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Come far vivere le comunità di pratica: gli imperativi categoric

La scuola come cultura organizzativa

3.8 La personalizzazione dell’economia della conoscenza: le comunità di pratica

3.8.2 Come far vivere le comunità di pratica: gli imperativi categoric

L‟esistenza di una comunità di pratica reca benefici all‟organizzazione, in quanto, da una parte, favorisce la condivisione delle esperienze interne e l‟osmosi delle idee, accrescendo le opportunità di innovazione e agevolando la scoperta dei talenti tra il personale; dall‟altra, fa sì che si possano costruire relazioni stabili con i colleghi e con il resto dell‟organizzazione; inoltre, favorisce l‟apprendimento continuo e lo sviluppo delle proprie competenze ed aiuta a mantenersi aggiornati sulle nuove conoscenze e sulle migliori pratiche.

In primo luogo, affinché una comunità di pratica abbia la possibilità di accrescere la propria efficacia, occorre che vi sia:

 Una legittimazione della partecipazione; l‟organizzazione presso cui la comunità di pratica sorge deve supportarla, valorizzando le persone responsabili della sua gestione e creando un ambiente favorevole al riconoscimento del valore che la comunità apporta.

 Una negoziazione del contesto strategico; l‟organizzazione deve far emergere chiaramente il senso di come la condivisione di conoscenza sia strettamente legata al raggiungimento delle proprie strategie ed aiutare la comunità al lavoro cooperativo.

 Una capitalizzazione delle esperienze acquisite; per capitalizzare le esperienze acquisite è necessario che la comunità di pratica sia in grado di portare in superficie le buone pratiche esistenti, proprio perché molto spesso le conoscenze di cui l‟organizzazione sente l‟esigenza sono già presenti al suo interno sotto diverse forme ed il compito della comunità di pratica diviene quello di far leva sul capitale cognitivo già esistente.

 Una gratificazione della partecipazione; la scelta di auto-organizzarsi per apprendere più efficacemente deve prevedere da parte dell‟organizzazione riconoscimenti simbolici o formali più che gratificazioni economiche come metodi per motivare i partecipanti a restare nella comunità di cui fanno parte.

 Un supporto materiale; pur essendo autosufficienti, le comunità di pratica potrebbero ricavare un discreto giovamento dalla disponibilità di risorse aggiuntive, quali esperti informatici o della comunicazione.

Un altro imperativo riguarda la necessità di accrescere l‟identità ed il senso di appartenenza della comunità di pratica. Non si può ordinare ad una comunità di nascere, ma si può aiutarla a darsi una maggiore consapevolezza281 attraverso le seguenti azioni:

 Sostenere le comunità informali che già esistono; in ogni organizzazione esistono comunità informali che, talvolta, neppure hanno la consapevolezza di esistere; è importante, dunque, capire cosa sono, aiutarle a darsi un senso di marcia, un‟identità, e a comprendere che non sono un‟entità estranea rispetto all‟organizzazione.

 Chiedere ai membri quali siano le questioni che stanno affrontando; una comunità si alimenta interrogando i suoi membri, per cercare di comprendere le problematiche che li impegnano o li preoccupano.

 Catturare anche i refrattari; in ogni organizzazione si possono trovare persone che non sono attratte dall‟idea di partecipare ad una comunità di pratica. E‟ necessario che vengano create le condizioni affinché anche i refrattari si convincano della difficoltà di compiere reali progressi professionali all‟interno dell‟organizzazione se non si aderisce alle comunità di pratica che si sono costituite spontaneamente al suo interno.

281

Denning K., 2002, On-Line Learning: Frontiers in the Creation of Learning Communities, University of Sheffield, Sheffield.

Da quanto detto, emerge che le comunità di pratica obbediscono ai principi del miglioramento continuo sia a livello organizzativo che individuale. Bisogna partire dal presupposto che occorre dare senso al lavoro delle persone e condividere con loro visioni e valori, trasmettendo l‟idea che la conoscenza partecipata sia la strada più giusta da seguire, quella vincente. Bellandi, a questo proposito parla di “forza della salienza”, identificandola in un “profondo cambiamento di mentalità che sta alla base delle comunità di pratica” e che consiste nella capacità di “responsabilizzare le persone a costruirsi e rafforzare, in modo proattivo e costruttivo, un sapere professionale più integrale, perseguendo la via della cooperazione nell‟attività professionale (invece di quella dell‟antagonismo e del conflitto)”282.

Il concetto di comunità di pratica si collega al concetto di comunità di apprendimento distribuito e situato, di apprendimento trasformativo283 e di pratica riflessiva. Alla luce di questa osservazione, diventa possibile progettare interventi formativi ritagliati sui bisogni reali di specifiche tipologie di utenza, ma anche sulle caratteristiche dei contesti di vita e di lavoro. Come sostiene Maura Striano284, in una comunità di pratica i contesti non sono più semplici contenitori ma diventano mediatori cognitivi, per cui i soggetti impegnati in un processo di apprendimento che stanno in un contesto co-evolvono con esso, attraverso adattamenti e transazioni. I processi di apprendimento, che vengono fuori dal contesto ed in esso si depositano in varie forme, risultano emergere da specifiche situazioni e dipendono dalle relazioni sociali, dalle trame di significato, dagli artefatti culturali depositati e reificati all‟interno di una comunità di pratica. Gli individui, portatori di un proprio repertorio personale e di proprie storie di apprendimento, sperimentano una cultura dell‟apprendimento che si configura come un processo di condivisione e di negoziazione di significati, teso alla realizzazione di prodotti collettivi ed in cui ciascuno si riconosce come parte attiva e propositiva. Le conoscenze non arrivano dall‟esterno ma si generano in funzione dei concreti bisogni di conoscenza emersi dai contesti reali; i problemi scaturiscono dai contesti di vita quotidiana e di pratica professionale, da situazioni complicate che alimentano la produzione di nuove conoscenze e di soluzioni condivise. Si tratta, come sostiene Maura Striano, di “attivare processi che partono dall‟esperienza e che si configurano come spazi in cui diventa possibile fare esperienza di apprendimento”285. I membri di una comunità, attivamente impegnati a capire il significato e la validità delle loro pratiche, costruiscono e condividono repertori, funzioni, ruoli che sono soggetti a continui processi di negoziazione e di trasformazione. In questo modo, nell‟ambito di una comunità di pratica, si ha la possibilità di mettere in gioco e trasformare gli “schemi” e le

282 Bellandi G., op. cit., p. 193

283 Mezirow J., Apprendimento e trasformazione. Il significato dell‟esperienza e il valore della riflessione

nell‟apprendimento degli adulti, Raffaello Cortina, Milano 2003.

284 Striano M. “ Comunità di pratiche e sviluppo professionale” sta in Alessandrini Giuditta e Buccolo Maria (a cura

di), Comunità di pratica e pedagogia del lavoro. Un nuovo cantiere per un lavoro a misura umana, Pensa MultiMedia Editore s. r. l., 2010, Lecce-Brescia.

“prospettive di significato”di cui ciascuno è portatore e di realizzare “da un lato, un cambiamento negli individui della comunità, dall‟altro, un arricchimento dei repertori condivisi all‟interno della stessa”286. In una comunità di pratica, gli individui, partendo da attività che nascono da situazioni ed esperienze reali e che attivano processi di indagine orientati alla produzione di nuovi apprendimenti, interagiscono nella costruzione di significati, negoziando posizioni epistemiche, ruoli e funzioni. E questo “far significato” diventa “apprendimento trasformativo”, dal momento che “i membri di una comunità di pratica sono in costante trasformazione nella misura in cui costruiscono e negoziano nuove prospettive di significato, nuovi codici interpretativi, nuovi ruoli e posizioni, nuovi repertori”287. Ciascun membro, mettendo in gioco le proprie conoscenze, concorre a creare nuovi saperi che vengono “reificati” e messi a disposizione della comunità, garantendo alla stessa la possibilità di crescere e di trasformarsi grazie ad un impegno comune. Gli apprendimenti individuali e collettivi diventano prodotti che “rimangono come depositi e come memorie e vengono a formare le tradizioni, i codici, la cultura della comunità”288.

Nella scuola la diffusione delle conoscenze tacite e di quelle attività pratiche che non è possibile trovare nei manuali, molto spesso avviene in modo informale, nei momenti più insoliti e nelle situazioni che, in teoria, sarebbero meno preposte alla creazione di conoscenza: a mensa o mentre si è intenti a prendere un caffè davanti al distributore, nei corridoi, al cambio dell‟ora289. Si tratta di momenti in cui si coglie l‟occasione per raccontare le proprie war stories, le situazioni più difficili che chiunque, esperto o neofita, è stato in grado di risolvere con un certo intuito e in modo originale. La professione degli insegnanti, per come è strutturata, consente fortunatamente di garantire, anche se per periodi limitati, scambi comunicativi tra colleghi nei momenti istituzionali di confronto collegiale, quali i collegi docenti, i consigli di classe; ma anche in sala professori, tra un‟ora di lezione e l‟altra, quando i docenti parlano di sé e dei loro alunni, è possibile confrontarsi e raccontare le proprie esperienze più significative. Le discussioni informali rappresentano, a livello embrionale, una prima forma di comunità di pratica; ma è sicuramente in occasione degli incontri formalizzati che può mettersi in atto quel meccanismo di Partecipazione Periferica Legittima di cui parla Wenger, quel processo per cui “anche i membri periferici del gruppo, i più giovani e meno esperti, sono pienamente legittimati dall‟appartenenza alla comunità, a condividere le risorse e le esperienze, a partecipare alle discussioni, ad interagire su un piano di parità con i più esperti. Tutto ciò consente ai più giovani professionisti di realizzare un vero e proprio apprendistato cognitivo”290. Ad un Consiglio di classe, per esempio, possono partecipare docenti di ruolo, dotati di grande

286 Ivi, p. 106 287 Ivi, p. 108 288 Ibidem

289 Rosso Giovanni, “Comunità di pratica e di apprendimento nella scuola”, in Alessandrini Giuditta e Buccolo Maria

(a cura di), op. cit.

290

Alessandrini G., “Il modello della comunità di pratica: uno schema di lavoro per la cooperazione tra docenti”, in Alessandrini G. e Buccolo M. (a cura di), op. cit., p. 225.

esperienza e competenza, ma anche docenti che sono all‟inizio della loro carriera e docenti precari, neolaureati e privi di abilitazione all‟insegnamento. In questi incontri istituzionali, gli insegnanti giovani e con poca esperienza vengono accolti e accettati come membri legittimi della comunità, anche se restano in una posizione periferica e non vengono, o non si sentono, coinvolti nelle decisioni prese.

L‟introduzione, in seguito all‟autonomia scolastica, di nuove figure professionali, come le funzioni strumentali all‟offerta formativa291, persegue, tra gli altri, anche lo scopo di offrire la possibilità di sviluppare delle comunità di pratica nella scuola; gli insegnanti che ricoprono tali ruoli possono, infatti, rappresentare un punto di riferimento per i colleghi e, con l‟aiuto del dirigente e dei suoi collaboratori, possono dare vita a comunità di pratiche, suscitando nei docenti motivazione e coinvolgimento292. Una delle leve per sviluppare il senso di condivisione e di appartenenza ad una comunità è sicuramente rappresentata dalle attività di formazione; ma talvolta i vincoli contrattuali costituiscono un ostacolo allo sviluppo della formazione293, poiché garantiscono il diritto alla formazione per il personale docente e sanciscono l‟obbligo per l‟amministrazione di “fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio”, ma contestualmente non prevedono l‟obbligo per il personale di prendere parte alle attività formative.

Il concetto di comunità di pratica come processo di interazione sociale294, studiato da Wenger295 verso la fine degli anni Ottanta, ha suscitato recentemente un notevole interesse per la crescente tendenza nei paesi avanzati verso forme orizzontali di comunicazione, per la crescita di spinte verso l‟autoapprendimento e per il valore di intermediazione giocato dalle tecnologie di rete. Wenger sostiene che le organizzazioni devono imparare a gestirsi come sistemi sociali di apprendimento e sviluppare questi sistemi internamente. Tutto questo vuol dire creare processi che consentono di favorire lo scambio informale di conoscenza e di dare la giusta importanza ai processi di costruzione di identità e di appartenenza ad un‟organizzazione296.

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