Un settore particolarmente colpito dal fenome- no in questione è quello sanitario. Si stima che la violenza riguardante questo settore costituisca qua- si un quarto di tutte le violenze sul posto di lavoro. Le diverse: può essere esterna, quindi tra utente e operatore, oppure interna ovvero tra due operato- ri. Queste vengono tipologie di essa sono descritte dall’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavo- ro, 2003) come “external workplace violence” ed “internal workplace violence”. La violenza tra ope- ratori “worker on worker” è un problema rilevante e può, talvolta, essere più frequente di quella effet- tuata dall’utenza (Arnetz et al, 2011). Il Ministero della Sanità, individua una presenza significativa di aggressioni e molestie nelle strutture ospedaliere per cui gli operatori sanitari sarebbero, ipoteticamente, esposti ad un rilevante rischio di subire atti di violen- za. Se si è frequentemente esposti ad eventi violen- ti questi possono iniziare ad essere percepiti come inevitabili (Magnavita, 2011) o parte del lavoro (Ra- macciati, 2013). Può verificarsi, infatti, un aumento della soglia di tolleranza della violenza, la quale di- venta un comportamento di routine e smette di es- sere percepita come un problema (Sicora, 2013). La razionalizzazione del male subito induce le vittime a mettere in atto dei comportamenti di sottomissione o servili che potrebbero giustificare il comportamen- to dell’aggressore. Le vittime, inoltre, potrebbero essere spinte progressivamente a perdere la fiducia in loro stesse, in caso si trovino ad essere molestate da un perverso, fino a mettersi dalla parte del torto (Hirygoyen, 2000). L’autrice intende con “individuo perverso” qualcuno che può esistere solo distruggen-
do gli altri, che ha bisogno di sminuirli per acquisire autostima e conquistare il potere, perché desidera fortemente ammirazione e approvazione. Dalla let- teratura si evincono numerosi dati riguardanti il sud- detto fenomeno. Vengono di seguito riportati alcuni esempi.
Una ricerca israeliana (Tal Carmi Iluz, 2005), che si è occupata di analizzare il comportamento aggres- sivo di medici sul territorio e medici in ospedale, ha riscontrato che sebbene la percentuale di aggressioni tra questi due ambienti fosse simile, esiste una mag- giore frequenza di aggressioni verbali, effettuate dai parenti dei pazienti verso i medici ospedalieri rispet- to a quelle sui medici operanti sul territorio. Questo dato probabilmente dipende dal rapporto che i medi- ci ospedalieri instaurano con le famiglie, a differenza dei medici sul territorio dai quali i pazienti si recano da soli. Anche i medici operanti sul territorio subi- scono violenze direttamente dai pazienti e la causa più frequente di questi può essere l’insoddisfazione per il trattamento ricevuto o le incomprensioni con il medico.Questo fenomeno è equamente sviluppato indipendentemente dall’industrializzazione dei pae- si. Una ricerca (Di Martino, 2002) che ha studiato il fenomeno in diversi Stati, quali Brasile, Bulgaria, Li- bano, Portogallo, Sud Africa, Thailandia, Australia, è emerso che la violenza psicologica sembra essere più frequente di quella fisica, la seconda è presente nella maggioranza dei paesi analizzati nello studio: si riscontrano casi nell’8% in Bulgaria, nel 6% in Brasile e in Libano, nell’11% in Thailandia, nel 9% e nel 17% in sud Africa rispettivamente nel privato e nel pubblico. La violenza psicologica invece risulta ampiamente più diffusa in particolare sotto forma di aggressioni verbali con il 39,5% in Brasile, il 32,2% in Bulgaria, il 52% in sud Africa, il 47,7% in Thai- landia, il 40,9% in Libano e il 67% in Australia.
In Europa, l’EU-OSHA afferma che nel 2010 il 15% dei lavoratori ha subito delle aggressioni e ana- lizza l’entità del fenomeno nei diversi paesi:
• Danimarca: i lavoratori esposti più a rischio di violenza sono gli educatori sociali nelle strut- ture residenziali e gli infermieri impiegati in ospedale e case di cura;
• Finlandia: il rischio di minacce e aggressioni è maggiore per gli operatori sanitari e gli as- sistenti sociali, soprattutto di sesso femminile; • Svezia ed Inghilterra: sono maggiormente
colpiti infermieri e medici operanti nel settore psichiatrico; sempre in Svezia circa il 9% dei lavoratori dell’area sanitaria e sociosanitaria sperimenta quotidianamente violenze e minac-
ce e nel 67% dei casi capita più volte al mese; • Polonia: l’84% dei pazienti lamenta violenza
verbale da parte di pazienti e parenti dei pa- zienti.
Per quanto concerne l’Italia, è stata effettuata un’indagine in un’Unità Sanitaria Locale italiana tra il 2005 e il 2011 (Magnavita, 2011) con cadenza biennale dalla quale è risultato che il 9% dei 1411 lavoratori aderenti all’indagine, afferma di aver su- bito un’aggressione fisica nell’ultimo anno, il 19% molestie di vario tipo e il 3% stalking. In una ri- cerca effettuata all’interno di un ospedale pugliese (Guglielmi, 2014) il 90% dei partecipanti dichiara di aver subito aggressioni verbali e il 37% aggressioni fisiche. Le aggressioni fisiche subite da infermieri e medici sono state patite nel primo caso prevalente- mente da uomini e nel secondo unicamente da uo- mini.
Un ulteriore rischio a cui sono prevalentemente esposti gli operatori sanitari è quello di essere vit- time di stalking. Lo stalking si può definire come una costellazione di comportamenti che implicano ripetuti e persistenti tentativi di imporre su un’al- tra persona comunicazioni e/o contatti, e che sono sperimentati come spiacevolmente intrusivi. Questi comportamenti sono percepiti da chi li subisce come spiacevoli e generano apprensione, in oltre se la vit- tima è in grado di comprenderli li riconosce come la causa del proprio essere spaventata (Mullen et al, 2000). I professionisti della salute sono esposti maggiormente a questo rischio a causa della natura della loro professione, la quale li espone a proiezioni dei pazienti e desideri di rivalsa (Merzagora Betsos, 2010). Le statistiche dimostrano che gli operatori sanitari sono fra le vittime principali del fenomeno, come si evince da uno studio canadese in cui sono stati intervistati 1190 medici dell’area di Toron- to (Abrams, 2011), e fra questi il 12,2% ha subito stalking da un paziente durante la propria carriera, il fenomeno riguarda maggiormente psichiatri ma an- che ginecologi, chirurghi e medici generici. Esistono diverse motivazioni che spiegano come mai compor- tamenti di stalking sono rivolti verso questi operato- ri: innanzitutto il professionista può diventare nella mente del cliente una persona buona o cattiva, e sulla base di tali fantasie possono essere originati compor- tamenti di stalking allo scopo di attirare l’attenzione e non separarsi mai da lui o lei; oppure, il professio- nista, entrando a contatto con i bisogni più profondi del cliente, può diventare facilmente oggetto di pro- iezioni, affetti e fantasie al punto che la riconoscenza può diventare il desiderio di un legame affettivo del
quale non si può fare a meno (A. Curci et al, 2003). In uno studio condotto in Puglia (Grattagliano et al, 2014) si è analizzato il fenomeno dello stalking in strutture sanitare e si evidenzia che il numero di ri- cerche attuali, riguardanti lo stalking e le sue conse- guenze psicologiche, non sono sufficienti, per questo sarebbe opportuno avviare campagne che informino i professionisti sulle caratteristiche del fenomeno e sulle modalità per affrontarlo ed evitare i rischi. Le vittime in questo studio hanno adottato i seguenti comportamenti di difesa: evitamento dei luoghi o della persona dalla quale provenivano le molestie, tentativi di chiarificazione, ritiro in luoghi ritenuti protetti, messa in atto di comportamenti aggressivi o violenti, dimostrazione di indifferenza alle iniziative dell’aggressore, oppure hanno cercato di ottenere un contatto verbale (4%), altri ancora hanno cambiato residenza, luogo di lavoro, mansione lavorativa e numero di telefono. Solo nel 17% dei casi la vittima ha scelto di rivolgersi ad autorità o chiedere aiuto a familiari, amici, centri antiviolenza e simili. La maggior parte delle molestie subite sono di tipo psi- cologico. Solo il 17% di vittime si è rivolta a forze dell’ordine, questo è segno, probabilmente, di scarsa fiducia nell’istituzioni preposte al controllo sociale o al controllo delle vittime, oppure è possibile che le vittime provino vergogna o imbarazzo in relazione al loro vissuto. In questo studio i sintomi principali in conseguenza alle molestie sono stati: aumento della reattività emotiva, evitamento persistente, riprodu- zione dell’evento traumatico e disturbi del sonno. È interessante osservare che le maggiori vittime dello stalking sono di sesso femminile, e gli uomini che esercitano stalking sembrano avere un livello socio- culturale minore rispetto alle donne che lo esercita- no; in oltre gli uomini cercano vittime più giovani le donne invece le cercano più anziane.
Gli psicologi, in quanto operatori per la salute, sono esposti a varie forme di intrusività da parte dei pazienti che includono stalking e molestie. Una ri- cerca recente (Gentile et al, 2002) si è occupata di in- tervistare 747 membri della American Psychological Association e dei 294 rispondenti, il 10.2% riportato è stato vittima di episodi di stalking, è interessante notare che non sono state pervenute differenze signi- ficative tra gli psicologi vittimizzati e quelli non vit- timizzati in termini di caratteristiche demografiche o professionali. Il questionario postale presentato da quest’articolo è stato inviato a un campione casuale di 1750 psicologi ed è stato richiesto loro di indi- care se sono stati vittime di uno dei comportamenti descritti in precedenza e con quale frequenza. Chi
subisce episodi di stalking non rimane indifferente ma risponde in diversi modi: aumenta la sicurezza sul proprio luogo di lavoro (50%); della propria abi- tazione (36%) o cambia il proprio numero di telefo- no. Il comportamento di stalking può essere messo in atto per diversi motivi, i più diffusi sono: riconci- liare una relazione precedentemente esistente oppure stabilire intimità con l’oggetto dei desideri. La vul- nerabilità degli psicologi alle intrusioni di stalking è legata anche alla tipologia di professione che essi svolgono, poiché prevede incontri solitari con per- sone spesso affette da disturbi mentali, le quali pos- sono interpretare erroneamente il comportamento empatico del terapeuta come un interesse romantico. Subire dei comportamenti di stalking da un pazien- te è distruttivo sia dal punto di vista professionale che personale. Una grande porzione di psicologi che hanno subito stalking prendono seriamente in con- siderazione l’idea di abbandonare la professione. Il personale infermieristico delle strutture sanitarie è particolarmente esposto a rischi di aggressioni, tal- volta non denunciati. Nel Regno Unito, Saines (Sai- nes, 1999) rileva che l’incidenza delle aggressioni rivolte agli infermieri corrispondono alla metà delle aggressioni verso operatori sanitari. In Italia Be- cattini e collaboratori (Becattini et al, 2007) hanno effettuato uno studio su 15 strutture ospedaliere di 14 regioni italiane ed hanno riscontrato che il 90% degli infermieri intervistati dichiarano di essere stati aggrediti verbalmente; il 95% dichiara di aver assi- stito ad aggressioni rivolte verso i colleghi. Il 35% del campione ha subito violenza fisica ed il 31% ha avuto bisogno di cure mediche a causa di essa.
Strategie di intervento e di prevenzione
alla violenza
I fenomeni di violenza nei contesti di lavoro sono di vario genere e ampiamente diffusi, dunque è opportuno avviare delle strategie di prevenzione e analisi del fenomeno. Le organizzazioni (sia sa- nitarie che imprenditoriali) possono avviare delle indagini che mirino a rilevare fonti di sofferenza, sulle quali si potrà lavorare, con l’obiettivo di mi- gliorare la qualità della vita dei propri dipendenti durante il periodo lavorativo. Il Gruppo di Lavoro del Network Nazionale per la Prevenzione Disagio Psicosociale nei Luoghi di Lavoro (2010) si è oc- cupato del fenomeno dello Stress Occupazionale ed ha proposto un metodo di indagine in contesti azien- dali. In riferimento al contesto lavorativo, lo stress disfunzionale si manifesta quando “le richieste la-
vorative non sono commisurate alle capacità, alle risorse o alle esigenze dei lavoratori” (National In- stitute for Occupational Safety and Health, NIOSH, 1999); oppure “quando le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste avanzate nei loro confronti e le risorse a loro disposizione per far fronte a tali richieste” (European Agency for Safety and Health at Work, 2000). Infine l’Accordo Quadro Europeo (2008) definisce lo stress come “una situazione di prolungata tensione può ridurre l’efficienza sul la- voro e può determinare un cattivo stato di salute. Lo stress lavoro correlato può essere causato da fatto- ri diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione, ecc”. L’utilizzazione di sistemi di allarme e di controllo del personale può essere utile ai fini di prevenire e intervenire per tempo in caso si presentino rischi di aggressioni nei confronti del personale. In riferimento al fenomeno della violenza sugli infermieri Becattini, Bambi, Palazzi e collabo- ratori (Becattini G, 2007) riconoscono la necessità di sistemi di intervento per combattere la violenza sugli operatori sanitari, in particolare gli infermieri per il loro studio, come sistemi di allarme, presenza attiva di un sistema di vigilanza all’interno e di percorsi di formazione specifici per il personale. In Australia un gruppo di infermieri (Wilkes et al, 2010) della città di Sidney ha proposto uno strumento che sia in grado di intercettare eventuali aggressori grazie alla valutazione di una serie di fattori predittivi. Po- trebbe essere utile, inoltre, secondo un altro studio statunitense (ED Nursing, 2007), registrare in un si- stema i pazienti violenti per essere informati del loro rientro in ospedale. Il personale potrebbe ricordare ai soggetti violenti le conseguenze di comportamenti inappropriati prima che inizino ad usufruire del ser- vizio. Lo studio suggerisce in oltre dei metodi per migliorare il rapporto con il paziente tra i quali spie- gare il motivo dell’attesa fornendo frequenti aggior- namenti, favorire le richieste dei pazienti ed inserire una figura specifica che sia addetta all’interazione con essi. Queste semplici misure possono prevenire ed evitare comportamenti aggressivi da parte degli utenti.
Passando al contesto organizzativo, i dipenden- ti possono mettere in atto delle strategie collettive o individuali di difesa per riuscire a combattere la violenza. Arrendersi ad essa non è, infatti, funzio- nale per chi la subisce. Il primo passo è riconosce- re che ci si trova in una situazione di questo genere non giustificando gli atti violenti. Un secondo passo è quello di trovare aiuto all’interno dell’azienda, in
primo luogo incontrando il responsabile delle risorse umane e il medico del lavoro che effettua la sorve- glianza sanitaria in azienda ( medico competente), figure preposte dal Dlgs 81/2008 a vigilare sui rischi lavorativi ed effetti sulla salute e a identificare ed attuare azioni di prevenzione e mitigazione. Il me- dico competente , in caso definisca una diagnosi di “disturbo dell’adattamento cronico” (con ansia, de- pressione, reazione mista, alterazione della condotta e/o dell’emotività, disturbi somatiformi) o “disturbo post traumatico da stress”, ha l’obbligo, ai sensi del DM 27 aprile 2004 di denunciare all’Inail la malattia (Lista II- malattie la cui origine lavorativa è di li- mitata probabilità- guppo7: malattie psichiche e psi- cosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro). Un terzo passo è cercare aiuto da uno psico- terapeuta per poter costruire gli strumenti necessari per fronteggiare la violenza e ritrovare l’energia che consente di difendersi. La molestia avviene più facil- mente in un contesto in cui il dialogo è impossibile, dunque è importante ristabilire il dialogo nel conte- sto aziendale se si vuole evitare che tali episodi av- vengano (Hirigoyen, 2000). Una figura come quella dello psicologo può aiutare a ristabilire il dialogo nel contesto aziendale. È di fondamentale importanza, inoltre, educare i responsabili insegnando loro a te- nere conto della persona umana quanto la redditivi- tà poiché esse risultano strettamente interconnesse. Rimanere impassibili alla violenza non serve a far cessare le aggressioni, anzi, è fortemente consigliato essere rigidi nel bloccare la comunicazione perversa. Inoltre è importante denunciare quanto accaduto alle autorità. Potrebbe essere utile per i dipendenti usu- fruire di un questionario che li guidi nell’interpreta- zione dei comportamenti dei propri superiori oppure dei clienti dell’organizzazione e/o azienda. Ricono- scere un’aggressione fisica, infatti, è meno comples- so, mentre fenomeni come mobbing, manipolazione perversa o screditamento del proprio lavoro possono essere perpetrati in maniera subdola e poco perce- pibile dalla vittima, la quale potrebbe riscoprirsi demotivata, con umore depresso o poco desiderosa di recarsi sul posto di lavoro, apparentemente senza spiegazioni. Secondo Fattorini et al (2010) esistono molteplici fattori di rischio stressogeni nei contesti di lavoro, tra i quali ne riconosciamo alcuni dipen- denti dal contesto organizzativo ed altri dipendenti dal contenuto del lavoro. Tra i primi sono presenti: scarsa comunicazione, bassi livelli di sostegno per la risoluzione di problemi e/o per lo sviluppo perso- nale, mancanza di definizione degli obiettivi orga- nizzativi, ambiguità e conflitti di ruolo, blocco della carriera, insufficienza di promozioni, insicurezza
dell’impiego, rapporti limitati con i superiori, con- flitto interpersonale, richieste contrastanti tra fami- glia e lavoro ed altri. Tra i rischi dipendenti dal con- tenuto del lavoro riconosciamo: condizioni fisiche di lavoro, problemi inerenti alle strutture o attrezzature di lavoro, cicli di lavoro brevi, sovraccarico (o sot- tocarico) di lavoro, orari di lavoro rigidi, orari di la- voro che alterano le interazioni sociali ed altri. Gli autori propongono, dunque, un metodo per analizza- re le suddette variabili valutando il peso che hanno per ogni individuo e delle possibili ricadute a livello individuale sul lavoro. Il primo passo da compiere è quello di raccogliere informazioni sull’impresa le quali poi torneranno utili nella progettazione dell’in- tervento valutativo. Il secondo passo consiste nel cercare di integrare il maggior numero possibile di dipendenti tramite circolari informative ed altri me- todi per permettere all’intervento di essere realmente efficace. Successivamente si passa all’indagine vera e propria. Una volta terminata si progettano degli in- terventi per eliminare i rischi eventualmente rilevati. Una volta attuati gli interventi si può verificare che essi stiano andando a buon fine tramite degli indica- tori di benessere verificati dal medico dell’impresa o specialisti designati. In seguito è prevista una fase di aggiornamento o verifica del documento di valuta- zione dei rischi. Questo tipo di intervento può essere utile per migliorare il clima aziendale e rilevare tem- pestivamente la presenza di problemi e garantire un intervento efficace.
Un fenomeno da non sottovalutare è quello del Burnout. Questo termine, introdotto da Freudenber- ger nel 1974, indica una condizione di stress lavo- rativo riscontrabile con maggiore frequenza tra i soggetti impegnati in professioni riguardanti l’area socio-sanitaria (S. Tabolli, 2006). Uno studio del 2008 (Ombretta Puricelli, 2008) effettua un’inda- gine su un campione di 30 soggetti con l’obiettivo di studiare le diverse variabili tra le quali anzianità lavorativa, sesso, ruolo ed età che possono condur- re all’insorgenza di fenomeni di Burnout. Vengono, inoltre, suggerite diverse strategie di prevenzione su diversi livelli (Nesci, 2002) (Payne, 1987): svi- luppo dello staff; cambiamenti del lavoro e dei ruo- li; sviluppo della gestione; migliore gestione della soluzione di problemi a livello organizzativo e dei momenti decisionali. Vengono riportate di seguito delle situazioni dalle quali può nascere facilmente un’azione mobbizzante verso una determinata vitti- ma (G. Tomei, 2007). Queste variabili informative possono essere tenute sotto controllo dalle aziende al fine di evitare l’insorgere di situazioni mobbizzanti. Le variabili sono le seguenti: alcune caratteristiche
della leadership, specialmente in contesti partico- larmente autoritari; modalità di organizzazione dei tempi di lavoro (orari, turni ecc.); modalità di ge- stione del flusso di informazioni (ad esempio: le informazioni circolano a sufficienza tra superiori e dipendenti e tra colleghi?); possibile assenza di auto- nomia nella gestione del lavoro; modalità attraverso cui vengono effettuati i controlli sui tempi di lavoro, assenze e ferie (ad esempio: viene esercitata un’ec- cessiva forma di controllo?); distribuzione dei com- piti ben equilibrata e basata sulle capacità e attitudini di ogni lavoratore (ad esempio: i compiti attribuiti sono dequalificanti?); equa distribuzione dei com- piti tra lavoratori di pari livello; equa distribuzio- ne delle risorse necessarie al lavoro tra dipendenti; eventuale marginalizzazione dell’attività lavorativa e svuotamento delle mansioni; trasferimenti ingiu- stificati; prolungata attribuzione di compiti eccessivi ed infine esclusione del lavoratore rispetto ad inizia- tive formative o di riqualificazione professionale. In conclusione, possibili ricerche future potrebbero impegnarsi nella costruzione di nuovi strumenti di raccolta dei dati e promuovere l’uso e la creazione di nuove misure di prevenzione sia all’interno delle organizzazioni che durante il periodo di selezione del personale. Sarebbe utile, infatti, poter identifica- re all’ingresso degli ospedali italiani i cittadini che