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Quali conoscenze e competenze per insegnare?

Capitolo quarto La nuova identità docente

4.7 Quali conoscenze e competenze per insegnare?

Quale tipo di conoscenze e di competenze è indispensabile costruire nel momento in cui un docente entra in servizio e quali continuare a sviluppare nel corso della carriera? Durante i primi anni di insegnamento, molti docenti sperimentano la difficoltà di imparare ad insegnare, questo perché si presta poca attenzione alla formazione iniziale ed al sostegno agli insegnanti principianti.

In virtù dell‟assunto, di cui abbiamo parlato poc‟anzi, che collega lo sviluppo professionale allo sviluppo personale, esiste un filone di studio che si ispira alle storie di vita e alle autobiografie

formative il quale cerca di creare una connessione tra identità professionale e identità personale394. Il processo di costruzione di un‟autentica identità professionale richiede, innanzitutto, “la discesa in profondità dentro se stessi per andare a rintracciare i valori centrali e le convinzioni che sostengono ciascuno nella propria vita personale allo scopo di collegarli con gli obiettivi e le esperienze professionali”395; in questo modo diventa possibile “collegare la conoscenza di sé con la conoscenza professionale”396, ricongiungere gli aspetti relativi alla propria personalità e alle proprie emozioni, “ai processi di carattere vocazionale che portano una persona a voler diventare insegnante e imparare ad insegnare”397. Nel processo di formazione degli insegnanti esiste un legame che mette in relazione le esperienze passate dell‟insegnante con gli obiettivi del presente e con le aspirazioni future e che riconosce “l‟interrelazione tra le dimensioni cognitiva, emozionale, sociale, morale ed estetica della persona che sta intraprendendo il cammino del divenire insegnante”398.

La formazione del docente avviene nell‟ambito di un contesto relazionale, tra il personale ed il professionale, tra la teoria e la pratica dell‟insegnamento e dell‟apprendimento, tra i colleghi e la comunità in cui si lavora. Le narrazioni consentono di ricostruire un‟identità professionale autentica; attraverso la riflessione sulle loro storie personali, familiari e sulle loro esperienze scolastiche, i docenti possono imparare a porsi delle domande fondamentali su chi si è, su cosa si conosce, su quale siano le origini di quel che si conosce, su quale scopo si attribuisce al proprio insegnamento, quali risultati ci si aspetta dal proprio lavoro, quale sia il modo migliore per ottenerli, che tipo di insegnante si vuole diventare. La riflessione consente pure di analizzare in modo corretto le nostre emozioni e di ascoltare le proprie sensazioni; lasciar venir fuori le proprie emozioni significa “rimanere in rapporto con se stesso”399. Le emozioni non sono né buone né cattive, ma è fondamentale la consapevolezza che noi abbiamo o non abbiamo di esse. Essendo queste, come dice Baldassarre, “la porta del cuore”, è necessario che noi impariamo “ad essere in ascolto, a osservare senza giudicare […] Nel migliore dei casi, le emozioni ci aiutano a comprendere meglio chi siamo veramente e quindi ad andare verso gli altri; nel peggiore dei casi, ed è allora che diventano distruttive, possono, come i nostri pensieri, renderci schiavi e dipendenti”400.

Si tratta di lavorare sull‟invadenza delle nostre emozioni distruttive, attraverso la riduzione della loro negatività e lavorando sulla malleabilità della nostra mente.

394 Baldassarre V. A., Di Gregorio L., Scardicchio A. C., La vita come paradigma. L‟autobiografia come strategia di

ricerca-formazione, Edizioni dal Sud, Bari 1999

395 Baldassarre M., Imparare a insegnare, la pratica riflessiva nella professione docente, Carocci Editore S. p. A.,

Roma, 2009, p. 42 396 Ibidem 397 Ibidem 398 Ibidem 399 Ivi, p. 70 400 Ivi, p. 69

Nel momento in cui sorge in noi un pensiero di collera, di desiderio, di gelosia non ci sentiamo preparati, ci coglie di sorpresa. In pochi secondi, questo pensiero ne provoca un altro, poi un terzo, e il nostro paesaggio mentale è invaso da idee che cristallizzano la nostra collera o la nostra gelosia. E‟ già troppo tardi. E‟ come quando una scintilla appicca l‟incendio ad una foresta. Non si sa più che fare401.

Occorre, dunque, acquisire l‟abitudine di saper gestire i nostri pensieri, di essere in grado di osservarli e risalire alla loro origine, evitando il rischio che possano invadere il nostro animo.

L‟intelligenza emotiva di cui parla Daniel Goleman,402 altro non è se non la capacità di riconoscere e gestire una reazione emotiva in maniera equilibrata. Riconoscere e saper gestire un‟emozione richiede, innanzitutto, una buona conoscenza di sé; ma è necessario anche saper mobilitare in modo corretto le proprie emozioni al fine di raggiungere i propri obiettivi; saper riconoscere le emozioni altrui (empatia) e sapersi prendere cura delle relazioni che si instaurano con gli altri nel momento in cui si entra in contatto con le emozioni altrui. Un‟emozione, di per sé, è innocua, mentre il pericolo potrebbe dipendere dal potere che essa esercita su di noi, dall‟uso che ne facciamo. Talvolta, antiche ferite possono innescare in noi meccanismi di difesa e quindi stati di ansia. Baldassarre parla di “educazione del cuore”, come capacità di avere consapevolezza di questi meccanismi negativi e di trasformarli e neutralizzarli sul loro nascere.

Le neuroscienze ci dicono che esistono nuovi neurotrasmettitori che vengono prodotti sotto la spinta dei nostri sentimenti, dei nostri atteggiamenti, dei nostri legami sociali, ma anche dalle nostre reazioni fisiologiche. Le nostre emozioni sono alla base della costruzione di tali molecole che vengono secrete a livello di mucosa digestiva. Esiste, dunque , un “cervello emozionale” che si affianca al cervello “pensante” ed è noto che noi abbiamo bisogno di queste due parti per reagire in modo adeguato a qualsiasi tipo di situazione.403

Ragione ed emozione devono trovare un loro equilibrio; la prima deve lasciare lo spazio che merita alla seconda. Tutti abbiamo bisogno di lasciarci andare al nostro dolore, di gioire, di lasciarci travolgere dai momenti di felicità, al fine di dare completa libertà di espressione al nostro essere corpo e spirito; sono i nostri sentimenti che ci mettono in relazione con noi stessi e con gli altri. Avere la possibilità di sentire le emozioni in maniera completa, senza lottare per evitarle o reprimerle, vuol dire avere la capacità di viverle pienamente, senza farsi sommergere da esse. La parte inconsapevole di noi che ci contraddistingue come esseri unici deriva da quattro dimensioni importanti404:

401 Ivi, p. 68

402 Goleman D., L‟intelligence émotionnelle, Robert Laffont, Paris 1997 403 Baldassarre M. , op. cit., pp. 70-71

- La storia familiare, le relazioni che esistono tra i vari membri di una famiglia, i ruoli attribuiti a ciascun membro, i drammi segreti che, talvolta, benché ignorati, possono influenzare fortemente il nostro comportamento.

- Le aspettative che i genitori nutrono nei nostri confronti e che spesso si rivelano limitative e non sempre positive.

- Le esperienze personali fatte durante la prima parte della nostra vita, esperienze che ci portano ad assumere dei comportamenti che saranno poi tipici della vita futura e sono alla base delle nostre capacità emotive.

- Le esperienze del processo di individuazione che fissano degli schemi di comportamento di base che ci appartengono e che richiamano i nostri vissuti, a partire dall‟infanzia, e si traducono in risposte emotive che corrispondono alla nostra individualità.

Se impariamo a riconoscere questi impulsi che nascono da una situazione interna e inconsapevole, impareremo anche ad avere maggiore consapevolezza del nostro mondo interiore e ad avviarci verso quel processo di sviluppo personale che è strettamente legato allo sviluppo professionale. Esistono dei comportamenti che bloccano “la nostra energia” e ci fanno vivere una vita mediocre. Per questo occorre farli “uscire dall‟ombra”, prenderne piena consapevolezza ed avere la forza di effettuare scelte diverse per il futuro. Per riuscire a prendere una giusta distanza da quei comportamenti che ci rendono unici nel bene e nel male, è necessario entrare in contatto con le paure più lontane che ci rendono schiavi e “scoprire la propria verità personale ed imparare a guardarla in faccia”405. In una professione come quella dell‟insegnante, in cui la competenza relazionale è fondamentale, diventa importante riuscire a stigmatizzare quei comportamenti malsani che portano ad un dispendio di energie e rappresentano l‟anticamera del burnout: il desiderio di piacere a tutti i costi, mostrandosi adulatore o troppo gentile; la ricerca di riconoscimento da parte dell‟altro, che talvolta ci induce ad agire più per il desiderio di essere considerato dagli altri che per il piacere personale di fare. Essere sospettosi, diffidenti o reticenti a comunicare delle idee o delle informazioni per la paura che possano essere usate contro di noi. Trattenere dentro di sé ciò che si avrebbe bisogno di esprimere liberamente, attraverso silenzi che nascondono rabbia repressa o disaccordo. Sentire il bisogno di avere sempre ragione, per avere la sensazione di essere più forte.

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