La scrittura a quattro mani, lo si è visto, si configura come una pratica generalmente votata alla costruzione di un testo e di un’immagine di autore quanto più possibile unici e indivisibili: dal nome di chi scrive alla forma di ciò che si è scritto, tutto, o quasi, viene di solito modellato al singolare. Con la scrittura di gruppi più grandi ci si muove invece su un terreno assai distante e a tratti persino opposto: tutto, o quasi, viene di solito modellato al plurale. A cominciare dalla figura di chi scrive.
Diversamente dalle coppie di scrittori osservate, l’onomastica di questi gruppi più grandi non è infatti quasi mai individuale né può certo esprimere quell’effetto di unità che due nomi – legati da segni particolari o da un medesimo cognome – possono ancora produrre. Gli scrittori partecipanti appaiono allora elencati in una successione di nomi che resta plurale o sussunti in un unico nome ma collettivo, un nome di gruppo. Ad aver scritto ad esempio Six of One by Half a Dozen of the Other e The King’s Men (1888) sono rispettivamente sei e quattro scrittori che vengono puntualmente e pluralmente elencati: Harriet Beecher Stowe, Adeline D. T. Whitney, Lucretia P. Hale, Frederic W. Loring, Frederic B. Perkins e Edward E. Hale per Six of One by Half a Dozen of the Other e Robert Grant, John T. Wheelright, John Boyle O’Reilly e Fredric Jesup Stimson per The King’s Men. Romanzi come Lo Zar non è morto, Caverns, Keeping Mum sono invece scritti rispettivamente da dieci, quattordici e quindici scrittori che si danno però dei nomi collettivi: I Dieci, O.U. Levon, The Dark Angels Collective. Tra queste modalità di nominazione – definite in precedenza onimato plurale e pseudonimato collettivo – vi sono ovviamente importanti differenze che riguardano l’intenzione artistica del gruppo, la sua autorialità, la sua composizione, e sulle quali torneremo in seguito. Ciò che ora conta sottolineare è che il gruppo di scrittori – il grande gruppo di scrittori – diviene in ogni caso visibile e manifesto. La sua immagine, composta da vari nomi o da un unico
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nome, è scopertamente plurale e la sua scrittura si presenta sin da subito come collettiva. E non si tratta di un’evidenza esclusivamente onomastica.
Soprattutto nei primi romanzi collettivi scritti da molte persone, la natura plurale della scrittura compare nel titolo stesso. Six of One by Half a Dozen of the Other (1872), Roman der Zwolf (1908), Roman des Quatre (1923): questi romanzi sono scritti, rispettivamente, da sei, dodici e quattro persone e i loro titoli lo esprimono con una chiarezza quasi elementare. Six of One by Half a Dozen of the Other è un’espressione inglese difficilmente traducibile in italiano ma che gioca, abbastanza intuibilmente, sul numero sei. Roman der Zwolf e Roman des Quatre sono invece titoli che necessitano di ben poche spiegazioni tanto sono diretti nella loro semplicità: “Romanzo dei Dodici”, “Romanzo dei Quattro”. Titoli di questo genere possono forse apparire oggi banali e persino poco attraenti ma rappresentano un passaggio importante nella concezione e nella storia della scrittura collettiva. Se il titolo di un romanzo, che in genere dà conto del suo contenuto, fa riferimento al modo in cui è stato scritto, la scrittura collettiva diventa infatti non tanto evidente, quanto protagonista. Sin dalla loro copertina, il valore e l’interesse di questi romanzi sembrano cioè volersi situare esattamente nella loro composizione, nell’essere stati scritti da quattro, sei o dodici persone. Il titolo Six of One by Half a Dozen of the Other fu scelto – si legge nella prima delle sue sei prefazioni – proprio desiderando «a name which should give an idea of the method of the book».4 Ossia per dare immediatamente conto della sua
particolare composizione.
La presenza, nello stesso romanzo, di ben sei prefazioni costituisce poi un segnale ulteriore della collettività della sua scrittura e, ampliando lo sguardo ad altri e successivi romanzi collettivi, un segnale ben più significativo e duraturo del titolo. In effetti, titoli così metaletterariamente parlanti non sono la norma. Nella maggior parte dei romanzi collettivi, il titolo tende difatti a esprimere, più tradizionalmente, il contenuto della storia e non la sua plurale stesura. La presenza di prefazioni e anche di postfazioni tende invece a essere una costante più generale, e il motivo non sembra difficile da comprendere. Col passare del tempo, quella che poteva apparire come una novità da mostrare sin dal titolo perde inevitabilmente parte della sua carica originale. Se quattro o dodici persone hanno già scritto insieme un romanzo, ha ben poco senso riproporlo come “romanzo di quattro” o “romanzo di dodici”, oltre alla più pratica considerazione che un titolo del genere è già stato adoperato. Ma, col passare del tempo, ciò che pare conservarsi è la peculiarità della scrittura collettiva all’interno del campo letterario.
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Come detto, più persone, e soprattutto molte persone, che scrivono insieme rappresentano in letteratura un caso particolare del quale si vuole conoscere motivi e funzionamenti. E di fatto, dalle sei prefazioni di Six of One by Half a Dozen of the Other (1872) alla postfazione di Keeping Mum (2014), questi testi che così spesso aprono e chiudono i romanzi collettivi assolvono esattamente a tale compito: in varie modalità e con varia ampiezza, danno conto di come si è scritto insieme, del perché si è scritto insieme, e di che cosa si è ottenuto. In tale maniera, il romanzo si presenta apertamente come un romanzo collettivo, ossia come un romanzo diverso dall’usuale e che, a differenza dall’usuale, ha bisogno di una prefazione o postfazione per spiegare e mostrare la sua diversità.