In realtà, anche molti romanzi collettivi non a staffetta videro la luce su dei periodici prima di essere pubblicati in volumi completi: La Croix de Berny, Six of One by Half a Dozen of the Other, The King’s Men, Lo zar non è morto. Per tutto l’Ottocento e fino agli inizi del Novecento si trattava in fondo di una pratica comune e che prescindeva dal numero degli scrittori coinvolti e dal metodo di scrittura impiegato. Ma che un romanzo a staffetta appaia su un giornale e per conto di un giornale è una cosa che, nello specifico, non può essere tralasciata. La sua scrittura sequenziale diventa infatti anche una scrittura – e una lettura – seriale, e questo comporta delle importanti conseguenze dal punto di vista dell’autore e del lettore
Scrivere un romanzo a staffetta direttamente per un unico volume e leggerlo direttamente nella sua interezza enfatizza inevitabilmente tutti quegli elementi di casualità e competitività che possono essere avvertiti, tanto dagli scrittori quanto dai lettori, come debolezze e difetti. Ma una scrittura e una lettura a puntate possono temperare questi stessi caratteri e renderli persino piacevoli. Non dovendo subito costituire una “cosa complessa”, gli scrittori partecipanti risultano per esempio meno gravati dall’assenza di un loro controllo complessivo e possono scrivere i propri contributi come fossero davvero dei testi a sé. E in una pubblicazione seriale è proprio così che i lettori li leggeranno: come una successione non continua in grado di far risaltare la loro eventuale qualità singolare e far passare in secondo piano il loro probabile stridente aspetto collettivo. Un’ultima citazione da Susanna Ashton:
[…] the audience of magazine fiction was simply less disconcerted than modern readers might be by interruptions, breaks, and what we might term stylistic jolts. […]. Without the earlier installment fresh in their minds for comparison, audience might well have been more willing to accept the new installment as the controlling voice, and not the voice that had been established previously.86
De Castro. La maledizione del Faraone apparve invece sui numeri 32-36 di Sette Corriere della
Sera del 1995 e fu scritto da Umberto Eco, Giuseppe Pontiggia, Gianni Riotta, Antonio
Tabucchi.
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Una pubblicazione discontinua costituirebbe così il giusto ambiente per un testo in tutti i sensi discontinuo. Non l’azione e il piacere di scrivere e leggere immediatamente una storia coerente e organica, ma l’azione e il piacere di costruire e seguire in progress una storia imprevedibile, vivace, e magari anche aperta a una partecipazione dall’esterno. I dodici capitoli di The Whole Family apparvero sull’Harper’s Bazar senza che il nome dei loro rispettivi scrittori fosse esplicitato. I lettori, i quali erano a conoscenza sia del meccanismo di scrittura sia della rosa degli autori coinvolti, furono invitati a indovinare di chi fosse la mano dietro ciascun capitolo e, stando alla quantità di lettere pervenute, il loro coinvolgimento fu notevole. Il medesimo invito rivolto ai lettori lo si ritrova poi anche in altri romanzi a staffetta come il già citato El enigma Icaria.87
Tutto ciò si ricollega alla già rilevata componente ludica della scrittura a staffetta a cui ora, però, quotidiani e riviste aggiungono un elemento decisivo per allargare il gioco. Da sempre, i periodici coltivano un rapporto stretto e diretto con il loro pubblico e il meccanismo di scrittura di un romanzo a staffetta si presta bene a coinvolgere i lettori tanto a un livello di pura curiosità per “vedere che ne esce” quanto a un livello più partecipativo per “giocare” con quel che ne esce. Indovinare “chi” ha scritto “cosa” è infatti un gioco a tutti gli effetti ed è un gioco che sposta l’interesse dal testo in sé alla sua produzione: si legge per seguire la storia ma anche per trovare il modo di attribuirla a chi la sta scrivendo. In tal senso, la serialità periodica non offre soltanto una lettura discontinua favorevole alle caratteristiche di un romanzo a staffetta ma mette anche a disposizione delle possibilità di interazione in grado di porre al centro quelle stesse caratteristiche. L’inevitabile frammentarietà della narrazione di un romanzo a staffetta diviene allora anche auspicabile e l’assenza di una figura autoriale ben determinata cessa realmente di essere un potenziale problema. Chiedere di ricondurre ciascun capitolo a chi l’ha scritto significa difatti incoraggiare esplicitamente l’individuazione e persino la creazione di più figure autoriali nello scorrere delle puntate. Combinata con la serialità narrativa, la scrittura a staffetta diventa dunque davvero una serialità autoriale: una successione di puntate e una successione di autori ed entrambe hanno la loro importanza.
Nell’età contemporanea, tuttavia, la pubblicazione seriale sembra essere ormai in declino. Di conseguenza, scrittori e lettori attuali sarebbero assai meno disposti ad abbracciare quegli elementi di instabilità e indeterminazione tipici di un testo e di una scrittura a staffetta. Questo, almeno, per quel che riguarda la letteratura – e lettura – cartacea. In effetti, se si parla di interruzioni, svolte, cambi di voce e argomento, e interazioni tra
87 Un invito di questo genere lo si ritrova, come già detto, per Lo Zar non è morto anche se
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testo e pubblico, è difficile oggigiorno non pensare al mondo del web, uno spazio che inoltre procede e si esperisce andando prevalentemente “in avanti” e per blocchi disomogenei. Diviene allora legittimo chiedersi, in chiusura, se la scrittura a staffetta non possa ritrovare tra le pagine digitali un nuovo ambiente ideale nel quale dispiegarsi.