La natura eterogenea di queste grandi e aperte scritture collettive era apparsa chiara sin da subito. Dopo averne seguito e analizzato nel concreto diversi casi è però adesso possibile affrontare direttamente la questione. Che cos’è, ad esempio, Invisible Seattle? Il romanzo di una città o la scrittura di un romanzo da parte di una città? E A Million Penguins, In territorio nemico, Letter to an Unknown Soldier, Mr. Beller’s Neighborhood cosa sono? I loro testi o, rispettivamente, un esperimento socio-letterario, una fabbrica della scrittura, un memoriale collettivo e una mappa in progress di una città? E che dire poi di Textopia, di [murmur] e dei loro spazi letterari geo-localizzati o di Netprov e delle sue narrazioni multimediali e improvvisate?
Dare una risposta netta non è semplice. Tutti questi casi possiedono certamente una dimensione testuale, e sono dunque osservabili come prodotti verbali e letterari. In quanto tali, confermano oltretutto alcune delle costanti mostrate da altri e ben più convenzionali – e facilmente classificabili – testi collettivi. Benché non si possa quasi mai parlare propriamente o solamente di romanzi, anche in queste grandi e aperte scritture collettive si possono ad esempio ritrovare tracce più o meno evidenti della letteratura di genere. In territorio nemico si forma consapevolmente e apertamente come romanzo storico. La ricerca dello scomparso Proteus di Invisible Seattle deve molto alla detective story e in particolare all’hard boiled. In parecchie storie di
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Mr. Beller’s Neighborhood, nelle lettere di Letter to an Unknown Soldier e tra i tweet e post di alcune narrazioni Netprov si può rintracciare l’influenza della letteratura rosa e sentimentale. E segni e marche di genere non mancano nemmeno in A Million Penguins, massimo esperimento della libertà creativa delle folle: tra le sezioni del wiki novel ci si può infatti imbattere in proposte e bozze riconducibili alla crime fiction e alla fantascienza.
Sempre osservati nella loro natura testuale, queste stesse opere presentano poi spesso caratteristiche di forma e narrazione che si possono ormai considerare tipiche della scrittura letteraria collettiva: l’ampiezza della storia, la moltiplicazione dei personaggi, la frammentazione e distribuzione dei punti di vista e delle voci narranti. Si tratta di elementi quasi sempre riscontrabili in scritture portate avanti da gruppi di più persone e che, in scritture aperte a gruppi di moltissime persone, possono anche assumere aspetti particolari. Si pensi alle storie di Netprov nelle quali la consueta attribuzione di un personaggio a ciascun partecipante della scrittura collettiva raggiunge il suo parossismo trasformandosi in una coincidenza totale, e a volte neanche consapevole, tra persona-scrittore-personaggio.
Costanti e punti di contatto con i romanzi collettivi considerati in precedenza sono dunque rintracciabili. E tuttavia, al contempo, risulta anche abbastanza evidente che con queste opere si è di fronte a qualcosa di molto diverso. Nelle loro varie descrizioni una parola sembra difatti ripresentarsi con una frequenza sospetta: progetto. «For the time being», scrive Rob Wittig a proposito delle azioni degli Invisibili, «we have come to call just about everything a “project”. Project with the accent on the Greek prefix pro-». E il prefisso pro- indica ciò che viene prima, ciò che è stato pensato in anticipo, ciò che è ancora, solo, potenziale. In molti dei casi presi qui in esame, la scrittura collettiva inizia in effetti con una domanda in attesa di risposta: chiedere in prestito una parola a un passante, sapere se una comunità wiki può scrivere un romanzo, immaginare che lettera stia leggendo un soldato. In forma interrogativa o meno, quello che si ritrova sempre è cioè un invito aperto al quale è affidato il compito di attirare e formare il grande gruppo di scrittori. Si tratta di una situazione che ricorda la pragmatica della conversazione più volte studiata in linguistica. L’invito si pone come una sorta di opening up della scrittura: si chiede a chiunque di prender parte a un qualche progetto di composizione collettiva e si aspetta una risposta positiva – molte risposte positive – in grado di farlo cominciare. Per ottenerle, bisognerà dunque presentare un progetto allettante e soprattutto ben organizzato.
Ovviamente, la presenza e anzi la preesistenza di un progetto si danno anche in scritture collettive più chiuse e tradizionali. Lì, però, i componenti del gruppo sono noti e determinati – e di numero solitamente ristretto
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all’ordine della decina – e possono quindi stabilire, discutere, e modificare il piano e gli obiettivi della loro scrittura in maniera più o meno informale e continuata. Nella scrittura collettiva aperta su larga scala, il progetto deve invece consentire a centinaia, se non migliaia, di persone di collaborare senza doversi continuamente parlare, conoscere, e mettere d’accordo. La sua organizzazione, le sue regole e le sue limitazioni devono allora essere ben più formali, persino più restrittive. Ecco allora che si stabilisce di adoperare un certo numero di parole, di basarsi su dei materiali dati, di compilare delle schede precostituite, di ambientare storie in un certo luogo, di usare elementi di un certo luogo per scrivere delle storie, e così via al punto che, come afferma Scott Rettberg, «some collaborative writing projects are essentially nothing but constraints».91
Inizia quindi ad apparire più chiaro il motivo per cui questi testi collettivi non sono solo, e non tanto, testi e perché, di conseguenza, la centralità del loro processo di scrittura spesso sopravanza quella più consueta del prodotto. Come si scrive insieme è un interrogativo che si è visto comparire pressoché ogni volta ci si trova di fronte a un testo scritto a più mani. E quante più mani sono coinvolte, tanto più tale curiosità risulta solitamente maggiore proprio perché risulta evidente che debba esserci un modo particolare in grado di farle collaborare. Quando però un testo collettivo si forma in base a un progetto aperto a chiunque, il suo processo di scrittura viene esplicitamente presentato come parte integrante dell’opera e passa progressivamente in primo piano. Lo si era intravisto nei primi testi a staffetta online e opere come Invisible Seattle, A Million Penguins, In territorio nemico, Letter to an Unknown Soldier, Mr. Beller’s Neighborhood, Textopia non fanno altro che confermarlo. Più che testi assai differenti tra loro, questi sono progetti – e quindi processi – di scrittura collettiva assai differenti tra loro. Sono dei modi diversi di intendere, organizzare e adoperare il lavoro di vasti gruppi di scrittori. «Some collaborative writing projects», diceva Rettberg, «are essentially nothing but constraints». Ma si potrebbe anche dire che molti progetti di scrittura collettiva sono essenzialmente progetti e dunque, poi, essenzialmente processi. In questi casi, la scrittura collettiva sembra infatti divenire un fine in sé mentre il prodotto-testo assurge a una parte secondaria e spesso inferirorie rispetto all’ampiezza del processo. Il testo di Invisible Seattle, ad esempio, è solo una piccola parte di una ben più grande manifestazione culturale e artistica di coinvolgimento pubblico. In territorio nemico è il risultato di quindici mesi del funzionamento di una particolarissima catena di montaggio e di più di due anni di studio e discussione di una comunità virtuale. E lo stesso si potrebbe dire di quasi
91 S. Rettberg, “All Together Now: Collective Knowledge, Collective Narratives, and
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ogni altro progetto di scrittura collettiva analizzato: grandi, grandiosi processi che, sotto gli occhi di tutti, danno progressivamente forma a più piccoli risultati.
D’altronde, la prova più evidente che il processo di scrittura collettiva è diventato l’elemento fondamentale è proprio la sua sopraggiunta visibilità. Nei gruppi più tradizionali, delimitati e predeterminati, come si scrive insieme rimane nascosto al di là di una porta di uno studio. E questo non cambia nemmeno quando metodi e motivazioni dello scrivere insieme compaiono nelle pagine del testo, nelle varie prefazioni e postfazioni che si è visto caratterizzare molti romanzi collettivi: la scrittura collettiva viene qui sì discussa e analizzata, diviene sì centrale, ma, nella concretezza della sua azione, rimane ugualmente invisibile. Nei grandi gruppi aperti, il processo di scrittura collettiva diviene invece visibile e manifesto nel suo stesso svolgimento. Si pensi a Invisible Seattle dove è condotto addirittura in spazi pubblici, o A Million Penguins dove la scrittura e la discussione sulla scrittura avvengono in contemporanea e sulle medesime pagine, o anche alle storie Netprov nelle quali il processo di scrittura ha come obiettivo primario proprio il farsi notare, e quindi durare, il più a lungo possibile. Queste scritture collettive, e in fondo lo si era già detto a riguardo di A Million Penguins, sono dunque fortemente performative. Aprendosi a chiunque, il loro interesse principale pare situarsi nell’organizzazione e nell’esibizione delle potenzialità creative di grandi gruppi di persone. Il testo da scrivere è certo il risultato da raggiungere ma la sua scrittura è il vero elemento da mostrare e considerare. Il processo partecipativo diviene più grande e più importante del suo prodotto e questo, come ovvio, non è privo di conseguenze né di rischi. Dal libro Collaborative Futures:
There is a risk of making a fetish of process over product, of the act of collaboration over the artifact that result from it. […] Does open collaboration serve a purpose or it is more like a drum circle, way more fun and interesting for the participants than for those who are forced to listen to it?92
Se la scrittura collettiva di questi grandi gruppi aperti diventa un atto principalmente performativo, finisce con il produrre se stessa e poco altro. A prenderne parte, si può allora godere della sua azione e cercare di determinarla. Ma che senso potrebbe poi avere, in generale e per un ipotetico pubblico, un processo di scrittura che sopravanza il suo testo? Una scrittura più grande e importante dei testi che produce è in effetti un oggetto alquanto
92 Anonymous, Collaborative Futures. The Future of Collaboration, Written Collaboratively, San
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anomalo sia per gli studi letterari sia per la pratica quotidiana. Tanto in un’analisi accademica quanto in una lettura di piacere, il testo è difatti il protagonista assoluto e si sa bene come analizzarlo e come esperirlo. Se invece il testo passa in secondo piano o addirittura scompare fagocitato dal processo di composizione, molto deve cambiare sul piano della ricezione e della valutazione. Henry Jenkins, guru della participatory culture:
We should not reduce the value of participatory culture to its products rather than its process. Consider for a moment, all of the arts and creative writing classes being offered at schools around the world. Consider, for example, all of the school children being taught to produce pots. We don’t do this because we anticipate that very many of them are going to grow up to be professional potters […] We do so because we see a value in the process of creating something, of learning to work with clay as a material, or what have you. There is a value in creating, in other words, quite apart from the value attached to what we create.93
Ogni processo di creazione avrebbe dunque un valore intrinseco, piuttosto indipendente dal suo prodotto. E se il processo di creazione diventa, come in questi casi, l’elemento principale, ne consegue che il valore principale andrà ricercato proprio nel processo. L’interesse e il valore di questi grandiosi progetti di scrittura collettiva risiederebbero cioè in quel che di teorico e concreto consentono di immaginare e di raggiungere durante la loro stessa esistenza. «Participation gives meaning», afferma Stuart Moulthrop riguardo il significato di molti progetti di scrittura collettiva sul web e, dopo tutto, la partecipazione fa parte del processo molto più che del prodotto. Prima allora di vedere un rischio del «feticismo del processo» bisogna tenere in conto quel che di buono e interessante può accadere durante quest’ultimo, quali valori e significati possono emergere nello scrivere insieme. Sin da bambini, dice Jenkins, ci viene in fondo insegnata l’importanza dell’azione slegata dal suo risultato, e non bisognerebbe dimenticarlo. Ma lo dice in un articolo intitolato “In difesa della spazzatura” e anche questo non bisogna dimenticarlo.