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L’insegnante come professionista della formazione

Capitolo quarto La nuova identità docente

4.2 L’insegnante come professionista della formazione

Negli ultimi tempi, la rappresentazione del ruolo del docente si è modificata notevolmente, tanto che ormai quest‟ultimo non può più essere visto soltanto come un mero esecutore o trasmettitore di conoscenze, ma diventa un soggetto che deve essere in grado di progettare, di agire in piena autonomia ed in accordo con i colleghi, deve, soprattutto, saper prendere decisioni e compiere scelte opportune. La scuola è una vera e propria organizzazione che può essere pensata come una comunità di professionisti la cui efficacia formativa cresce e si rafforza se esiste un insieme di valori condivisi cui fare riferimento, se opera attraverso la collaborazione ed il lavoro coordinato e se è in grado di socializzare le buone pratiche didattiche. Si fa sempre più strada la rappresentazione di un insegnante come professionista della formazione, capace di autoregolarsi, di accettare sfide, di assumere delle responsabilità, di confrontarsi con i problemi cercando di risolverli e di farsi carico degli interessi degli allievi, diventando così, in altre parole, imprenditore di se stesso.

Essere professionista vuol dire svolgere un‟attività che richiede una conoscenza, teorica e pratica, specialistica. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta assistendo ad una crisi di fiducia nei confronti della professione, una crisi che ha riguardato anche questioni intrinseche alla professione stessa. La conoscenza professionale fatica a star dietro alla mutevolezza di situazioni caratterizzate da disordine, indeterminatezza, complessità, conflitti di valore e di visione del mondo. Per queste ragioni non è più possibile contare solo sulle abilità e sulle tecniche dell‟expertise tradizionale ma diventa fondamentale la gestione ed il confronto con la propria conoscenza e con la pratica professionale.

Maria Grazia Riva, riprendendo il pensiero di Schon, sostiene che “l‟uso efficace della conoscenza specialistica dipende da una preliminare ristrutturazione di situazioni incerte e complesse, mediante l‟impostazione del problema, e dall‟esercizio artistico della professione, riguardo a casi che si presentano come unici”345.

Il superamento della tradizionale separazione tra pensare e agire, sapere e fare, decidere e attuare, è uno dei punti più importanti nella riflessione di Schon che, dopo aver esaminato attentamente le modalità con cui i professionisti integrano la loro preparazione teorica con la pratica quotidiana, cerca di darne un‟ interessante interpretazione. Egli ritiene che, normalmente, secondo un modello classico ispirato ad una modalità che lui definisce “Razionalità tecnica”, si tende ad identificare l‟attività professionale fondamentalmente in un problem solving; si tende cioè ad applicare, in contesti operativi, quei saperi e quelle conoscenze che sono costruiti, attraverso protocolli di ricerca standardizzati, fuori dai contesti esperienziali (nelle Università, nei centri di ricerca), senza lasciare

uno spazio per cogliere quelle conoscenze tacite intrinseche nella pratica e che ci muovono nella gestione quotidiana. In realtà, come dice Maura Striano346, applicando la razionalità tecnica “nel corso dell‟agire educativo non si fa altro che riflettere su una conoscenza proposizionale ed applicarla in pratica in modo strumentale utilizzando procedure riflessive di controllo”, però, così facendo, la conoscenza viene “usata per dirigere e orientare le pratiche educative ma non emerge, né viene costruita e/o ricostruita nel corso delle stesse”347. Per questo motivo, Schon, denunciando i limiti del modello della “Razionalità tecnica”, dice:

“Siamo legati a un‟epistemologia della pratica professionale che ci lascia incapaci di spiegare, o persino di descrivere, competenze alle quali attualmente attribuiamo estrema importanza”348.

In virtù di ciò, secondo lui, il problem solving non può più essere considerato come l‟unica risposta adeguata alla realtà, ma va integrato dal problem setting (la definizione del problema) e cioè “quel processo attraverso cui definiamo la decisione da prendere, i fini da conseguire, i mezzi che è possibile scegliere”, tutto questo perché nella realtà della pratica i problemi non si presentano come dati, ma “devono essere costruiti a partire dai materiali di situazioni problematiche che sono sconcertanti, turbative, incerte”349. Occorre dunque acquisire un approccio più “problematico” alla realtà, che consenta di analizzare la situazione nella sua complessità e nella sua unicità.

Il professionista deve trasformare la situazione che ha di fronte in un problema, selezionando gli oggetti di analisi, definendo i confini delle scelte effettuate, strutturando il contesto entro cui svolgere il proprio lavoro.

Schon ritiene che l‟azione debba essere guidata da due elementi essenziali: la “conoscenza nell‟azione” e la “riflessione nell‟azione”. La conoscenza nell‟azione è una conoscenza intrinseca all‟azione che si rivela tramite l‟esecuzione spontanea e sapiente di un atto, e che è difficile descrivere a parole (un esempio: guidare la bicicletta). Alcune volte, però, può accadere che nelle azioni abitudinarie si producano risultati inattesi; in ogni esperienza ci potrebbe essere un elemento di sorpresa che induce il professionista a riflettere su quanto sta accadendo. In questi casi, l‟operatore può “fermarsi a pensare”, separando il momento dell‟azione dal momento della riflessione; oppure può riflettere nel corso dell‟azione, determinando una modifica dell‟azione durante il suo svolgimento, attraverso la riflessione nell‟azione.

“Nella prassi delle prestazioni spontanee, intuitive, dell‟agire quotidiano, ci dimostriamo intelligenti in modo peculiare. Spesso non riusciamo ad esprimere quello che sappiamo. […] Il nostro conoscere è normalmente

346 Striano M., La razionalità riflessiva nell‟agire educativo, Liguori Editore, Napoli, 2001 347

Ivi, p. 4

348 Schon D. A., Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Edizioni

Dedalo, Bari, 1993, p. 48

tacito, implicito nei nostri modelli di azione e nella nostra sensibilità per le cose delle quali ci occupiamo. Sembra corretto affermare che il nostro conoscere è nella nostra azione. Analogamente, l‟attività lavorativa quotidiana del professionista si fonda sul tacito conoscere nell‟azione. […] Nella pratica quotidiana egli formula innumerevoli giudizi di qualità per i quali non è in grado di definire criteri adeguati e mostra capacità per le quali non è in grado di definire regole e procedure”350.

Nella prassi quotidiana il professionista dimostra la sua intelligenza, ma non riesce ad esprimere né a descrivere quello che sa e come agisce, cosa mette in atto, perché il conoscere è nella sua azione, vi è un tacito conoscere nell‟azione.

Considerare l‟intelligenza dell‟azione significa riconoscere al professionista uno status epistemologico autonomo, anche se non separato dal sapere accademico. Il professionista deve essere in grado di superare il dilemma tra fedeltà al sapere accademico e aderenza alla situazione concreta. Schon sostiene che molti professionisti, in risposta al dilemma tra “rigore e pertinenza”, “ritagliano la situazione pratica al fine di renderla adeguata alla conoscenza professionale”, oppure cercano di “forzare la situazione in una maniera che si presti all‟uso delle tecniche disponibili.” In realtà, tutte queste strategie “comportano il pericolo di errate interpretazioni delle situazioni, o della loro manipolazione, per servire l‟interesse del professionista a conservare la propria fiducia nei modelli e nelle tecniche standard”351.

Il concetto di teoria, intesa come insieme di regole che spiegano e fanno funzionare la realtà, si trasforma, passando da una dimensione esplicita e formalizzata ad una implicita e tacita, e consente a Schon di sviluppare, in collaborazione con Argirys, il concetto di “teoria in uso”, centrale nella riflessione sull‟apprendimento organizzativo352.

Quello delle teorie dell‟azione è un concetto molto importante. Le Teorie dell‟azione sono strategie e regole di azione che gli attori di ogni organizzazione devono seguire per realizzare i risultati che sono tipici di quella specifica organizzazione. Sono i modi in cui le persone esplorano la realtà e inquadrano i problemi. Esistono due tipi fondamentali di teorie dell‟azione: le teorie “professate”, incorporate in affermazione ufficiali e le teorie “in uso”, incorporate nelle routine, nelle convinzioni delle persone, nei modelli mentali con cui le persone affrontano la realtà. Le teorie-in-uso sono molto resistenti. I loro portatori non ne sono del tutto consapevoli. Se chiediamo a qualcuno nell‟organizzazione di dirci come si fa una cosa la sua tendenza tipica è di dirlo in termini di teoria professata, mentre il suo agire quotidiano è tutto intessuto di teorie-in-uso. Nelle teorie-in-uso, dunque, si annidano le resistenze organizzative, che rappresentano la difesa di interessi particolari,

350

Ivi, p.76

351 Ivi, p. 48

di individui e piccoli gruppi e che si oppongono al cambiamento che sarebbe necessario in quella determinata organizzazione rispetto a cambiamenti che provengono dagli ambienti esterni. Superare le difese organizzative significa quindi in larga parte smascherare le teorie-in-uso e rendere consapevoli gli attori organizzativi dei loro problemi rispetto al cambiamento. Nella visione di Argyris e Schon la vita dell‟organizzazione è caratterizzata da continue indagini attraverso cui gli attori negoziano le “teorie organizzative” che devono prevalere. È come se le persone nell‟organizzazione si mettessero continuamente d‟accordo (quasi sempre in modo tacito, senza bisogno di alcun accordo formalizzato) rispetto a questioni che riguardano il modo di considerare i problemi, i comportamenti da tenere, ecc. In questa maniera tutti difendono il proprio spazio e si creano complicità reciproche. Invece, per risolvere davvero i problemi (gli autori adoperano il termine “errori”) sarebbero necessarie altre modalità. Argyris e Schon, come abbiamo osservato nel terzo capitolo, parlano, infatti, di apprendimento “a ciclo semplice”, “apprendimento a ciclo doppio” e “deutero apprendimento”o “apprendimento di secondo livello”.

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