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Motivazioni e fattori determinanti la condotta di atti persecutori nelle donne

Cosa determina il female stalking? Innanzi- tutto in ambito forense molta attenzione è stata posta sull’ erotomania, considerata una forma d’ amore patologico sin dai tempi più antichi. Kra- epelin ritiene che il delirio erotomanico “appare come un’espressione morbosamente trasformata del modo naturale attraverso cui il nostro cuore prova emozioni”, “una compensazione psicologi- ca causata dalle delusioni della vita.” (Kraepelin, 1921). Meloy concettualizza il disturbo in manie- ra interessante e ne vengono ipotizzate due diver- se forme: la prima forma, classica, indicata come erotomania delirante mentre la seconda come ero- tomania borderline. Quest’ultima viene conside- rata come una forma della sindrome non delirante nella quale un estremo disordine dell’ attaccamen- to è evidente nella ricerca e nella possibile vio- lenza verso il rifiutante oggetto d’amore. Mentre nell’erotomania delirante non c’è una precedente relazione o vi è solo un fugace contatto, nella forma borderline c’è stata una storia di effettivo coinvol- gimento: per la personalità organizzata a livello borderline, il rifiuto provenien- te dall’oggetto d’amore evoca paura di Tab. VI: Relazione tra vittima e persecutore

Fonte: Tjaden P., Thoennes N. (1998): “Stalking in America. Findings from the Na- tional violence against women survey”. In

U.S. Department of justice, National Institute of Justice.

abbandono e rabbia (Meloy, 1989). Interessante è notare la somiglianza del comportamento tipi- co della donna erotomane adulta con quello dell’ erotomane adolescente. Il primo caso presentato in questo ambito è quello di una ragazza di 13 anni, nera, che dopo aver manifestato deliri eroto- manici contro l’ insegnante e lo psichiatra da cui era in cura inziò ad attuare comportamenti vio- lenti quando i suoi tentativi di ricerca d’ intimità venivano respinti. Vaidya et all. presentano invece il caso di un’ adolescente stalker di 15 anni accolta dal Child and adolescent mental Health Service a causa di comportamenti violenti esibiti a danno di un’insegnante in seguito ai suoi numerosi tenta- tivi di respingere le avances. In questo specifico caso i comportamenti aggressivi sono stati spie- gati alla luce di un background familiare di pro- venienza caratterizzato da alti livelli di conflitto e violenza. Pertanto gli autori hanno concluso che le condotte di stalking non correlavano con distur- bi mentali ma con problematiche causate da un’ attaccamento insicuro (Carabellese et all, 2013). Tuttavia attraverso la ricerca di casi di stalking agiti dalle donne adulte è stato dimostrato che vi è una netta prevalenza di disturbi mentali rispet- to alla popolazione di stalkers di sesso maschile (Catanesi et all, 2013). Questo viene dimostrato da vari studi. In particolare Meloy et all. hanno riportato nel loro campione esaminato una netta

prevalenza di disturbi dell’asse I e dell’asse II. Tra disturbi dell’ asse I il 20% delle donne ha avuto una diagnosi di disturbo delirante mentre il disturbo borderline era il più diffuso tra i distur- bi dell’asse II ( N=10 su 22) (West & Friedman, 2008). In uno studio condotto nel 2012 da Pomilla et all. è stata confermata la maggior incidenza per le stalker di sesso femminile di disturbi di per- sonalità del clauster B del DSM-IV-TR, soprat- tutto il disturbo borderline. Inoltre in un esiguo numero di stalkers è stata riscontrato un disturbo bipolare dell’umore in fase maniacale (Pomilla et all, 2012). Purcell et all. nel loro studio hanno riscontrato che il 45% delle donne manifesta un disturbo dell’ asse I e nello specifico il 30% delle stesse riportava una diagnosi di erotomania (de- lusional disoders) seguita dalla diagnosi di schi- zofrenia (5%), disturbo bipolare (5%) e disturbo depressivo maggiore (5%). Disturbi di personalità sono stati rilevati nel 50% dei soggetti esaminati e tra questi i più rappresentati sono stati il disturbo borderline (15%), il disturbo dipendente di per- sonalità (15%) seguiti dal disturbo narcisistico di personalità (7,5%), (Tab.VII). Inoltre nello stes- so studio è stato possibile riscontrare che molte più donne stalkers sono motivate dal desiderio di stabilire un’intimità amorosa con il loro oggetto d’amore, (Purcell et all, 2001).

Tab. VII: Caratteristiche cliniche di donne e uomini afferiti nella clinica di salute mentale in seguito ai loro comportamenti di stalking

Fonte: Purcell R., Pathè M., Mullen P.E., (2001): “A study of women who stalk”. In American Journal Psychia-

Importanti risultati giungono anche da uno stu- dio scientifico condotto da Nestola et all. a distan- za di sei mesi dalla promulgazione della legge che sancisce l’introduzione del reato di stalking (Tab. VIII). In 41 casi di donne stalker esaminate, d’età variabile tra gli under 20 e gli over 50, i motivi che generano tale reato mettono in mostra l’im- portanza della relazione di coppia.

Tab. VIII: Principali motivi che inducono le donne ad agire condotte persecutorie

Fonte: Giordano G., Nestola F. (2009). In http://vio- lenza-donne.blogspot.it/2009/10/stalking-femminile- rapporto-marzo.html.

Legami affettivi interrotti sono la principale causa di condotte persecutorie agite da stalker di sesso femminile (46%) seguiti da relazioni mai intraprese a causa di un rifiuto (23%) e da sepa- razioni e divorzi (15%). Dal monitoraggio si è evinto che nel 58% dei casi la vittima è di sesso maschile ma è emerso anche che nel 37% dei casi esaminati la stalker agisce condotte persecutorie a danno della nuova compagna del proprio ex partner, motivata dal binomio invidia-vendetta, con l’intento di rendere al proprio ex compagno la vita difficile, creare ostacoli o destabilizzare l’ equilibrio della nuova coppia sino, se possibile, a indurla alla rottura definitiva. Si origina così uno stalking indiretto con un bersaglio strumentale, nonché la nuova compagna e uno nascosto ma re- ale ed effettivo, ovvero l’ex partner (Giordano & Nestola, 2009).

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Riassunto

L’integrazione scolastica degli allievi con disabilità rappresenta ancora una sfida ed è lontana da essere ga- rantita in modo adeguato per tutti. Sarebbe, dunque, consigliabile e desiderabile la ricerca di una prospettiva sociale e culturale, nella quale integrazione significa riconoscere, accettare e gestire la diversità con conse- guente accettazione della specifica individualità, anche se essa è deficitaria.

In tale condizione, di fondamentale importanza è il ruolo dell’insegnante di sostegno, che non deve limi- tarsi solo alla didattica individualizzata ma deve essere l’elemento di congiunzione tra allievo, gruppo classe e istituzione scolastica. L’unico modo, infatti, per favo- rire un’inclusione reale degli allievi disabili, è la condi- visione dell’esperienza da parte di tutti. Egli deve farsi fautore di una “Speciale normalità”, dove la competen- za è messa a disposizione al fine di migliorare l’offerta formativa, e saper agire per limitare lo svantaggio in un clima di rispetto e fiducia.

Parole chiave: integrazione, didattica, disabi- lità, insegnate di sostegno, individualità, compe- tenza.

Introduzione

La sempre maggiore partecipazione degli al- lievi con disabilità alla vita scolastica e comuni- taria impone una grande riflessione su quanto è stato fatto e quanto ancora c’è necessità di fare al fine di dar loro gli strumenti per muoversi auto- nomamente nella società. La legge del 30 Marzo 1971 n° 1181segna l’inizio dell’obbligo scolastico

1 Legge 30 marzo 1971, n. 118, “Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili”.

per gli allievi con disabilità. Da quel momento in poi ci sono stati continui sforzi di facilitare l’a- dattamento di tali utenti all’ambiente scolastico sebbene, come rileva Canevaro (2009), poche ricerche hanno valutato gli esiti del processo di integrazione per valutare in che modo questa sia stata favorita. Così, l’inserimento non può essere considerato un sinonimo di integrazione: in molti casi gli sforzi compiuti per individualizzare e per- sonalizzare l’insegnamento si sono rivelati con- troproducenti sul piano della socializzazione; in altri, dove è stata privilegiata la dimensione della socializzazione, gli esiti si sono rivelati deludenti sul piano dello sviluppo delle abilità cognitive.

Sarebbe auspicabile l’adozione di una prospet- tiva culturale e sociale in cui integrazione signifi- ca riconoscere, accettare e gestire la diversità con conseguente accettazione della propria indivi- dualità, anche se deficitaria. Come sostiene Mulè (2013), la riduzione dell’handicap richiede una cultura di cambiamento che investa sia l’indivi- duo con deficit che l’istituzione , al fine di indivi- duare nuove condizioni di vita e convivenza.

È evidente che i disabili sono meglio inseriti in tutti quei contesti sociali più strutturati, organizzati, che vantano un maggior numero di strutture specialistiche e di specialisti, che offrono più opportunità di crescita e integrazione societa- ria. La scuola, pur essendo pubblica, deve rispon- dere alle condizioni sociali in cui opera e, ogni singola istituzione, conseguentemente, deve fare i conti con bisogni diversi in un contesto specifico. “Ciò che conta non è il fatto che una persona in situazione di handicap trovi una collocazione all›interno dell›istituzione scolastica, quanto che le persone che intervengono nella relazione edu-

La “Speciale Normalità”

e il ruolo dell’insegnante di sostegno.

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