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Pregiudizi riguardanti il burnout

Dalle cause dello stress e del burnout al benessere organizzativo

2.9 Pregiudizi riguardanti il burnout

Il burnout, pur essendo riconosciuto come un problema presente nel luogo di lavoro, non viene quasi mai affrontato con decisione, o viene liquidato come se fosse una parte inevitabile, ma pur sempre gestibile della vita lavorativa. La Maslach adopera la metafora della “lattina piena di vermi

190 Ivi, p. 35 191 Ibidem 192 Ivi, p. 36

che è meglio lasciare chiusa”, per sottolineare come le organizzazioni, una volta riconosciuto il burnout, temono di poter essere travolte dalle richieste da parte dei dipendenti di ridurre il carico di lavoro o di avviare costosissimi programmi di recupero.

a) “E‟ un problema del singolo”

La reazione più tipica nei confronti del burnout è quella di incolpare la persona. Se un individuo si sente emotivamente esaurito e logorato, vuol dire che ha un problema, ha un atteggiamento sbagliato, tende a lamentarsi sempre degli altri e non si assume mai le sue responsabilità. Si arriva a pensare che non si è sufficientemente bravi o forti nell‟occuparsi del proprio lavoro. Se si tratta, dunque, di un problema individuale altrettanto individuale dovrà essere la soluzione. Ci si dovrà riposare, prendersi del tempo libero, andare in ferie, cercare un servizio di counselling, rivolgersi ad uno psicologo e, nei casi più gravi, abbandonare il posto di lavoro. Queste strategie di base individuali sono riassunte sotto l‟espressione di gestione dello stress; molte aziende offrono ai loro dipendenti questo genere di aiuto. Si tratta, tuttavia, di un approccio che considera il problema da un punto di vista parziale, riversandone la responsabilità esclusivamente all‟individuo che deve imparare a gestire gli elementi che generano stress nel lavoro più che trovare un modo per sbarazzarsi di loro e creare così un ambiente privo o meno carico di stress.

b) “Non è responsabilità del datore di lavoro”

Se si ritiene che il burnout sia un problema dell‟individuo, vuol dire che non può essere un problema dell‟organizzazione. E‟ compito del singolo trovare un modo per adattarsi con successo alla situazione lavorativa e, certamente , non è un dovere del datore di lavoro cercare un modo per adattare il lavoro a ciascun dipendente. L‟organizzazione interviene soltanto quando vi sia una forte perdita nelle entrate o quando il problema si sia manifestato apertamente. Non ha senso spendere risorse se non è strettamente necessario; ed è sicuramente più facile e conveniente concentrarsi sul cambiamento del singolo dipendente piuttosto che su un mutamento generale dell‟organizzazione.

c) “Non incide realmente sull‟organizzazione”

Se un singolo dipendente viene colpito da burnout, l‟organizzazione pensa che il problema non possa incidere realmente sulla sua dimensione economica. I dipendenti continuano ad esserci e a svolgere il proprio lavoro e, nel caso decidessero di dimettersi, eviterebbero al datore di lavoro la responsabilità legale del licenziamento. Il burnout nell‟opinione comune non viene considerato una malattia e, fino a pochi anni fa, la riduzione dei fattori di stress psicologico non era richiesta per la

salute e la sicurezza sul lavoro; per questo l‟organizzazione non rischia neppure l‟esposizione a costosissime cause legali.

d) “Non c‟è molto che le organizzazioni possano fare”

Secondo questa prospettiva, ciò che l‟organizzazione può fare è permettere alle persone di prendersi cura di sé, attraverso il riposo, le sedute di counselling, ma alla fine la soluzione dipende esclusivamente dall‟individuo. L‟organizzazione mostra un atteggiamento sostanzialmente paternalistico, in quanto pur avendo a cuore gli interessi dei suoi dipendenti, adotta una politica di non intervento, limitandosi ad indicare quella che ritiene essere la giusta direzione e abbandonando i suoi dipendenti al loro destino. Il messaggio che passa è che l‟organizzazione sia impotente. In realtà tutte queste affermazioni sono inesatte, in quanto il burnout incide sull‟economia delle organizzazioni e non si tratta di un problema esclusivamente personale. Lo stress da lavoro può causare consistenti perdite sia finanziarie che produttive: risarcimenti, contributi per spese sanitarie (per la salute mentale e l‟abuso di sostanze), assenteismo, congedi per malattia, truffe da parte dei dipendenti, perdite causate da errori sul lavoro e dal deterioramento della qualità dello stesso. Tutto questo porta a concludere che ovviamente il burnout costa denaro. Una strategia che intenda essere realmente efficace per gestire il rischio del burnout deve capire, a detta della Maslach, non solo quali siano i comportamenti a rischio ma anche perché accadono. Molte volte la tendenza a focalizzarsi esclusivamente sulla persona più che sulla situazione, porta a credere che il burnout dipenda unicamente dall‟individuo; in realtà, le criticità riguardano non solo, e non tanto, la persona, quanto la discrepanza che esiste tra persona e ambiente di lavoro. Il comportamento di un individuo può essere compreso pienamente se viene analizzato all‟interno del contesto sociale del posto in cui lavora. Poiché la maggior parte delle tecniche di gestione dello stress vengono concepite essenzialmente per cambiare l‟individuo e non la situazione, risultano piuttosto inefficaci e non incidono in alcun modo sull‟organizzazione. La ricerca dimostra che è il lavoro a rappresentare la fonte più pericolosa dello stress; inoltre la Maslach ritiene che cambiare le cose a lavoro non sia mai un processo individuale ma collettivo e tale processo richiede il coinvolgimento di molte persone all‟interno del gruppo di lavoro. Noi siamo individui unici, ma al lavoro si ricopre un ruolo che è anche legato ai ruoli di altre persone; qualsiasi cambiamento significativo nel lavoro incide su queste altre persone, le quali vorranno a loro volta essere coinvolte nel processo di cambiamento. Le sei discrepanze tra la persona e il lavoro sono questioni organizzative: sono infatti le politiche gestionali a stabilire il carico di lavoro, e in quale misura le persone possano esercitare il controllo sul proprio lavoro, così come il senso di comunità dell‟organizzazione, il modo di gratificare i dipendenti, il senso di equità, non sono qualità individuali ma organizzative.

L‟idea di fondo della Maslach è dunque che il burnout possa essere meglio affrontato a livello organizzativo che non individuale. Il burnout non è compatibile con un lavoro efficiente, soprattutto

quando si tratta di un lavoro che implica il relazionarsi con gli altri o il produrre idee creative. Per svolgere bene questo tipo di lavoro si deve essere impegnati pienamente perché tali attività richiedono energia, coinvolgimento e fiducia in se stessi. Gli studenti si accorgono perfettamente che i loro insegnanti sono affetti da burnout, ne percepiscono l‟impazienza, la noncuranza, la mancanza di sostegno personale per i loro sforzi. Per cui se la scuola non aiuta i propri insegnanti a rimanere impegnati nel loro lavoro non contribuisce all‟apprendimento degli studenti.

Un approccio organizzativo al burnout ha ottime possibilità di realizzare un cambiamento efficace, in quanto si rivolge ai problemi di un gruppo di persone e non si focalizza su un individuo solo. L‟approccio si concretizza in rapporti di reciproco aiuto da cui anche i colleghi con i quali i dipendenti interagiscono trarranno beneficio. Se, attraverso un approccio organizzativo, migliora la gestione complessiva delle risorse umane, crescerà tanto la produttività quanto la qualità della vita lavorativa dei dipendenti.

La prevenzione del burnout diventa, così, un fattore cruciale per il benessere organizzativo; è meglio prevenire il burnout che occuparsene in seguito, innanzitutto perché il rischio burnout è troppo elevato e non si tratta più di un evento così raro; in secondo luogo perché, una volta che il burnout diventa un problema reale, è enormemente costoso; in terzo luogo perché, è più difficile trattare in modo efficace il burnout quando è un problema ormai nel suo pieno sviluppo che quando lo si coglie nel suo nascere: “Un grammo di prevenzione vale un chilo di cura”.

Assumere un nuovo dipendente, invece di caricare una persona del doppio del lavoro, scongiurerà un deterioramento nella qualità del lavoro ed eviterà i costi derivanti dall‟esaurimento e dalla malattia; ricevere input e feedback dai lavoratori prima di apportare cambiamenti nella politica dell‟azienda eviterà resistenza e problemi non previsti.

Il modo migliore per prevenire il burnout è quello di promuovere l‟impegno nel lavoro; questo non vuol dire soltanto ridurre gli aspetti negativi del posto di lavoro, ma anche tentare di aumentarne quelli positivi. Le strategie per sviluppare l‟impegno nel lavoro sono quelle che accrescono l‟energia, il coinvolgimento e l‟efficacia. Occorre investire nelle persone affinché esse diventino dipendenti ben preparati, leali e dediti sui quali poter contare per realizzare un lavoro di qualità.

Tutto questo porta Christina Maslach ad affermare che:

“Il motivo cruciale sull‟investimento è di tipo umano, non è soltanto un profitto economico a breve termine. Un tale genere di investimento richiede un accordo reciproco tra datori di lavoro e dipendenti. L‟organizzazione deve essere in grado di mostrare ai suoi dipendenti lo stesso tipo di impegno, rispetto e

interessamento che essa pretende da loro. Il modo migliore per un‟organizzazione di farlo è quello di prendere delle misure per ridurre le sei discrepanze tra persone e lavoro”193.

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