Il pattern più tipico di risposta di fronte a tali eventi consiste in una serie di vissuti soggettivi, che sembrano presentarsi in modo molto simile nei vari soggetti (Galimberti, 1983). Le reazioni psicologiche alla diagnosi di tumore hanno conse- guenze sull’adattamento psicosociale alla malat- tia e ai suoi trattamenti e sulle complicanze psico- patologiche che a loro volta ne possono influenzare negativamente il decorso. La malattia assume significati diversi a seconda della storia, delle esperienze pregresse e della personalità di ogni singolo individuo e tali significati tendono a condizionare il comportamento della persona che si ammala. Sarebbe sbagliato ricercare dei com- portamenti standard; infatti ogni individuo di fronte ad un evento reagisce in modo soggettivo. La risposta psicologica alla diagnosi di cancro viene solitamente descritta come un processo a stadi dove, da una prima fase di shock si passa ad una di reazione, poi di elaborazione, ed infine ad una definita di riorientamento. La comunicazione della malattia, rappresenta un momento di cri- si nella vita di una persona, una rottura degli equilibri vitali in cui il “dopo” non sarà mai più come il “prima”. Uno shock dunque esistenziale dove il paziente cerca di riafferrare la sua vita per tentare una risposta convincente al “perché” della malattia. Questa fase rappresenta una vera e propria frattura del senso di continuità del sé, ca- ratterizzata da profonda angoscia e da sentimenti di incredulità. Il paziente, può rispondere a tale realtà troppo dolorosa, mettendo in atto meccani- smi di difesa che, in qualche modo gli permettono di dilazionare il confronto diretto con una situa- zione che non è pronto ad accettare. La persona si trova in uno stato di completo smarrimento, a vol- te talmente tanto intenso, da renderla momentane- amente incapace di affrontare la vita a qualsiasi livello. La comunicazione della diagnosi è vissuta come un momento catastrofico dove l›angoscia dirompente sovrasta ogni energia umana. Un sen-
timento di incredulità e di quella che viene chia- mata “anestesia affettiva” segnano duramente questo passaggio. È particolarmente importante in questo delicato momento rispettare i tempi del pa- ziente, non forzarlo ad affrontare ed esprimere i propri stati d’animo (Biondi et al., 1995). La fase di reazione è caratterizzata dal confronto e dall’ac- cettazione inevitabile della dura realtà. I senti- menti di rabbia e disperazione sono di solito su- scitati dai trattamenti chemioterapici o radianti che iniziano a susseguirsi e dagli approfondimenti diagnostici e interventi specialistici. Il soggetto per gestire questa tempesta di emozioni utilizza meccanismi di negazione, che gli permettono di reinterpretare una realtà dolorosa eliminando, al- meno parzialmente, le potenziali minacce alla propria integrità. Il meccanismo della rimozione viene messo in atto nei confronti del tipo di pato- logia; la regressione a comportamenti infantili, la proiezione manifestata dall’aggressività verso i medici e i propri cari a cui attribuisce la causa del- la malattia; l’isolamento delle emozioni dai fatti: ad esempio parla della diagnosi con indifferenza; l’intellettualizzazione, invece, riferendosi alla malattia tumorale come se non coinvolgesse il proprio corpo. Infine, la formazione reattiva, me- diante la trasformazione del senso di angoscia causato dalla malattia nel suo opposto ad esempio in pensieri piacevoli (Torta e Mussa, 2007). Que- sto è il momento in cui la realtà sembra imporsi con tutto il suo peso. L’impatto psicologico dei trattamenti porta il soggetto da una posizione in cui era autosufficiente ad una in cui è costretto a chiedere aiuto anche per affrontare piccoli compi- ti. L’immagine di sé, di una persona piena di ener- gia e autosufficiente non riesce ad adattarsi alla nuova situazione. La spinta a sentirsi normali e a comportarsi come se niente fosse accaduto può portare la persona ad aspettative elevate e irreali- stiche rispetto alla situazione effettiva e a diventa- re ipercritica verso se stessa. Il fatto di non riusci- re più a condurre una vita normale porta la mente a non rispettare quelli che sono i nuovi limiti im- posti dal proprio corpo. La fase di elaborazione comincia al termine del periodo attivo delle cure, quando le persone cercano di dare un senso a quello che è accaduto loro e soprattutto quando l’intera esistenza del paziente è realmente mutata.
Si tratta di un momento in cui il soggetto elabora e accoglie in modo graduale l’esperienza della malattia nella propria vita ad accettarne il senso. La tappa successiva è quella del riorientamento che segue la convivenza con la malattia e le sue conseguenze. In questa fase il soggetto è alla ri- cerca di nuovi significati da attribuire alla malattia per riuscire a riorientare la propria storia di vita. Questo momento è influenzato in modo particola- re dagli atteggiamenti, dallo stile cognitivo e com- portamentale che il paziente adotta per far fronte alla malattia. Nella fattispecie le sue capacità di coping. Lo stile di coping è quel fattore risultato determinante nel modulare le differenze indivi- duali di reazione psicologica alla malattia e la qualità della vita dopo la diagnosi, nell’influenza- re la risposta e la compliance ai trattamenti che- mioterapici e radianti e il decorso biologico della malattia (Biondi et al., 1995). La persona malata è costretta ad affrontare un’esperienza che mette a dura prova la percezione d’integrità e l’identità personale, in quanto il senso di sé viene profonda- mente segnato da una serie di eventi stressanti e destabilizzanti. Risulta quindi necessario un adat- tamento in funzione della gravità della diagnosi, della severità del protocollo terapeutico, delle specifiche reazioni psicologiche della persona malata (Menoni e Ridolfi, 2008). Superato il mo- mento acuto, caratterizzato da risposte emozionali tendenzialmente comuni a tutti gli esseri umani (la rabbia, lo spavento e la tristezza), le modalità con cui si arriva alla elaborazione e all’accettazio- ne della malattia possono cambiare da persona a persona (Biondi, et al., 1995). Osservare la reazio- ne emotiva del paziente durante il decorso della malattia, sollecitarlo a esprimere le proprie preoc- cupazioni in presenza di un medico attento ed em- patico, riduce l’intensità delle emozioni e fa senti- re il paziente compreso e sostenuto. Non esprimerle o percepirne una ricezione disattenta da parte del medico aumenta il rischio di situazio- ni psicopatologiche come depressione e stati di ansia generalizzata, che a loro volta interferiscono negativamente con la prognosi (Del Piccolo, 2007). E’ essenziale la presenza di un medico at- tento ed empatico, oltre che ricettivo dei bisogni del paziente, in quanto per quest’ultimo è una del- le sue principali fonti di supporto psicologico
(Molleman et.al., 1984). Coniugare l’esplorazio- ne delle emozioni con l’uso susseguente di com- menti empatici e legittimazioni è uno dei modi più efficaci per fornire sostegno, ridurre il senso di solitudine e soprattutto di riconoscere e autentica- re l’esperienza emotiva vissuta dal malato. (Del Piccolo, 2007). Nella tabella 1 sono indicate le principali risposte adattive e disadattive dei pa- zienti di fronte ad una cattiva notizia, quale può essere appunto una diagnosi di tumore (Buker- man, 1992). Se il paziente nega ogni tipo di ipote- si o di idea sulla diagnosi, è possibile che tende a mettere in atto una modalità di adattamento alla malattia (coping) in cui prevale l’atteggiamento delegante e deresponsabilizzante, che tuttavia corrisponde ad uno stile cognitivo del soggetto (“locus of control” esterno); oppure che si difen- de attraverso meccanismi di negazione. In questo caso si assiste alla messa in pratica di un meccani- smo di difesa deputato a gestire situazioni in cui le risorse psicologiche non sono sufficienti a tolle- rare le emozioni connesse ad un particolare even- to. Se transitoria, la negoziazione è funzionale al recupero delle risorse necessarie a far fronte alla circostanza e non va contrastata tranne se non fini- sce per interferisce seriamente con il trattamento (Saltini, Dall’Agnola, 1995).
Tab. 1 - Principali risposte adattive e disadattive dei
pazienti di fronte alla diagnosi di cancro
Risposte adattive Risposte disadattive
Ironia Colpa
Negazione transitoria Negazione persistente Rabbia senza oggetto/con-
tro la malattia
Rabbia contro gli operato- ri sanitari
Pianto Depressione
Paura Ansia generalizzata/attac- chi di panico
Speranza realistica Speranza irrealistica Pulsione sessuale Disperazione Negoziazione Manipolazione (Tratto da Bukerman, 1992)
non essere a conoscenza della propria condizione anche quando il medico sa, invece, di averlo in- formato su tutte le notizie concernenti il suo stato di salute. Anche questo può essere un sintomo di negazione, rispetto al quale però è sconsigliato contrastare il paziente. A volte però potrebbe, in- vece, trattarsi di un atteggiamento di diffidenza, in cui il malato mette alla prova e confronta le nuove informazioni con quelle già ricevute in passato. Il principale obiettivo di questa fase è cercare di ridurre al minimo lo stato di disagio che attanaglia paziente (Del Piccolo, 2007). Un vasto settore della ricerca ha descritto la relazione emotiva alla malattia neoplastica come una alterazione psico- patologica tipica più o meno inconscia, che per la sua specificità è stata definita come “sindrome psiconeoplastica” (Guarino e Ravenna, 1992). La sindrome psiconeoplastica è data da un insieme di dinamiche psicologiche costanti e la sua intensità morbosa, invece, da caratteristiche legate all’età e alla personalità del soggetto, alle sue capacità relazionali e alle esperienze passate. I sintomi psi- copatologici provocano un vissuto di sconvolgi- mento esistenziale, perdita della proiezione verso il futuro accompagnati da un profondo senso di paura e di stress. La perdita dei ruoli principali, come quello familiare e lavorativo comportano una pensosa frustrazione e portano il paziente a nutrire forti dubbi sulle capacità di mantenere at- tivi ruoli nei legami affettivi e sessuali. La caduta della propria immagine e la spiacevole alterazio- ne del vissuto corporeo provocano sentimenti di ostilità e aggressività verso l’ambiente circostante oltre il senso di colpa, di invidia e di ingiustizia e un forte senso di impotenza di fronte alla diagnosi schiacciante di tumore (Orlandelli et al., 2005). Inoltre, particolare attenzione va data a sogget- ti che hanno già una loro storia psicopatologica come depressione, stati maniacali, disturbi di per- sonalità, problemi gravi di gestione dell’ansia, ecc. Spesso la sindrome psiconeoplastica reattiva sconvolge completamente l’equilibrio emotivo del soggetto e diviene più duratura della patologia oncologica stessa, configurandosi come fattore di influenza negativa sulla compliance del paziente, sul decorso della malattia, sul reinserimento so- ciale e sulla prognosi (Sarno, 2009).