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Un memoriale storico collettivo: Letter to an Unknown Soldier

Al binario numero uno della stazione di Paddington, a Londra, è possibile imbattersi in una statua di bronzo raffigurante un soldato con in mano una lettera. Tanto l’identità del soldato quanto il contenuto della lettera non sono noti: si tratta di un soldato simbolico – an unknown soldier –

68 G. Magini, V. Santoni, “Solve et Coagula. La funzione autoriale nell’epoca della sua

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intento a leggere una lettera altrettanto simbolica. La statua, inaugurata nel 1922, è infatti un monumento alla memoria degli impiegati della Great Western Railway caduti durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 2014, in occasione del centesimo anniversario dello scoppio del conflitto, una domanda iniziò a circolare sulla rete:

If you could say what you want to say about that war, with all we’ve learned since 1914, with all your own experience of life and death to hand, what would you say? If you were able to send a personal message to this soldier, a man who served and was killed during World War One, what would you write?69

La domanda dava origine a Letter to an Unknown Soldier, un progetto facente parte delle più grandi manifestazioni organizzate per il centenario della Grande Guerra. Si trattava però di una manifestazione assai diversa da parate e conferenze pubbliche che dava l’occasione di riflettere privatamente e familiarmente sulla natura della guerra. Ciò che si chiedeva era infatti di mandare una lettera privata, dal proprio presente, a un soldato sconosciuto, vissuto e morto un secolo prima: bisognava immaginare un rapporto diretto con una figura storica e simbolica e darvi forma scritta. «A new kind of war memorial» si legge, in maniera consapevole, sotto il titolo del progetto.

Analogamente a quanto avvenuto per In territorio nemico, la Storia si ripresenta dunque come un terreno comune per mettere insieme coscienze diverse. Pur nelle tante differenze di metodo, forma e obiettivo, la Storia funge in entrambi i casi da serbatoio di ricordi collettivi e da fonte di immaginazione collettiva. Da una parte ci sono tre personaggi inventati e “immateriali”, immersi nella Seconda Guerra Mondiale. Dall’altra, un soldato simbolico e “materiale” della Prima Guerra Mondiale. Ma le domande che suscitano al pubblico sono in fondo le stesse. Chi sono? Che fanno? Cosa ci ricordano? E, nel caso specifico di Letter to an Unknown Soldier, si aggiunge: cosa potremmo scrivergli? Se In territorio nemico è un romanzo storico collettivo, Letter to an Unknown Soldier può essere a ragione considerato un epistolario storico collettivo.

Il sito dedicato fu aperto al pubblico il 28 giugno del 2014 – il giorno dell’attentato di Sarajevo – e chiuso alle ventitré del 4 agosto del medesimo anno, il giorno e l’ora in cui, un secolo prima, il primo ministro Asquith aveva annunciato alla House of Commons l’ingresso in guerra della Gran Bretagna. Per evitare eventuali vandalismi – e dopo tutto a direzione del progetto vi era Kate Pullinger, ben memore dell’esperienza di A Million Penguins –, un team di otto moderatori ebbe il compito di leggere ciascuna

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lettera prima che fosse messa online. Non fu un lavoro leggero. In poco più di un mese, vennero inviate 21.439 lettere provenienti da tutta la Gran Bretagna e oltre. «The invitation to write», si legge a tal proposito, «was to everyone and, indeed, all sorts of people responded: schoolchildren, pensioners, students, nurses, serving members of the forces and even the Prime Minister».70 Una risposta così grande e variegata è d’altronde la

perfetta testimonianza di quel potere della Storia di attivare meccanismi di interesse e di partecipazione collettivi e persino di risvegliare forme letterarie ormai sopite. In effetti, non si può certo affermare che l’epistolario goda oggi di grande diffusione e, in tal senso, risulta decisamente interessante che, di queste 21.439 lettere, più di quattromila vennero spedite via posta. Un progetto nato nel 2014, sul web e per il web, era riuscito attraverso il suo “tema storico” – scrivere una lettera a un uomo del 1914 – a riattivare una forma e una modalità di comunicazione proprie del secolo precedente, assumendo così anche un aspetto trans-mediale e trans-storico.71

Considerato strutturalmente, Letter to an Unknown Soldier non è un testo propriamente collettivo. Le 21.439 lettere ricevute sono delle lettere personali e individuali che restano tali e che, sul sito, si possono persino ricercare attraverso il nome personale del loro mittente. Ciononostante, queste lettere rappresentano pur sempre un corpus unitario, sono 21.439 versioni di una stessa lettera, e il nome del progetto del resto parla di letter e non di letters. Leggendole sul sito, dove sono raccolte nella loro interezza, o sul libro che ne fu ricavato, dove ne sono selezionate 132, si ha dunque l’impressione di una varietà di voci che si alternano l’una accanto all’altra nel tentativo di costruire un’immagine collettiva dei tanti temi affrontati: la guerra, il sacrificio, la morte, l’amore. Un’immagine collettiva e proprio per questo non unica e coerente.

Memoriale ed epistolario collettivo e non romanzo collettivo, Letter to an Unknown Soldier può fare a meno di costruire una idea – e una scrittura – media di una comunità, e lasciarla piuttosto parlare nella molteplicità dei suoi componenti, delle loro opinioni e, non ultimo, delle loro qualità scrittorie. Così, se da lontano è possibile ricavare uno spirito più o meno condiviso riguardo i temi in gioco, avvicinandosi alle singole lettere si può

70 https://www.1418now.org.uk/letter/about/

71 Più facilmente, si potrebbe sostenere che le lettere arrivate via posta provenissero da

persone che non avevano accesso a un computer. Il che è ovviamente possibile. Tuttavia, accanto a lettere scritte “coerentemente” a mano, arrivarono in forma cartacea anche molte lettere scritte al computer. Non era dunque, non sempre almeno, una questione di inaccessibilità al mezzo informatico quanto la manifestazione della volontà di adoperare un mezzo che si sentisse più adeguato al senso del progetto. È questa anche una bella lezione di umiltà che la Storia impartisce agli entusiasti sostenitori della rete che spazzerebbe via ogni altra ormai obsoleta forma di comunicazione ed espressione.

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invece apprezzare, o criticare, l’unicità di un certo ricordo, di una certa emozione e di un certo stile. C’è chi, come Lesley Morrison, scrive una lettera in cui racconta al «Dear unknown soldier» di come l’esperienza della guerra avesse spinto suo nonno sulla strada dell’alcolismo e di come questo si sia riflesso sulla vita di sua madre, per anni alle prese con analoghi problemi, e dunque sulla sua.72 Una lettera ai confini tra la denuncia sociale e la

confessione psicanalitica, scritta a mano e dedicata alla madre morta novantaquattrenne poco prima, che si trova tra le stesse pagine in cui è possibile leggere la ben più ufficiale e distaccata lettera di David Cameron, the Prime Minister, in cui il soldato, ora «Dear Sir», viene ringraziato per aver difeso «la nostra libertà» e aiutato «la patria a combattere una giusta causa».73

Letter to an Unknown Soldier, si diceva al principio, si presenta come «a new kind of war memorial» di cui, subito dopo, viene specificata la natura collettiva: «made by thousands of voices». Da definizione, un testo collettivo costituito da migliaia di voci consente di raccontare migliaia di cose diverse in modo diverso. Nel caso specifico, un memoriale collettivo costituito da migliaia di lettere diverse consente però di formare un quadro – quasi un monumento – di come la guerra e l’idea della guerra siano viste e vissute da un’intera comunità. Il senso e l’obiettivo della scrittura collettiva di Letter to an Unknown Soldier è proprio quello: mettere insieme in un’unica opera le parole di chi, come i veterani, la guerra l’ha conosciuta in prima persona, di chi invece l’ha solo guardata da lontano e persino di chi, la guerra, non sa ancora bene cosa sia. «Dear friend», scrive con grafia incerta il piccolo Archie, «Thank you for fighting for our country. Thank you for saving people like the Queen of England 2014. I hope you did not die».74

Le mille voci di New York:

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