La figura del padre, sostiene Andolfi (2001), è pressoché assente negli importanti modelli teorici che hanno caratterizzato e guidato le ricerche sul- lo studio dello sviluppo infantile: si pensi all’am- pia letteratura psicoanalitica sulla baby observa- tion e alle teorie dell’attaccamento.
Come affermato da Attili (2001), le ricerche classiche condotte all’interno di questo paradig- ma, identificano principalmente nel legame con la madre e nelle modalità in cui esso si struttura, la qualità del legame di attaccamento sviluppato dal bambino. Vi sarebbe, dunque, secondo tali ricer- che, una causalità lineare per cui è il comporta-
mento materno messo in atto nel primo anno di vita del bambino che indirizza la formazione dei modelli mentali del self e dell’altro (gli internal working models), che influenzano il modo di porsi del bambino nelle relazioni successive. Sarebbe la madre la figura genitoriale a cui attribuire l’intera responsabilità di uno sviluppo affettivo e sociale ottimale del bambino.
Andolfi (2001), ancora, sostiene che il padre e la funzione paterna siano stati a lungo trascurati non solo nella teoria, ma anche nelle istituzioni di diagnosi e cura del bambino, dove per molto tem- po è stata centrale la funzione materna. Il paterno e il maschile sono stati per troppo tempo marginali e sottoutilizzati rispetto al materno e al femminile, caricato a sua volte di eccessiva responsabilità.
Secondo l’autore, in una società in profonda trasformazione, è importante porsi l’obiettivo di ritrovare il padre, che significa ricercarne il sen- so e il valore debellando i pregiudizi e gli stere- otipi sociali che oscillano tra l’antico modello dell’autoritarismo paterno ed il nuovo prototipo di “mammo”, che per poter accedere al mondo dei fi- gli deve trapiantarsi i seni piuttosto che mantenere una propria specifica sensibilità maschile. L’anti- ca rigidità di un padre che delegava l’educazione e gli aspetti accudenti alle donne che rimanevano in casa, era in qualche modo, secondo l’autore, un elemento di chiarezza e questa riconoscibilità di ruolo si è persa per strada.
D’Elia (2017), a tal proposito, cita la Argentieri che parla di “padri materni”, espressione recente di padri che non rinunciano all’accudimento della prole e ad una espressione anche fisica dell’affet- tività maschile. Questi padri hanno aperto sulla scena sociale e su quella psicologica nuovi sce- nari nelle relazioni genitoriali e nell’allevamento dei figli, non senza conseguenze, però, sullo svi- luppo psicofisico dei bambini e sulla costruzione di identità maschili e femminili forti e definite,
Padri in campo, non più in panchina
Michela Rubino*, Vanda Vitone**
*Psicologa clinica Specializzanda in Psicoterapia sistemico-relazionale
**Psicologa-Psicoterapeuta, Dirigente Sanitario Consultorio Familiare di Modugno ASL Bari, Vice Presidente Ordine degli Psicologi Puglia
ostacolati dallo sfumare delle differenze, che sono una premessa edipica per una identificazione ma- turativa.
Recalcati (2016) approfondisce la teoria di La- can che, alla fine degli anni 60, parlava di evapo- razione del padre, ritenendo che l’occidente abbia ridotto la paternità a pura connotazione naturale, biologica, senza essere anche paternità psicologi- ca, emotiva e simbolica. Secondo Lacan la società senza il padre è un’aggregazione di persone in- capaci di reggere le ferite della vita e il figlio che non incontra l’insegnamento paterno, non sa più cosa fare di tutta l’energia che sente dentro di sé, destinata a cambiare il mondo, e rischia di diri- gerla non in senso trasformativo, ma distruttivo, contro di sé o contro gli altri. Relegando in secon- do piano la figura e la funzione del padre, anche i concetti dell’etica vengono disattivati: il dovere è considerato quasi una brutta parola; il diritto, dal canto suo, perde il suo lato scomodo, di ciò che dobbiamo agli altri, per diventare esclusivamente acquisitivo: ciò che gli altri devono a noi. Secon- do la teoria di Lacan, se nascerà un essere umano nuovo, che avrà riscoperto il padre, si tratterà di un essere umano con una spina dorsale, che sa bene che non avrà nessun amore, piacere, sicurez- za, se non sarà capace di perdere, di assumersi la responsabilità, da persona adulta, di questo amo- re, dei suoi piaceri, e della sicurezza necessaria al benessere suo e degli altri.
La “crisi del padre”, secondo le riflessioni di Andolfi (2001), sarebbe dovuta ad un momento di passaggio rispetto a tale figura. L’autore, nel suo libro, descrive un padre antico definendolo “padre pallido”, metafora che ben rappresenta una figura paterna assente, periferica, assorbita dal lavoro, che lo hanno reso in passato passivo e marginale rispetto al proprio ruolo genitoriale. Le riflessioni dell’autore si collocano come momento di rottura rispetto a tanto pallore, in favore di un’immagine più nitida, maggiormente attiva e desiderosa di partecipare alla vita familiare, ma ancora carente di chiarezza. Oggi i padri stanno “rientrando in casa”, con il compito di riappropriarsi di aspetti affettivi ed educativi che però fanno fatica a gesti- re, avendo avuto modelli generazionali totalmente differenti.
Ne deriva, così, l’immagine di un padre fragile e in difficoltà, orfano di modelli forti a cui aggrap-
parsi e vittima dello stereotipo del ruolo materno. Il “vuoto” di padre spesso è paradossalmente sostenuto da un “pieno” di madre, con una funzio- ne ipertrofica, ipercoinvolta nella relazione con i figli.
Garfield (2017) spiega come il mondo sia cam- biato profondamente negli ultimi 50 anni e oggi gli uomini, in particolare i giovani padri, incon- trano una serie di difficoltà connesse a quello che viene definito il “codice maschile”, ovvero l’in- sieme di regole esplicite ed implicite, di creden- ze sociali, di orientamenti, che fanno riferimento a come un uomo debba comportarsi per essere definito un “uomo di successo”. Questo codice contiene al suo interno una lista di comportamen- ti attesi come: dominanza, controllo emotivo, in- dipendenza, prestanza fisica, riserbo, concretezza che, secondo l’autore, sono pressoché rimasti im- mutati negli Stati Uniti ed in gran parte dell’Eu- ropa, negli ultimi 200 anni, e gli uomini che vi si sono conformati hanno raggiunto potere prestigio e privilegi, gli altri, invece, sono andati incontro a dure conseguenze e ne vediamo alcuni esempi negli episodi di bullismo. A causa del codice ma- schile a cui ancora oggi sono soggetti, gli uomini sembrano trovarsi in una condizione di bilico tra due mondi: uno in cui è richiesto loro un mag- giore coinvolgimento affettivo, emotivo, soprat- tutto rispetto ai figli, e un altro in cui è richiesto che ostentino la veste più superficiale di “uomini veri”, in accordo con il codice maschile. Questo disaccordo interiore espone gli uomini all’alta possibilità di sviluppare tutta una serie di sintomi come: disagio nella relazione coniugale, rabbia, depressione, dipendenza, incapacità di controllo degli impulsi, difficoltà di relazione con i figli.
Recalcati (2013) afferma che la crisi attuale della figura paterna comporta l’insorgere nei fi- gli di un “complesso di Telemaco”. Telemaco è il personaggio della mitologia greca da prendere come emblema della situazione infantile odier- na. Presentato da Omero nell’Odissea, è il figlio di Ulisse, in fiduciosa attesa del ritorno del padre a Itaca, come colui che può ripristinare la Legge della parola nella notte dei Proci.
Le giovani generazioni di oggi assomigliano a Telemaco: domandano che qualcosa faccia da padre, che qualcosa torni dal mare, chiedono una legge che possa riportare un nuovo ordine e un
nuovo orizzonte nel mondo.
Infatti, se da una parte l’autorità del padre è tramontata, dall’altra segnali sempre più insisten- ti giungono dalla società civile, dal mondo della politica e della cultura, a rilanciare una pressante domanda di padre.