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«Un gruppo di dieci persone inizia a formare un vero collettivo. Dieci è l’inizio dell’anonimato». Così Pierre Lévy nelle prime pagine de L’intelligenza collettiva, manifesto utopico dell’antropologia digitale scritto agli albori della diffusione di Internet. Il suo calcolo si basa su un famoso episodio biblico – Adamo che discute con Dio del numero di “uomini giusti” necessari a salvare Sodoma dalla punizione divina – e dunque, a meno di non voler fare letteralmente i conti con Dio, bisognerebbe fidarsi.1 Inoltre, ciò che qui

interessa non è tanto l’esattezza della cifra minima che costituisce un vero collettivo quanto il suo supposto anonimato.

Un vero collettivo, questo è il ragionamento di Lévy, è tale perché non consente a nessuno dei suoi membri di spiccare e di essere conosciuto

1 P. Lévy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996, p.

46. Nella Genesi, il patriarca “contratta” con Dio il numero di “uomini giusti” che devono essere presenti in città affinché questa sia risparmiata. Abramo inizia con cinquanta («Se ci sono cinquanta giusti nella città, davvero distruggerai Sodoma, farai morire il giusto con l’empio?») e poi continua a scendere fino a fermarsi a dieci. Dieci, sostiene Lévy, è il numero minimo affinché i giusti possano essere una forza capace di salvare la città e, di conseguenza, far cambiare idea a Dio.

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individualmente. Il suo è un discorso funzionale alla definizione del concetto di intelligenza collettiva per il quale Lévy ha bisogno di sbarazzarsi delle singole personalità. Come però visto in chiusura del capitolo precedente, si tratta anche di un discorso non estraneo alla scrittura collettiva. Può un gruppo di scrittori “scomparire” dietro la sua collettività e produrre delle opere per così dire anonime? E se sì, perché?

Nella maggior parte dei testi collettivi incontrati questo non accade. L’ami Fritz, Romance, La donna della domenica, Six of One by Half a Dozen of the Other, Le Roman des Quatre, Caverns, Keeping Mum, L’armata dei sonnambuli, Las vírgenes locas, The Whole Family, The Floating Admiral: questi romanzi collettivi sono scritti da gruppi assai diversi tra loro per composizione, onomastica e metodologia di lavoro. Ma nessuno di questi gruppi di scrittori – nemmeno quelli, e ce ne sono, che sono costituiti da più di dieci persone – suscita quell’impressione di anonimato di cui parla Lévy. A comporli sono infatti un determinato numero di soggetti conoscibili e, molto spesso, conosciuti. Il gruppo di scrittori è allora qui ancora inquadrabile come un insieme distinto e variamente nominabile e non come un insieme indistinto e apparentemente anonimo. Con i gruppi a staffetta sul web qualcosa, invece, si è visto cambiare: i loro componenti, di solito ben più di dieci, tendono a scomparire alle spalle del loro testo che scrivono. Il che dipende certo da una questione aritmetica ma non solo.

Scheherazade 2.0

Per quasi tre anni, dal 21 giugno del 2005 al 17 marzo del 2008, l’artista australiana Barbara Campbell dette vita a un gruppo di scrittura che avrebbe potuto contenere fino a milleuno individui. Per milleuno notti, la Campbell narrò via webcast milleuno storie della lunghezza massima di milleuno parole che chiunque avrebbe potuto scrivere. Il progetto, intitolato 1001 Nights Cast e chiaramente ispirato a Le mille e una notte, si basava su una stretta collaborazione tra l’artista e il suo pubblico. Ogni mattina, la Campbell pubblicava sul suo sito una parola o una frase estrapolate dalle notizie riguardanti il Medio Oriente e invitava chiunque se la sentisse a scrivere una storia a partire da quelle. Ogni notte per milleuno notti, la Campbell avrebbe poi letto la storia che riteneva migliore in una performance recitativa trasmessa sul web in tempo reale e solo in tempo reale: i milleuno video dei racconti di 1001 Nights Cast non furono archiviati e oggi, fatta eccezione per qualche breve estratto, non sono più disponibili.2 Tale scelta avvenne

2 Le storie rimangono invece archiviate in forma scritta e sono tuttora disponibili sul sito.

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probabilmente in omaggio alla tradizione orale nella quale ogni racconto è legato a una sua specifica e irripetibile performance narrativa alla quale si assiste solo se si è presenti in quel preciso momento. Coloro i quali erano presenti alla trasmissione di questi milleuno video assistettero però a una performance ben particolare: l’inquadratura della camera era focalizzata esclusivamente sulle labbra in movimento della Campbell mentre il resto del volto e l’interezza del corpo erano lasciati al di fuori dell’immagine. La Scheherazade del ventunesimo secolo narrava senza essere vista e chi dava voce alle milleuno storie scritte da molte mani era solo una bocca indistinta. Segno forse che il gruppo di scrittori alle sue spalle era diventato talmente grande da apparire anch’esso indistinto?

Alla fine dei milleuno giorni furono duecento quarantatré le persone che scrissero le milleuno storie: assai meno di quanto sarebbe stato tecnicamente possibile ma di certo molte di più rispetto al collettivo minimo di cui parla Lévy e anche ai gruppi di scrittori sinora incontrati. A dispetto della loro quantità, i nomi dei duecento quarantatré partecipanti sono riportati ciascuno in calce alla relativa storia, così come sono sempre riportati i nomi dei giornalisti e gli articoli da cui ciascuna storia ha preso le mosse. Tutti i nomi che si celano dietro i racconti, compreso quello della Campbell che li adeguava alla recitazione, sono dunque esplicitati: l’esatto opposto di un anonimato.3 Eppure sarebbe difficile negare che l’effetto complessivo di

1001 Nights Cast sia simile a quello suscitato dalla sua Scheherazade: una sequenza di storie che provengono da una bocca priva di volto e che, in forma scritta, rimangono ora come «ghosts of their one-time voicing».4

Milleuno storie composte da un insieme indistinto di persone e, escluso il nome della loro promotrice, finanche anonimo.

A prima vista, questo può sembrare davvero strano. Non solo, infatti, i nomi dei partecipanti ci sono, ma risultano anche nettamente separati. 1001 Nights Cast è costituito da una serie di racconti differenti ed è quindi un testo facilmente scomponibile e individualizzabile. La situazione non è tanto diversa da quella già osservata nei testi a staffetta online, anch’essi peraltro costituiti da contributi nettamente separati: il gruppo impegnato nella scrittura collettiva non nasconde i nomi dei suoi componenti ma questi rimangono comunque pressoché invisibili. A ragione di ciò concorre senza dubbio la scala delle scritture che vi sono alla base. Un gruppo di parecchie decine o persino di alcune centinaia di persone, benché dotate di precise

3 Ciascuna storia riporta, a sinistra, il nome del giornalista e il link del suo articolo da cui

sono tratte le parole che hanno funto da ispirazione. In calce alla storia, si legge la dicitura «adapted for performance by Barbara Campbell from a story by…»

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identità, può risultare sempre troppo grande per poter essere adeguatamente determinato e nominato. Come anticipato, però, c’è ben altro in gioco.

Ciascun racconto di 1001 Nights Cast, si legge nella presentazione, è stato scritto «by a pool of (by the end) 243 writers scattered across the globe». È una descrizione che ricorda quel che Jeff Bezos, CEO di Amazon, disse di Murder Makes the Magazine: un testo a staffetta a cui avevano tentato di partecipare «thousands of authors» e che era stato seguito da «people from all over the world». In entrambi i casi, quel che si delinea è l’immagine di un gruppo vasto ma soprattutto aperto. Barbara Campbell non aveva affidato la stesura dei racconti a un numero di persone selezionate e a scriverli furono «243 scrittori sparsi per il mondo». Né questo era accaduto in Murder Makes the Magazine o negli altri testi a staffetta sul web. La partecipazione era stata aperta a chiunque ed è proprio questa apertura, ben più che il numero elevato, a cambiare – e forse cancellare – l’aspetto di un gruppo.

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