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Gestione e mediazione del conflitto

Capitolo quarto La nuova identità docente

4.11 I conflitti a scuola

4.11.4 Gestione e mediazione del conflitto

La scuola è spesso teatro di conflitti individuali e collettivi che , come sostiene Monteil, possono diventare “fonti di disordine, contravvenendo all‟esercizio armonioso del mestiere dell‟insegnante455”. Non è semplice dare una definizione univoca di conflitto, ma sia gli autori classici, (Freud o Lorenz) che gli studi più recenti ( Walton, Mitscherlich o Robbins), mostrano l‟inevitabilità del conflitto ed i suoi aspetti costruttivi. In base a questa interpretazione, se il conflitto viene negato, sottovalutato o appianato a tutti i costi, non si possono mobilitare quelle energie sufficienti per la sua risoluzione e “si finirà così per sopire il disaccordo, che si ripresenterà sotto più gravi spoglie, probabilmente a breve termine”; in questo modo si renderanno più fragili le relazioni fra gli individui e “alla lunga, il conflitto si trasformerà in problemi gravi e insuperabili”456.

Affinché il conflitto si trasformi in un‟opportunità di riflessione e di cambiamento, è necessario, innanzitutto, che non venga ignorato o mantenuto allo stato latente; una delle modalità migliori di gestione dei conflitti, secondo quanto afferma Deutsch457, consiste proprio nel “prendersi cura del conflitto” senza “volerlo curare458”, facendo sì che si trasformi in occasione di confronto. Daniele Novara459 sostiene che l‟educatore, in particolar modo, “deve rafforzare la capacità di stare dentro il conflitto” e “non pensare sempre alle soluzioni” immediate e definitive. Secondo lui, i docenti, presi dall‟ansia di rimettere a posto le situazioni problematiche, in realtà non sono in grado di convivere con le situazioni dissonanti. “Quando l‟educatore sa “so-stare nel conflitto”460, quando il conflitto viene accettato per quello che è, esplicitato, analizzato e affrontato – ossia gestito costruttivamente – può rappresentare un‟occasione di verifica sia delle capacità individuali sia della stabilità e della coesione dei gruppi”461.

Le vere relazioni umane consentono il conflitto, ossia il confronto, lo scambio, la divergenza, l‟opposizione. […] La formula “so-stare nel conflitto” implica proprio l‟accettazione della necessità che la relazione rappresenti l‟occasione per ciascuno di esprimere parti di sé, e liberare le proprie dimensioni più vere e più profonde, che solo nelle relazioni conflittuali possono venire alla luce.462

455 Monteil J. M., Educare e formare, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 62 456 Castelli S., La mediazione. Teorie e tecniche, Cortina, Milano, 1996, p. 19

457 Deutsch M. (1987), A theoretical perspective on conflict and conflict resolution, in D. J. D. Sandole and I. Sandole

Staroste (eds.), Conflict management and Problem Solving: interpersonal to international applications, London:Francis Pinter

458 Castelli S., op. cit. , p. 19

459 Novara D., “L‟alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace”, in F. Scaparro (a cura di), Il coraggio di

mediare, Guerini, Milano, 2001, p. 183

460 Ivi, p. 82

461 Nigris E., op. cit., p. 11 462 Novara D., op. cit., p. 182

Assumere un atteggiamento autoritario e rinunciare al confronto significa rifiutare una strategia di mediazione, attraverso l‟individuazione del conflitto, la comprensione delle cause che l‟hanno generato e l‟assunzione di tutte le problematiche personali, pedagogiche e organizzative ad esse legate.

Secondo Elisabetta Nigris, con l‟espressione “gestione dei conflitti” spesso, in Italia, si intende indicare tutti quei processi “volti a negare, appianare o risolvere a tutti i costi i conflitti, rischiando anche di perpetuare situazioni insoddisfacenti per tutti o per alcuni dei soggetti coinvolti in essi463”. Tutti i tentativi disperati di risolvere un conflitto ad ogni costo, giungendo persino a negare i diritti o i disagi di chi ne è vittima, si servono di strategie che non sempre portano ad una risoluzione positiva del problema:

Si va dalla negazione completa del conflitto (argomenti diventati tabù in famiglia, colleghi che si evitano, alunni che si tacitano, soluzioni che si appoggiano in collegio docenti e che poi si contraddicono nella pratica educativa quotidiana in classe…), all‟estremo opposto, ossia al ricorso alla violenza, all‟eliminazione fisica o psicologica dell‟avversario (anche nei collegi docenti o nei gruppi di operatori si può assistere a comportamenti aggressivi o intimidatori che limitano la libertà di una o più parti coinvolte nel conflitto), fino ad arrivare al mobbing o a comportamenti addirittura illegali464.

Si tratta di metodi che eliminano il conflitto aperto ma non lo sopprimono e non lo canalizzano verso forme di accordi che possano andare bene per tutti.

In area anglosassone, invece, con l‟espressione “conflict management” si rimanda a tutti quei processi che cercano una soluzione positiva del conflitto. A questo proposito, si fa riferimento al concetto di “mediazione” distinguendolo da quello di “negoziazione” o di “gestione generica dei conflitti”, proprio perché il primo si avvale di un terzo “neutrale” che media fra le parti465.

Nel processo di mediazione, la persona incaricata di redimere un conflitto, non si assume la responsabilità e il diritto di decidere chi ha torto o chi ha ragione, né di trovare o imporre soluzioni, ma si limita semplicemente a facilitare la gestione del conflitto fra le parti466.

Folberg e Taylor definiscono la mediazione come “un processo attraverso il quale i partecipanti, con l‟aiuto di una terza persona neutrale, isolano in maniera sistematica le questioni per cui sono in lite, al fine di sviluppare opzioni, di valutare alternative e di giungere a un‟intesa mutuamente accettabile che risponda ai loro bisogni467”.

463 Nigris E., op. cit., p. 14 464 Ivi, p. 15

465 Ivi, p.16

466 Raider E., Conflict resolution training in schools, in B.B: Bunker, J.Z. Rubin, Conflict, cooperation and Justice,

Jossey-Bass Publisher, San Francisco, 1996, pp. 93-95

Anche Scaparro e Castelli danno una definizione di mediazione che ne mette in evidenza la componente relazionale:

La mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti indesiderabili di un grave conflitto. La mediazione mira a ristabilire il dialogo fra le parti per poter raggiungere […] la riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile soddisfacente per tutti. L‟obiettivo finale della mediazione si realizza una volta che le parti si siano creativamente riappropriate, nell‟interesse proprio e di tutti i soggetti coinvolti, della propria attiva e responsabile capacità decisionale468.

Il fine ultimo della mediazione non è, dunque, quello di sostituirsi alle parti in causa, ma far sì che queste diventino capaci di affrontare i problemi in maniera sempre più autonoma; soprattutto nelle organizzazioni istituzionalizzate e centralizzate, come la scuola, è fondamentale che i soggetti coinvolti nei vari conflitti siano messi nelle condizioni di poterli comprendere, elaborare e risolvere in maniera consapevole ed autonoma.

468 Scaparro F. (a cura di), Il coraggio di mediare, Guerrini, Milano 2001. Castelli S., La mediazione. Teorie e tecniche,

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