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Teorie in uso e teorie dichiarate: l’apprendimento trasformativo in Mezirow

Capitolo quarto La nuova identità docente

4.3 Teorie in uso e teorie dichiarate: l’apprendimento trasformativo in Mezirow

Il rapporto teoria-prassi costituisce uno dei nodi cruciali dell‟epistemologia pedagogica. Come scrive Massimo Baldacci353:

“Si tratta, indubbiamente, di un rapporto da concepire in chiave di unità dialettica: la teoria, senza prassi, è vuota; così come la prassi, senza teoria, è cieca. In altre parole, una teoria senza relazione con i problemi delle pratiche educative finisce per risultare astratta ed inefficace; ma, al tempo stesso, una prassi che si esaurisce nel far fronte in maniera immediata a tali problemi, senza lumi teorici, rischia di vagare nel buio, di andare per tentativi[…]. L‟unità dialettica teoria-prassi appare, dunque, come un criterio regolativo fondamentale dell‟epistemologia pedagogica, come pure del lavoro educativo sul campo.”354

La realizzazione di tale unità risulta, tuttavia, sempre problematica; per cui diventa difficile incidere realmente sulle pratiche educative da parte della teoria e ciò è dovuto sia alla “scarsa preparazione teorica degli educatori e degli insegnanti” che ad una “diffusa scarsa attenzione per le pratiche educative da parte dei pedagogisti accademici”355.

Ad inibire la riflessione e a non consentire la problematizzazione delle conoscenze e delle azioni messe in atto, è sicuramente ciò che Maura Striano definisce “il senso comune”, ossia, quell‟insieme di credenze, di rappresentazioni ingenue che gli educatori hanno circa il funzionamento della mente o l‟articolazione dei processi cognitivi.

353 Baldacci M. (2010). Teoria, prassi e “modello” in pedagogia. Un‟interpretazione della prospettiva. Education

Sciences & Society, Vol 1, N° 1-2010, 65-75.

354 Ivi, p. 66 355 Ibidem

Il principale impegno professionale degli insegnanti è la gestione dei processi di insegnamento/apprendimento in cui enorme importanza rivestono le credenze, le rappresentazioni, le teorie (implicite, ingenue, di senso comune) che essi hanno circa il funzionamento della mente, l‟articolazione dei processi cognitivi, lo sviluppo dei percorsi conoscitivi, che si riflettono in modo consistente e significativo sul loro agire professionale (in termini di progettazione curricolare, di scelte didattiche, di opzioni docimologiche, di selezione di materiali, metodologie, strategie operative …).356

E‟ necessario, pertanto, che ogni docente, per non farsi condizionare negativamente dal comune senso pedagogico, abbia chiara in mente la distinzione tra le sue teorie dichiarate e le sue teorie d‟uso, quelle, cioè, effettivamente messe in pratica. Si pensi, a titolo di esempio, al docente universitario che svolge una lezione sul costruttivismo sottolineando la necessità di adoperare tale metodo (teoria dichiarata), e che, nella realtà, utilizza una metodologia di tipo trasmissivo (teoria d‟uso).

E‟ opportuno che il docente impari a curare la sua identità di docente ricercatore, lasciando venir fuori le sue teorie in uso e problematizzando le teorie di senso comune. Soltanto in questo modo sarà possibile realizzare quel salto di qualità che porta il buon docente a diventare un docente ricercatore.

Alla necessità di problematizzare e rivedere criticamente le conoscenze acquisite ed i comportamenti agiti, fa esplicito riferimento il pensiero di Jack Mezirow, professore presso la Columbia University di New York357.

Nella sua opera, Apprendimento e trasformazione. Il significato dell‟esperienza e il valore della riflessione nell‟apprendimento degli adulti, egli afferma che l‟apprendimento in età adulta, che definisce apprendimento trasformativo, avviene nel momento in cui il soggetto riesce, con la riflessione, a fare una valutazione critica delle prospettive di significato che guidano il suo agire, rivisitandole o generandone delle nuove. Mezirow sostiene che qualsiasi professionista, e quindi anche l‟insegnante, utilizza delle assunzioni che gli permettono di dare senso all‟esperienza che incontra; sono le credenze che abbiamo sul mondo e sono così radicate nel nostro modo di pensare che non hanno necessità di essere spiegate. Egli definisce tali assunzioni “prospettive di significato”, indicandole come “la struttura dei presupposti entro la quale la nostra esperienza pregressa assimila e trasforma la nuova esperienza”, ossia “un set abituale di aspettative che costituisce un quadro di riferimento orientativo, che usiamo nella proiezione dei modelli simbolici,

356

Striano M., Melacarne C., Per un approccio narrativo e critico-riflessivo allo studio delle epistemologie

professionali degli insegnanti. Coordinate teoriche e metodologiche, in Studi sulla formazione", n°1/, 2005, Firenze

University Press.

357 Sul pensiero di Mezirow e sul raffronto tra il suo pensiero e quello di Schön interessante l‟articolo di Cinzia Mion,

“Riflessività”, al seguente indirizzo:

http://www.google.com/url?sa=D&q=http://www.edscuola.it/archivio/ped/riflessivita.htm&usg=AFQjCNGRwtjSxaA- hPKSrDflqM1mTdx6aQ

e che funge da sistema di credenze (quasi sempre tacite) per interpretare e valutare il significato dell‟esperienza”358. Il nostro modo di interpretare l‟esperienza è fortemente condizionato da tali “prospettive di significato”. Per quanto preparato e formato professionalmente, un docente entra in un contesto scolastico con un set di aspettative su cosa troverà, su come apprendono gli studenti o su cosa significa insegnare in uno specifico grado di scuola. Queste prospettive di significato, tuttavia, non sempre sono validate; non sempre, cioè, siamo consapevoli del perché si è giunti a determinate conclusioni, perché si crede che la nostra identità sia legata ad alcune pratiche piuttosto che ad altre. Il modo con cui viviamo e diamo significato agli eventi, alle relazioni, alle cose viene fortemente influenzato dalla nostra esperienza pregressa, dalla nostra storia personale, dalla nostra biografia. I modelli appresi in maniera implicita dagli insegnanti durante la loro storia di studenti (come il ricordo di un professore apprezzato particolarmente per il suo stile o per il suo modo di relazionarsi agli altri) influenzano il modo in cui si interpreta il ruolo e si impostano le proprie pratiche professionali. Da questa consapevolezza deriva l‟importanza attribuita alla riflessione quale dispositivo di sviluppo del pensiero critico che consente di riflettere sulle proprie prospettive di significato e di renderle più aperte e fondate su di un‟analisi critica piuttosto che su erronei presupposti impliciti.

Molte volte anche le organizzazioni sono luoghi in cui si conservano routine e prassi consolidate non sempre efficaci, per cui il professionista è chiamato a negoziare la propria attività con gli altri e ad impegnarsi nella gestione di un‟organizzazione composta da elementi espliciti ed impliciti, attraverso una partecipazione alla vita organizzativa che sia vissuta come esperienza costruita e non subita. Un‟organizzazione deriva dalla fusione tra la struttura progettata dell‟istituzione e la struttura emergente dalla pratica359. Le istituzioni definiscono un repertorio di procedure, di regole, di processi, di ruoli, ma è necessario che vi sia una traduzione di tutto ciò nella pratica, affinché i ruoli istituzionali possano entrare in connessione con i problemi della vita quotidiana. Si pensi al ruolo dell‟insegnante di sostegno che, per legge, è un insegnate della classe, ma che in realtà, nella pratica, è interpretato come un docente di serie „B‟ ed è destinato, spesso e volentieri, al solo soggetto in difficoltà e collocato in uno spazio marginale dell‟aula o, addirittura fuori dalla stessa. L‟istituzione e la pratica, il deliberato e l‟emergente, dunque, sono due entità diverse:

La relazione che le unisce non si basa sulla congruenza, ma su ciò che viene definito allineamento negoziato. E l‟allineamento non è mai assicurato. Va costantemente negoziato ex-novo360.

358

Mezirow J., Apprendimento e trasformazione. Il significato dell‟esperienza e il valore della riflessione

nell‟apprendimento degli adulti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003, pp. 47-48.

359

Wenger E., Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Milano, 2006, Raffaello Cortina Editore.

360

Fabbri L., Melacarne C., Apprendere a scuola. Metodologie attive di sviluppo e dispositivi riflessivi, Franco Angeli, Milano, 2015, p. 93.

Il deliberato e l‟emergente rappresentano, cioè, due costrutti che non si possono fondere ma che possono essere considerati complementari; il primo è una sorta di bussola orientativa nella parte istituzionale di un‟organizzazione, mentre il secondo definisce il piano della pratica, un ambito in cui il formale cede il posto all‟informale, “dove il visibile si affida all‟invisibile, dove l‟ufficiale incontra il quotidiano”361. Si può comprendere pienamente quello che accade dentro un‟organizzazione, soltanto se si riesce ad intercettare l‟invisibile, il quotidiano; ed è la pratica, secondo Wenger, non i processi formali, a definire le politiche, i ruoli e gli standard. L‟informale riguarda i diversi significati che gli attori organizzativi danno alle regole, gli schemi interpretativi con cui si interpreta il proprio ruolo e il proprio lavoro; si tratta di un processo di costruzione di conoscenza dal basso, dalle pratiche, laddove l‟istituzionale rinvia alla formalizzazione dall‟alto. Anche la scuola è un‟organizzazione in cui il piano del deliberato (i ruoli, le norme, ciò che Schein definisce come i “valori”) si interseca con quello dell‟emergente (i sistemi di significato, le culture organizzative, gli “assunti” che si concretizzano in “artefatti”, per dirla con le parole di Schein). Le prospettive di significato ci portano a credere che le cose sono solo come noi le vediamo o come le abbiamo viste fino a quel momento e che ciò che crediamo essere la realtà non possa avere alcuna interpretazione alternativa. Per poter agire con intelligenza nei contesti di pratica professionale c‟è bisogno di avere occasioni per ridiscutere le nostre assunzioni, il modo consuetudinario con cui pensiamo le cose e tentiamo di trasformarle. Occorre, dunque, validare le proprie idee e le proprie assunzioni per poter guadagnare la consapevolezza necessaria per trasformare e sviluppare le nostre azioni. Nel caso del docente, il processo di validazione non è un problema di valutazione della pratica o degli esiti dell‟apprendimento, quanto piuttosto di riconoscimento, di analisi e di ricerca dei criteri che legittimano l‟agire professionale in uno specifico contesto lavorativo. Esistono due modi diversi per validare il proprio pensiero: la validazione empirico-analitica e la validazione consensuale. Nel primo caso l‟insegnante si muove con un prospettiva di ricercatore, indaga le prassi o le teorie, ricerca le prove, i dati, le conoscenze che possano fondare e sostenere le proprie affermazioni; nel secondo caso l‟insegnante utilizza la negoziazione con degli interlocutori, al fine di trovare un accordo consensuale sulla validità di un‟azione o di una pratica. L‟incontro tra apprendisti ed esperti diventa un‟ importante occasione di confronto, un evento promettente che può generare una dialettica razionale in grado di validare i saperi di una comunità.

Apprendere una professione non vuol dire soltanto imparare a fare qualcosa, ma anche cambiare il proprio set di aspettative, le idee con cui diamo senso alla realtà attraverso le prospettive di significato. Mezirow ritiene che la trasformazione delle prospettive di significato possa considerarsi il processo più importante nello sviluppo degli adulti. Tale trasformazione consente ai professionisti di entrare a far parte di sistemi di azione sempre più complessi e di adottare

prospettive capaci di dare significato anche ad eventi inattesi e in grado di evolversi e di cambiare. Si tratta di una visione estremamente interessante e da coltivare per progettare azioni didattiche innovative in situazioni ad alta turbolenza sociale e contraddistinte da nuovi scenari multiculturali. In una comunità di pratica, in particolare, l‟interazione sarà tanto più possibile quanto più i soggetti saranno in grado di assumere l‟uno il ruolo dell‟altro:

la capacità di assumere (in via ipotetica) la prospettiva che un altro soggetto ha su di noi, di vedere la nostra prospettiva e quella di un altro, di tornare poi al nostro punto di osservazione, sono tutti processi che presuppongono una competenza, la competenza interattiva e riflessiva.362

I professionisti possono sviluppare un sistema complesso di significati e di pratiche attraverso un pensiero pre-riflessivo e pre-critico che consente di agire e di interpretare ciò che ci accade utilizzando categorie, idee, aspettative e valori che usiamo ogni giorno e che non sono soggetti ad alcuna messa in discussione. Ma esiste anche un pensiero critico e riflessivo che consente di interrogarsi e di capire perché, come e con quali fini si agisce o si interpreta un evento in un particolare modo.

Il docente che ha paura di mettere in discussione le certezze a cui è giunto e che vede nelle nuove idee delle minacce, piuttosto che delle opportunità, assume un atteggiamento pre-critico. Al contrario, un docente critico sa immedesimarsi nella prospettiva di un‟altra persona o di un altro gruppo; ed è proprio nelle comunità professionali che viene fuori l‟occasione per coltivare la nascita di prospettive di significato diverse e alternative a quelle che generalmente si adottano, in maniera acritica, durante l‟esercizio della professione. Mezirow (2003) al riguardo parla di “comunità comunicative”, di comunità, cioè, in cui le interazioni discorsive sono finalizzate alla comprensione e alla verifica della validità di ciò che viene comunicato da coloro che vi prendono parte. Perché ciò avvenga è necessario, naturalmente, che si impari a decentrare il proprio punto di vista, in modo tale da non considerare la propria prospettiva come l‟unica possibile; ma è altresì necessario che si acquisisca una maggiore consapevolezza della storia del contesto nel quale si vive o si lavora (le norme, i codici, i modelli di reazione, i filtri con cui si percepisce la realtà). Occorre, infine, esaminare, senza preconcetti, i dati di fatto e le tesi argomentative e liberarsi da inutili meccanismi di difesa psicologica per essere maggiormente aperti alle prospettive altrui.

Da quanto finora detto, possiamo, dunque, definire alcuni concetti di fondo:

- le organizzazioni sono contesti caratterizzati da dimensioni materiali e immateriali;

- i sistemi di significato con cui i docenti interpretano gli eventi ed agiscono dentro e fuori della scuola hanno bisogno di essere validati, sottoposti cioè ad una verifica empirica e sociale;

362

Fabbri L., Melacarne C., Apprendere a scuola. Metodologie attive di sviluppo e dispositivi riflessivi, FrancoAngeli, s.r.l., Milano, 2015, p. 120

- la riflessione può essere considerata come il dispositivo più proficuo per sollecitare i processi di analisi dei modi in cui si apprende, si conosce e si interpreta la realtà;

- le comunità di pratica informali sono gli spazi privilegiati in cui gli attori organizzativi possono condividere, validare e scambiarsi idee e pratiche.

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