Molti altri romanzi collettivi perseguono un obiettivo differente. In The King’s Men, ad esempio, il testo non riflette la pluralità delle mani dei quattro partecipanti ma sembra piuttosto raggiungere un’unità e un’uniformità considerevoli. «Their several handwritings», si legge in una recensione del tempo, «are well amalgamated. It would puzzle any one, we think, to separate the manuscript into its four component authorships».27 Benché
Grant, Wheelright, O’Reilly e Stimson non si fossero nascosti come scrittori del romanzo, avevano fatto in modo che, nel romanzo, la loro scrittura fosse congiunta in una storia e in una narrazione che non mostrasse evidenti cambi di mano e di voce.
Il che si può dire anche de Lo Zar non è morto, il «grande romanzo d’avventure» scritto da I Dieci, ma con un necessario distinguo. I capitoli del romanzo – afferma Marinetti – sono sì dovuti alla penna dei vari scrittori ma dieci capitoli in particolare furono scritti singolarmente da ciascuno dei dieci partecipanti. Al pubblico venne poi chiesto di indovinarli in un vero e proprio «grande concorso a premi». «I lettori», si legge nel regolamento, «sono invitati ad indicare questi capitoli originali proponendo il nome del rispettivo scrittore e tenendo presente che ogni autore ha assunto la paternità di un solo capitolo in tutto il romanzo».28 Quanto meno in piccolo,
sembrerebbe dunque riproporsi una situazione di, per così dire, collettività evidente nella forma e nella narrazione. In realtà, nonostante i «miliardi di chilometri» che Marinetti sosteneva esserci tra i dieci scrittori partecipanti,
così sono anche divisi i personaggi principali. In The Affair at the Inn le tre scrittrici danno voce a tre personaggi femminili, mentre l’unico scrittore parla per l’unico personaggio maschile. E questo andamento viene confermato, più o meno perfettamente, da molti altri romanzi collettivi quali La Croix de Berny e Keeping Mum.
27 Recensione apparsa su Literary World e citata in S. Ashton, Collaborators in Literary America
1870-1920, cit., p. 57.
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nelle pagine de Lo Zar non è morto non paiono ravvisarsi mai stacchi notevoli né dal punto di vista stilistico né da quello narratologico. Francesca Medaglia, che su Lo Zar non è morto ha condotto un’analisi testuale ravvicinata, ne parla come un romanzo “creolizzato” nello stile e nella scrittura e il concorso proposto, ne conclude, può essere allora considerato come «un gioco impossibile da risolvere e fortemente provocatorio alla maniera futurista».29 In modo analogo a quattro scrittori di The King’s Men, i
dieci de Lo Zar non è morto, presentano un romanzo scritto sì collettivamente ma la cui scrittura si mostra tutto sommato omogenea.
L’obiettivo di una scrittura collettiva omogenea è poi esplicitamente affermato in Caverns. Nella sua introduzione, Ken Kesey racconta uno dei primi problemi incontrati dopo la suddivisione della scrittura tra i quattordici partecipanti:
The trouble was, I quickly saw, that the prose being brought in was going rapidly purple, like bothered bruises. Segments were becoming involuted – worked and reworked. Personal! When we tried to sew these pieces together we came up with a monstrosity that only Mary Shelley could love.30
Quei «cleansy weaver’s knots» che nella scrittura di Six of One by Half a Dozen of the Other venivano lasciati e finanche esibiti come garanzia di maggiore realismo vengono qui invece avvertiti come un inconveniente da risolvere. Una scrittura collettiva che mostra la sua eterogeneità di partenza è vista come una scrittura-Frankenstein, una mostruosità che necessita di interventi ulteriori. La soluzione, per quel che riguarda Caverns, fu la decisione di non scrivere «any of this novel apart from each other»31 ma di
farlo in presentia di tutti i partecipanti che, seduti a uno stesso tavolo, dovettero progettare e comporre il testo gli uni accanto agli altri. Il risultato finale fu per l’appunto un romanzo che, nella sua scrittura, non lascia intravedere segni – “ferite” e “cicatrici” – della sua genesi plurale.
Segni evidenti di una genesi plurale, Francesca Medaglia li ravvisa invece in Q (1999) il primo romanzo scritto dai Wu Ming, allora ancora sotto il nome di Luther Blisset, ma non nei successivi. Nella sua analisi comparata dei loro romanzi, Medaglia sostiene infatti l’esistenza di una sorta di percorso progressivo di omogeneizzazione della scrittura o, come direbbe lei, di creolizzazione: se in Q «si possono chiaramente riconoscere diverse mani
29 F. Medaglia, La scrittura a quattro mani, cit., p.115.
30 K. Kesey, “You can’t mistake those burning eyes”, in O. U. Levon, Caverns, cit., p. xvii-
xviii.
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all’interno dell’opera»32, in Altai (2009) queste non sarebbero più riconoscibili.
Il che naturalmente è possibile e, da un certo punto di vista, anche giustificabile: scrivendo insieme per anni, i componenti di un gruppo possono accordare sempre più la loro individuale scrittura secondo un tono comune. Tuttavia, giova qui ricordare quel che si è detto a proposito dei testi dei romanzi a quattro mani. Il lettore di un romanzo, collettivo o meno, non è solitamente un filologo e non legge da filologo. A una lettura profonda e professionale, l’aspetto di un testo è sempre diverso rispetto a una lettura di piacere e, nel caso dei romanzi collettivi, può anche scoprire – o credere di far scoprire – la diversità delle mani coinvolte. In fondo, anche per The King’s Men, accanto alle recensioni che ne decretano l’unità e l’omogeneità, se ne trovano alcune in cui diverse sezioni del romanzo sono ipoteticamente attribuite ai loro rispettivi scrittori. In tal senso, è forse vero che la scrittura dei Wu Ming si va uniformando nel corso degli anni ma è senza dubbio più importante che, in nessuno dei loro romanzi, la loro scrittura si mostri scopertamente divisa. Da Q (1999) a L’armata dei sonnambuli (2014), i romanzi dei Wu Ming sono sì sempre ricchi di stili e anche di narratori diversi ma si tratta sempre di una varietà mai direttamente collegata alla sua scrittura collettiva e che, dopo tutto, è una caratteristica del genere del romanzo tout court. Leggendo una storia, un lettore non va alla ricerca di stacchi e variazioni riconducibili a mani diverse a meno che non siano state rese evidenti. E in tutti questi romanzi ciò non avviene: sono sì romanzi collettivi ma che non usano – non mostrano – la collettività della loro scrittura nella loro scrittura.