• Non ci sono risultati.

La cultura dell’impresa scuola

La scuola come cultura organizzativa

3.2 La cultura dell’impresa scuola

Dal momento che gli insegnanti sono attualmente chiamati a contribuire all‟efficacia e all‟efficienza complessiva dell‟istituto non soltanto con l‟attività didattica, ma anche attraverso la consapevolezza e l‟assunzione di responsabilità circa il ruolo che svolgono in un sistema sociale complesso qual è quello della scuola220, la loro formazione deve contemplare anche aspetti legati all‟organizzazione e alla gestione della scuola. Per questo motivo, una corretta analisi della questione docente non può prescindere da una lettura in chiave organizzativa della scuola, necessaria per osservarla non soltanto dal punto di vista dei processi pedagogici e didattici, ma anche dal punto di vista della gestione delle risorse e del personale, dell‟organizzazione delle attività, dell‟individuazione di modelli e strategie di governo, delle relazioni con l‟esterno.

In questa prima parte mi soffermerò ad esporre le varie teorie organizzative, partendo da quelle più lontane nel tempo, fino ad arrivare a quelle più recenti ed innovative, con l‟obiettivo di sottolineare il graduale passaggio da una visione prevalentemente oggettiva e rigidamente scientifica dell‟argomento (Taylor) ad una più evanescente e squisitamente soggettiva (Schein).

219 Petrucci C., Culture organizzative e apprendimento, op. cit., p. 20

3.2.1 Il modello “classico”

Il modello organizzativo classico è quello che gli studiosi di organizzazioni definiscono “razionale”, “meccanicistico” o comunemente detto “aziendale”.221 Si tratta di un modello in cui l‟organizzazione è progettata come una macchina, che funziona attraverso dei collegamenti rigidi fra parti interdipendenti, secondo una serie di criteri da cui non si può prescindere. Il primo di questi criteri di collegamento è la linea di comando. Esiste una rigida struttura gerarchica, lungo la quale si trasmettono comunicazioni e decisioni, ed in cui ogni dipendente, collocandosi in un punto preciso, riceve ordini da un suo diretto superiore, mentre ogni superiore controlla direttamente un gruppo di sottoposti, non troppo numeroso. Un secondo criterio importante è quello della specializzazione: ognuno ha un compito preciso da cui non deve assolutamente sconfinare. L‟iniziativa personale deve svilupparsi esclusivamente all‟interno di questo ambito. Il terzo criterio è la distinzione tra linea e staff, ossia la distinzione tra la struttura gerarchica e le aree di particolare competenza professionale necessarie per il buon funzionamento dell‟azienda. Coloro che fanno parte dello staff, dipendenti ad alta qualificazione professionale, devono mettere a disposizione le loro competenze, stando attenti però a non interferire con la linea di comando. Ciascuna unità produttiva, ciascun dipendente, trova spazio formalmente in un organigramma che permette di individuare immediatamente il livello gerarchico ed il campo di responsabilità di ognuno.

Il modello razionale, rappresentazione classica dell‟organizzazione efficiente, ha le sue origini, prima ancora che nelle organizzazioni economiche, nella tradizione della burocrazia222.

Questo modello continua ancor oggi ad esercitare una certa influenza nel mondo della scuola; poiché, per la sua linearità rappresenta una valida alternativa agli equilibri precari, alle zone di arbitrarietà professionale che solitamente caratterizzano il sistema scolastico.

Claudia Petrucci223 cita un episodio della sit-comedy d‟animazione, I Simpson, in cui si mettono in risalto gli aspetti più grotteschi di una scuola che segue un modello meccanicistico estremo:

La piccola Liza Simpson trafuga le soluzioni dei test di profitto proposti settimanalmente a scuola. Privati di quel fondamentale punto di riferimento della catena di montaggio didattica, gli insegnanti vanno in crisi. Assediano allora disperati l‟ufficio del coordinatore di istituto, ma questi, per difficoltà burocratiche, non riesce a garantire in tempo nuovi rifornimenti del prezioso materiale, e viene pure strapazzato dal preside,

221 Morgan G., Images of Organization (1986), trad. it. “Images: le metafore dell‟organizzazione”, Milano, Franco

Angeli, 1989, cap. 2

222 Il concetto venne introdotto negli anni Venti da Max Weber per indicare il fenomeno grazie a cui gli apparati

amministrativi degli stati moderni perseguivano un più alto livello di efficienza, affrancandosi dai rischi di arbitrio dei sistemi tradizionali di autorità (patriarcato, feudalesimo, ecc.). Le caratteristiche dell‟organizzazione burocratica erano: una chiara differenziazione delle responsabilità dei funzionari; la disposizione degli uffici secondo un modello gerarchico; l‟uso di criteri tecnici per il reclutamento degli addetti; il ricorso a norme impersonali per regolare i rapporti tra i funzionari.

timoroso di veder decadere il buon nome della scuola a mano a mano che i giorni passano e non si riesce a far fronte alle scadenze degli accertamenti successivi. Le soluzioni e la normalità verranno ritrovate solo dopo una trattativa estenuante con Liza, che di fronte agli adulti stravolti commenta cinicamente “Però se li guadagnano davvero i loro 15000 dollari l‟anno224.

In verità, come vedremo in seguito, benché per decenni le politiche scolastiche si siano ispirate allo schema classico dell‟organizzazione, non c‟è mai stata un‟applicazione tout court del modello razionale estremo alla scuola, in cui più che di burocrazia meccanicistica bisogna parlare, per usare le parole di Mintzberg, di burocrazia professionale.

3.2.2 La crisi del modello “classico”

Le numerose critiche rivolte alla concezione dell‟operaio robotico, tipica delle organizzazioni meccanicistiche, portarono all‟avvio di una serie di approcci che divergevano dalle teorie classiche dell‟organizzazione. Già nel lontano 1923-24, Elton Mayo aveva condotto degli studi in una tessitura di Philadelphia, dai quali era emerso che la demotivazione e la depressione dei lavoratori era dovuta all‟ambiente di lavoro disumano, caratterizzato dal fatto che gli operai venivano lasciati soli ed abbandonati di fronte alle loro macchine. Mayo si era reso conto di quanto fosse importante la dimensione sociale del lavoro ed il bisogno di collaborazione fra i lavoratori. Le sue ricerche diedero vita alla Scuola delle Relazioni Umane225o Human Relations, e consentirono uno spostamento di interesse dalla struttura dell‟organizzazione, alle relazioni interpersonali tra i membri delle organizzazioni. Chester Barnard226 enfatizzò l‟importanza della collaborazione e di un ambiente più informale, mentre Chris Argyris227, professore alla Harvard Business School, trattò il tema del conflitto tra individuo e organizzazioni ed elaborò la “teoria dello sviluppo organizzativo”, che si fondava sulla mediazione tra le finalità organizzative e quelle individuali. A suo parere, ogni individuo passando dall‟infanzia alla maturità acquisisce qualità positive quali: spirito attivo, indipendenza, interessi profondi, controllo su di sé, assunzione di responsabilità. Argyris notò che troppo spesso il modo di fare delle grandi aziende moderne costringe invece l‟individuo a regredire

224 Ivi, p.30

225 Oltre a E. Mayo la Scuola delle Relazioni Umane si è alimentata degli importanti contributi di C. Barnard e C.

Argyris. Per una conoscenza più approfondita si faccia riferimento a Costa –Nacamulli (1997) e Daft (2002).

226 Chester Barnard (1886 - 1961) fu un executive manager tra i pionieri nel campo del management e degli studi

organizzativi. Egli attribuisce ai capi i compiti e le responsabilità relative sia alla definizione e gestione dei valori dell‟impresa, sia all‟assicurazione dell‟impegno di chi ci lavora. Di rilievo anche il suo concetto di autorità: non basta occupare una specifica posizione nella scala gerarchica, ma è solo l‟accettazione dei subordinati che rende legittimo un ordine. Da ciò deriva la concezione del potere basato sul consenso, sulla comunicazione e sulle qualità morali dei capi. Il suo libro più noto è The Functions of the Executive, Harvard University Press, 1938, nel quale si sostiene che le aziende sono tenute insieme dalle informazioni, invece che dalla proprietà o dall‟autorità.

227 Chris Argyris, Personality and organization, the conflict between system and the individual, New York, Harper,

in uno stato psicologico infantile, prescrivendone i comportamenti. La specializzazione dei compiti aumenta la resa nella singola attività ma inibisce lo sviluppo di altre capacità. Le organizzazioni che adottano il taylorismo non sono interessate a favorire la maturità dei lavoratori, ma preferiscono avere soltanto delle pedine disciplinate, conformiste e bisognose di essere guidate. E‟ necessario, invece, che le direzioni aziendali si rendano conto che più le esigenze umane sono soddisfatte, più aumenta la qualità delle prestazioni e il livello dell‟organizzazione nel suo insieme.

La scuola delle Human Relations costituì la base per studi successivi sulla motivazione e sull‟autorealizzazione che contribuirono a migliorare il rapporto psicologico dei lavoratori con il loro lavoro.

Con il passare del tempo il modello di organizzazione razionale si è rivelato inadeguato e largamente sorpassato. Sembrerebbe, infatti, che il modello classico di organizzazione non serva più neppure alle stesse realtà produttive, visto che perfino nei settori economici tradizionali si parla di abbattimento delle specializzazioni rigide, di delega delle responsabilità a strati più ampi di personale, di diminuzione dei livelli gerarchici228.

Il superamento del taylorismo si basa su due fattori in particolare:

 Le persone che si impiegano, anche in ruoli meramente esecutivi, sono capaci di prendere decisioni.

 Le figure professionali assommano competenze tecniche specialistiche, competenze di gestione dei progetti, competenze di gestione delle relazioni e dei rapporti con il pubblico.

La figura che consente all‟azienda di avere successo è quella di un “lavoratore della conoscenza”, fortemente professionalizzato e con larghi margini di autonomia decisionale. Non si tratta di un semplice aumento di competenze da parte dei soggetti tradizionali che operano nelle imprese o nelle pubbliche amministrazioni, ma si tratta dell‟emergere di un nuovo sistema di produzione, destinato a sostituire il classico modello taylorista. Le rigide divisioni funzionali vengono rimpiazzate da unità capaci di autoregolarsi. Questo avviene grazie alla capacità degli addetti di rispondere alle diverse esigenze del contesto (culturale, organizzativo, tecnologico) in cui operano e, talvolta, di contribuire a definire le caratteristiche di questo contesto.

A tutti i livelli, dal dirigente al tecnico, questi addetti non sono più classificabili in base ai vecchi criteri; anche nelle unità di lavoro a carattere più operativo, le attività includono compiti di innovazione e ricerca e di attenzione al servizio. Si riduce il numero di burocrati addetti alle funzioni di controllo e coordinamento. L‟organizzazione del lavoro non si regola più in dettaglio, ma si forniscono orientamenti e criteri essenziali di condotta, il resto è libero. La ridondanza delle

competenze ed una sovrapposizione di compiti è frequente o, addirittura, incoraggiata, perché consente di arrivare a risultati da diverse strade. Nel team di lavoro, l‟attività individuale varia in funzione di quel che c‟è da fare e delle competenze che ciascuno è in grado di mettere in atto. Siamo di fronte ad un profondo cambiamento del modello organizzativo che sconvolge i vecchi parametri dell‟organizzazione razionale; un modello organizzativo che non gerarchizza più i livelli e le responsabilità, ma si struttura per reti di comunicazione interna; un nuovo tipo di struttura detto ad organizzazione snella che inverte la tendenza burocratica alla divisione del lavoro.

Anche nel settore scolastico, la vecchia organizzazione in cui ciascun insegnante lavorava per sé, all‟interno della propria classe, ed in cui il rispetto delle procedure costituiva l‟unica forma di collegamento, comincia ad entrare in crisi e a non essere più funzionale man mano che gli utenti diventavano sempre più eterogenei da un punto di vista culturale e portatori di nuove esigenze di formazione. Le politiche formative dei paesi sviluppati cominciano a considerare l‟istruzione come una risorsa produttiva in sé, come uno dei fattori fondamentali per lo sviluppo legato alla diffusione di elevati livelli di conoscenza229. Il rapporto tra formazione e lavoro comincia ad evolversi, liberandosi dall‟idea dell‟adeguamento della prima al secondo; persino le metafore organizzative sembrano cambiare; più che parlare di azienda, concetto legato all‟idea del profitto, della gerarchia, si parla di impresa, concetto che evoca piuttosto immagini di intraprendenza e di progetto comune.230

Outline

Documenti correlati