dei Lucani in una guerra contro Taranto che in realtà si conclude, neanche un anno dopo, con un trattato di pace tra i tre contendentiTP

130

PT e,

probabilmente, fu stipulato, in quell’occasione, il trattato di Capo Lacinio.

Nel 2 TP131PT

probabilmente impegnate in soccorso a TuriTP

132

PT, attaccata dai Lucani, superarono il Capo;

furono attaccate dai tarantini che ne affondarono quattro e ne catturarono una quinta.

Questa prima azione della flotta romana non fu certo brillante, ma dedurne subito, come fanno la maggioranza degli storici, I’assoluta incapacità marinaresca dei Romani è perlomeno azzardato. Infatti si conosce il risultato dello scontro, senza, però, sapere nient’altro. Non sappiamo se le navi romane si attendessero o meno l’attacco e, soprattutto, non sappiamo quante erano le navi tarantine. Se le dieci navi romane furono sorprese da, supp

navi tarantine, bisognerebbe riconoscere ai Romani notevoli capacità per essere riusciti a salvarne cinque. In altre parole, per esprimere giudizi come quello di Adcock (“...the

TP

124

PT App., Samnit., 7, 1; Strabone definisce Capo Lacinio (odierno capo Colonna) “bocca del golfo di Taranto” e

lo considera come inizio dello stesso (VI, 1, 11); afferma, inoltre, che esso chiude il Golfo di Taranto assieme al Capo iapigio (odierno Capo Santa Maria di Leuca) (VI, 3, 5). Oltre a ciò stradone riporta la misura di 620 stadi, ripresa da Artemidoro, per la linea ideale che congiunge Capo Lacinio col Capo Iapigio, ricordando che Polibio indica, invece, 700 stadi. Da tali notizie appare evidente come, nella riflessione degli antichi, il Capo Lacinio possa considerarsi quale confine, lungo la costa calabra, di quel golfo che i Tarantini ritengono proprio. Cfr. G.P. GIVIGLIANO, La Geografia storica della Calabria con particolare riferimento all’età romana, dispense dal corso

di “Antichità romane e italiche” e “Geografia storica del Mondo antico”, Università degli Studi della Calabria, a.a. 2006-2007, p. 26, n. 39.

TP

125

PT Alessandro il Molosso, re d’epiro e zio materno di Alessandro Magno, in quanto fratello della madre

Olimpiade. TP 126 PT Arist., fr. 614, Rose. TP 127 PT Giust., XII, 2, 12. TP 128

PT Biasimato anche da Strabone (VI, 3, 4) TP 129 PT Liv., VIII, 27, 2-3. TP 130 PT Diod., XX, 104, 3. TP 131

PT “Il nome di Cornelio è attestato da Appiano (Samnitica, VII, 1); dovrebbe trattarsi di Publio Cornelio

dolabella, console nel 283 e vincitore dei Boi al Lago Vadimone. Invece Dione (fr. 39, 4) e Zonara (8, 2) riportano un L. Valerio; cfr. E.CIACERI, Storia della Magna grecia, III, Milano 1932, p. 38; T.R.S.BROUGHTON,

The Magistrates of the Roman republic, Cleveland 1968, p. 190” in Cfr. G.P.GIVIGLIANO, La Geografia storica

della Calabria con particolare riferimento all’età romana, dispense dal corso di “Antichità romane e italiche” e

“Geografia storica del Mondo antico”, Università degli Studi della Calabria, a.a. 2006-2007, p. 28, n.51.

TP

132

PT “La posizione di Thuri, nell’ambito del golfo di taranto è tale da considerarsi all’interno del golfo stesso ed

anche se il trattato parla esplicitamente di navigazione, tuttavia per I Greci s’intende che il mare e la terra prospiciente costituiscono un tutt’uno”. Cfr. G.P. GIVIGLIANO, La Geografia storica della Calabria con

particolare riferimento all’età romana, dispense dal corso di “Antichità romane e italiche” e “Geografia storica

Tarentines made a short work of half the Roman ships”)TP

133

PT occorre prima conoscere bene i

fatti.

Mentre la piccola formazione romana passava davanti alla città di Taranto “non temendo

alcuna ostilitàTP

134

PT“ (poiché le relazioni fra le due città erano buone), essa venne sottoposta

senza preavviso al proditorio attacco della flotta tarantina sotto il pretesto degli “antichi patti,

secondo i quali i Romani non dovevano navigare a nord del capo LacinioTP

135

PT“, l’odierno Capo

Colonna (che segna il limite meridionale dell’ampio golfo di Taranto): da quella inattesa aggressione, in cui lo stesso duumviro navale perse la vita, cinque unità della flottiglia romana

la la sola volta che ciò venne effettuato contro Roma; e si trattò anche dell’ultima volta - fino ll’arrivo dei Vandali, oltre 7 secoli dopo - che fu possibile uno sbarco di forze straniere in alia: nonostante l’estrema ristrettezza del canale d’Otranto (valicabile in breve tempo anche on quei natanti di fortuna utilizzati ai nostri giorni per l’immigrazione clandestina), i Romani on lo permisero più.

’ peraltro interessante notare che nel 282 a.C., dopo lo sbarco di Pirro, i Romani, benché in ravi difficoltà sul fronte terrestre, ritennero di avere una flotta sufficiente per le proprie sigenze di controllo navale: il Senato rifiutò infatti l’aiuto offerto dai Cartaginesi - giunti ad

stia con una flotta di 120-130 naviTP

136

PT - comunicando al loro ammiraglio Magone che “il opolo romano soleva intraprendere guerre tali che potevano essere condotte con le proprie

rzeTP

137

PT“.

el corso di quella stessa guerra, nel 279 a.C., venne comunque ratificato il 3° Trattato navale a Roma e Cartagine: esso prevedeva una reciproca assistenza in caso di necessità belliche, ttribuendo ai Cartaginesi l’onere del trasporto navale delle truppe e l’obbligo di fornire il stegno eventualmente necessario alle operazioni navali romane. Nel 275, Pirro, sconfitto dal console Curio Dentato, lasciò definitivamente l’Italia. Nel 272, mentre la città di Taranto, ormai stremata, stava per capitolare, “una flo

che costituì una violazione del trattatoTP

138

PT“, (anche

riuscirono a disimpegnarsi, mentre quattro vennero affondate ed una catturata.

I Romani, dopo aver inutilmente tentato la composizione diplomatica della crisi (ma il legato del Senato venne oltraggiato), dichiararono guerra ai Tarantini, che, a quel punto, sollecitarono l’intervento di Pirro. Aderendo a quelle richieste di aiuto, Pirro sbarcò con le sue forze (ivi inclusi i temuti elefanti) sulla costa meridionale del Salento. Era la terza volta che Taranto promuoveva lo sbarco di forze elleniche in Italia: in precedenza, infatti, erano già

Nel documento Maritima : Roma sul mare (pagine 38-44)