Una rivalutazione positiva dell’alterità, l’abbattimento di barriere all’interno del campo letterario, la formazione di comunità culturali di scambio e discussione: se si vuol trovare interesse e valore nel processo di
183
scrittura collettiva di questi gruppi, lo si può trovare molto facilmente. E tuttavia una scrittura letteraria collettiva concentrata sul suo processo compositivo rimane ambigua. Sostenere che la partecipazione fornisca il significato e che nel processo vi sia un valore intrinseco non è infatti sufficiente per determinare valori e qualità specifici. Ogni scrittura collettiva in quanto tale prevede un processo partecipativo e se questa sua necessità diventa la sua principale virtù, si può sempre sospettare che stia facendo di necessità virtù: adottare un grande processo partecipativo per ottenere un riconoscimento d’interesse e di valore a prescindere. Per sfuggire a quella che sarebbe una tautologia qualitativa, bisogna allora trovare dei criteri in grado di analizzare lo stesso processo. Se la scrittura collettiva aperta su larga scala è essenzialmente un atto performativo, bisogna cioè imparare a leggere e giudicare più che il suo testo la sua performance.
Esaminando la SIC e la scrittura del suo Grande Romanzo Aperto, si è avuto modo di constare la sua unicità: In territorio nemico è, ad oggi, l’unico romanzo scritto dalla “fabbrica” della SIC la quale, dopo averlo prodotto, sembra aver addirittura chiuso i battenti. A motivazione di ciò si sono addotte ragioni particolari ma, a ben vedere, il discorso è assai più ampio. L’algoritmo di Invisible Seattle, ideato per far scrivere a ogni città il proprio romanzo, fu alla fine adoperato una volta sola. La scrittura narrativa di A Million Penguins tramite il software di MediaWiki resta un caso isolato. La mappa di storie di New York di Mr. Beller’s Neighborhood non ha eguali così come il memoriale collettivo di Letter to an Unknown Soldier. Tutti questi progetti non sono solo profondamente diversi tra loro ma sembrano essere anche sostanzialmente irripetibili.
Non si tratta certo di una loro caratteristica esclusiva. Ad eccezione delle coppie, i gruppi di scrittori tendono spesso a considerare la loro collaborazione un’esperienza che non ammette repliche. Di fatto, la dose di sperimentalismo presente nella scrittura collettiva tout court, e soprattutto in quella che comprende numeri considerevoli di partecipanti, fa sì che i testi prodotti restino il più delle volte unici. Nei gruppi aperti e nella scrittura collettiva su larga scala tutto ciò coinvolge però un aspetto ulteriore. Nel momento in cui il processo partecipativo diviene l’elemento principale, è l’originalità di quest’ultimo a risultare un criterio determinante. Se la performance letteraria collettiva è stata già vista, non ha infatti molto senso riproporla: una volta che un processo è stato proposto, intrapreso e mostrato, questo perde interesse e valore. Non si tratta più di dover presentare un testo ogni volta diverso da parte di un gruppo ogni volta diverso. Bisogna piuttosto ideare e organizzare un processo ogni volta diverso. In tal senso, è possibile, persino probabile, che esistano altre fabbriche di scrittura, altri romanzi scritti da una città o alla maniera di Wikipedia, altre mappe di
184
storie, altri memoriali collettivi. Ma il fatto che non emergano facilmente o con lo stesso livello di partecipazione è per l’appunto sintomo della loro ormai scarsa originalità.94
Accanto all’originalità, proprio il livello di partecipazione sembra essere un altro criterio utile per analizzare e giudicare una scrittura collettiva su larga scala. In tutti i progetti osservati, dalle ricerche strada per strada di Invisible Seattle ai tweet e re-tweet di Netprov, si riscontra il medesimo obiettivo di partenza: coinvolgere il maggior numero di persone possibile. La risposta quantitativa è dunque un fattore che non può essere trascurato. La mappa digitale di Mr.Beller’s Neighborhood ha coinvolto, nel tempo, diverse centinaia di persone. La mappa reale di Textopia ne ha coinvolte poche decine. Questo non significa certo che la prima sia migliore della seconda ma che il suo processo di scrittura abbia attirato molti più scrittori è dato un fatto e deve essere preso in considerazione: Mr. Beller’s Neighborhood ha avuto più successo partecipativo di Textopia e le ragioni, quali che siano, devono interessare. In dei progetti collettivi aperti a tutti, la componente quantitativa è difatti tutt’altro che accessoria: è indice dell’interesse suscitato dall’idea di partenza, della funzionalità del progetto approntato, della formazione o meno di una comunità dedicata.
Più dell’originalità e della quantità, il criterio fondamentale per determinare la qualità di un processo partecipativo sembra però essere la sua visibilità. E per una ragione molto semplice: affinché si possa giudicare un processo di scrittura è anzitutto necessario poterlo osservare chiaramente. Leggendo il forum della SIC mentre era in corso la scrittura di In territorio nemico era ad esempio possibile analizzare e valutare il funzionamento del metodo e la solidità della sua comunità. Seguendo in tempo reale la narrazione di Occupy MLA di Netprov era invece possibile considerare la capacità dei partecipanti di improvvisare dialoghi e allargare la storia su altre piattaforme. Di fatto, quanto più un processo partecipativo è visibile, tanto più risulta comprensibile, apprezzabile o criticabile nella struttura a cui dà forma e nelle abilità che richiede e stimola. In tal modo, la visibilità riscontrabile in questi gruppi può contrastare quell’effetto di «drum circle» per cui si diverte solo chi ne fa parte e chiamare invece in causa, favorendoli, i due elementi precedenti. La maggiore o minore visibilità di un processo
94Un esempio evidente. Il già citato Humans of New York conta una pagina Facebook con più
di diciassette milioni di followers, svariate iniziative internazionali e libri ricavati. Dalla sua nascita, si sono diffusi progetti analoghi dedicati ad altre città (Berlino, Amsterdam, Londra, Parigi, Napoli…) ma il loro successo non è per nulla paragonabile a quello del progetto capostipite. Certo, New York è forse davvero la città più affascinante del mondo ma è altrettanto probabile che, in tutto ciò, si tenda a premiare il progetto, e l’idea, primigenia.
185
determina il coinvolgimento di più o meno partecipanti e permette alla sua eventuale originalità di mostrarsi più o meno chiaramente.
Tuttavia, la visibilità di un processo è una questione temporale. Ogni processo di scrittura collettiva si dispiega, e quindi si mostra, lungo un certo periodo di tempo al termine del quale restano visibili solo i suoi più piccoli risultati, siano essi un “buon libro” come nella SIC e in Invisible Seattle o, come nel caso di Netprov, un archivio di tweet e link di varia natura. Sembra dunque essere presente un ineliminabile elemento di precarietà. L’interesse e il valore di queste scritture collettive sembrano cioè essere profondamente legati alla durata della loro performance: una volta terminata e non essendo più visibile, anche la sua eventuale qualità sarà di difficile, se non impossibile, determinazione. Si tratta certo di un aspetto di caducità non inconsapevole e, si pensi ai racconti in diretta e solo in diretta di 1001 Nights Cast, a volte anche ricercato. È però innegabile che si tratti anche di un aspetto castrante. Se queste scritture collettive e i loro testi desiderano entrare stabilmente nel dibattito letterario devono in qualche modo durare. Devono cioè rendere visibile, o almeno comprensibile, il loro processo anche dopo la sua fine. Philip Wohlstetter, trent’anni dopo la pubblicazione del romanzo di Invisible Seattle, il piccolo risultato del grande processo di Invisible Seattle:
If I can swing it, I want to republish the book but change the format: on the recto page, the text of the finished novel; on the verso page, scraps of data (pencil notes, filled-in questionnaires etc.) that show out of what stuff this or that part of the story has been made. Having all this info in an afterword isn’t enough. We need a way of telling a reader how to approach what he or she is reading: don’t judge it the way you’d read a sentence of Proust; read it as an example of how ingeniously the writer has followed the rules of the game.
Le parole di Wohlstetter risultano valide al di là del caso specifico a cui sono riferite. Ciò di cui la scrittura collettiva aperta su larga scala avrebbe infatti bisogno è proprio un modo per dire al lettore come avvicinarsi a quel che sta leggendo, per dirgli cosa sta leggendo, a prescindere dalla componente temporale: non un libro, non un romanzo, non un insieme di testi, lettere o dialoghi, ma diversi processi di scrittura collettiva dei quali quelle parole sono solo una piccola parte. In questa maniera, la qualità e l’eventuale valore resterebbero almeno in parte visibili ed esperibili anche al termine del processo di scrittura. Il lettore vi assisterebbe per così dire “in differita” e pur non potendovi più intervenire sarebbe in grado di sapere cosa è successo, come è successo, perché, e anche chi vi ha preso parte.
186