Je est un autre dichiarò con gusto paradossale Arthur Rimbaud esprimendo così la separazione e la frantumazione del soggetto tanto nella vita quanto nel processo di scrittura. Io è un altro. Pur denunciando la perdita d’integrità dell’Io, Rimbaud scrisse però, nei fatti, senza «un altro», con una sola mano: la propria. Nella storia letteraria, vi sono invece dei testi in cui, quanto meno per quel che riguarda il processo di scrittura, la separazione e la frantumazione del soggetto avviene su un piano ben più concreto. L’Ami Fritz, Germinie Lacerteux, The Gilded Age, Romance, Some Experiences of an Irish R.M., Un modelo para la muerte, Novas cartas portuguesas, La donna della domenica, Anna dagli occhi verdi, The Crown of Columbus… In questi e molti altri romanzi, l’Io scrivente diviene davvero plurale e separato poiché si compone di due alterità effettivamente diverse: Io e un altro. Il numero della mani che scrivono raddoppia e la scrittura inizia a farsi realmente collettiva. O forse no.
La definizione di scrittura collettiva come scrittura praticata da più individui che hanno intenzione di produrre un testo comune comprende la scrittura di due individui. Allo stesso tempo, però, è difficile ignorare che quest’ultima è spesso considerata una scrittura a parte. Il solo fatto che possa essere identificata con una sua dicitura specifica, scrittura a quattro mani, mostra di per sé la posizione particolare occupata all’interno della scrittura collettiva, una posizione particolare e, come accennato, anche privilegiata. La
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netta maggioranza degli studi dedicati alla collaborazione in letteratura si occupano infatti dei testi e della scrittura di due soli individui e li trattano, per l’appunto, come un argomento a sé stante, concluso in sé. Due persone che scrivono insieme sembrano quindi compiere un’azione sia diversa sia, per così dire, più interessante rispetto alla scrittura di tre, quattro o più persone. Ma perché?
«The only collaboration»: Matthews e Besant
In uno dei primi studi pubblicati sulla collaborazione letteraria, lo scrittore e critico americano Brandon Matthews sostiene un’esplicita riduzione di campo. In The Art and Mystery of Collaboration (1890), la scrittura a quattro mani è la collaborazione letteraria. È l’unica scrittura collettiva possibile:
It is the association of two, and of two only, to which we refer generally when we speak of collaboration. In fact, literary collaboration might be defined, fairly enough, as “the union of two writers for the production of one book”. This is, of a truth, the only collaboration worthy of serious criticism, the only one really vital and pregnant.1
Due anni dopo, dall’altra parte dell’Atlantico, Walter Besant pubblica On Literary Collaboration (1892),2 un breve saggio in cui si discosta da alcune
convinzioni espresse da Matthews ma in cui, nuovamente, la collaborazione letteraria sembra essere un affare esclusivo per non più di due scrittori. Sia Besant sia Matthews, va detto, avevano avuto esperienza diretta con la scrittura a quattro mani: Besant aveva pubblicato dieci romanzi con James Rice, Matthews aveva invece scritto per lo più racconti, in diverse occasioni e con diversi colleghi. Tuttavia, già a fine Ottocento e in particolar modo negli Stati Uniti dove Matthews compone il suo saggio, la scrittura collettiva di più vasta scala era nota e anche alquanto diffusa. È dunque difficile motivare l’interesse così aritmeticamente limitato dei loro saggi sulla sola base della loro pratica personale. D’altra parte, quando Matthews specifica che la collaborazione letteraria è l’associazione di due e soltanto di due scrittori è evidente che non la sta solo descrivendo ma anche distinguendo da qualcos’altro. Ancora da The Art and Mystery of Collaboration:
1 B. Matthews, “The Art and Mystery of Collaboration”, in in Id., The Historical Novel and
Other Essays, New York, Scribner’s Sons, 1901, pp. 298-299.
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A few years ago, four clever American story-tellers cooperated in writing a satirical tale, the “King’s Men”; and long before, four brilliant French writers, Mme. de Girardin, Guatier, Sandeau, and Méry, had set them the example by composing that epistolary romance, the “Cross of Berny”. There is an English story in six chapters by six authors […] and there is an American story happily entitled “Six of One by Half a Dozen of the Other” […] For the most part these combination-ventures are mere curiosities of literature. Nothing of real value is likely to be manufactured by a joint-stock company of unlimited authorship.3
Per Matthews è dunque una questione di qualità. Le collaborazioni letterarie che coinvolgono più di due persone esistono, e sono anche parecchie, ma costituiscono «semplici curiosità della letteratura». Anzi, a ben vedere, non sono più nemmeno delle collaborazioni letterarie. Sono combination-ventures, joint-stock company, che non “scrivono” né “compongono” bensì “fabbricano” testi che non potranno essere di grande valore. Nella scrittura di quattro o sei persone Matthews scorge l’aspetto sgradevole del mercato e decide di separarla nettamente dalla scrittura di due persone nella quale, invece, ritrova ancora una parvenza di arte letteraria. E a differenziare, e salvare, la scrittura a quattro mani è secondo Matthews – ma anche secondo Besant – il suo carattere maggiormente e potenzialmente individuale.
Pur essendo loro stessi dei prolifici collaboratori, sia Matthews sia Besant concepiscono infatti la scrittura letteraria – la vera scrittura letteraria – come una scrittura fondamentalmente individuale. Nella stessa The Art and Mystery of Collaboration, Matthews si premura di ricordare che la letteratura che aspira alle «cime gemelle del Parnaso» appartiene esclusivamente «to the lonely student».4 E Besant, nella sua autobiografia, lo conferma senza
possibilità di incomprensione: «an artist» scrive «must necessarily stand alone».5 Se accettano e praticano la scrittura a quattro mani, Matthews e
Besant lo fanno allora come una sorta di deroga a ciò che considerano la vera scrittura letteraria, una deroga sì possibile ma entro certi limiti: quanto più ci si allontana dal soggetto della vera letteratura, ossia l’artista solitario, tanto più ci si allontana dalla vera letteratura. Per entrambi, l’obiettivo di ogni collaborazione letteraria è quindi scrivere come se si fosse un singolo individuo e questo è – o sembra essere – ancora realizzabile se si è in due ma non in numeri maggiori. Più che l’unica scrittura collettiva, la scrittura a quattro mani sarebbe allora l’unica accettabile, la sola a poter vantare
3 B. Matthews, “The Art and Mystery of Collaboration”, cit., pp. 297-298. 4 Ivi, p. 305.
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un’aurea di letterarietà: la migliore scrittura collettiva e proprio perché la meno collettiva di tutte.