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Il ruolo dell’insegnante di sostegno La figura dell’insegnante di sostegno viene in-

trodotta con il D.P.R. 970/19756, intesa come do-

cente specialista, distinta dalle altre figure curri- colari, e destinata all’integrazione scolastica degli allievi con disabilità.

Il passaggio da un’ottica di inserimento ad una di integrazione degli alunni in situazione di han- dicap nella scuola, ha reso necessario ridefinire la figura dell’insegnante di sostegno, delineando una serie di professionalità, conoscenze, compe- tenze e atteggiamenti propri di un profilo profes- sionale complesso. L’insegnante di sostegno non è soltanto l’insegnante dell’alunno disabile bensì un docente di sostegno all’intera classe, che ha il compito di favorire situazioni didattiche, forma- tive e relazionali, mirate a realizzare il processo di integrazione in piena contitolarità con gli inse-

5 Per approfondimenti: ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione. Erickson, Trento 2009. Ianes e Crame- rotti: Usare l’ICF nella scuola. Spunti operativi per il contesto educativo. Erickson, Trento 2011.

6 Presidente della Repubblica (1975). D.P.R. n. 970 del 31/10/1975. Norme in materia di scuole aventi par- ticolari finalità. Roma.

gnanti curricolari.

L’insegnante di sostegno deve possedere cono- scenze specifiche sul disturbo e le sue manifesta- zioni, sui limiti associati al quadro clinico dello studente e integrare tali informazioni con un’os- servazione attenta e mirata dell’alunno al fine di individuare gli interventi didattici e le strategie più adeguate ai suoi bisogni e alle sue potenzia- lità.

La posizione apparentemente marginale dell’insegnante di sostegno offre un punto di vi- sta privilegiato sulle dinamiche relazionali all’in- terno della classe e sull’efficacia dei diversi ap- procci e delle strategie didattiche messe in atto. Spesso, però, la posizione marginale rimane tale e l’integrazione è solo un ipotetico obiettivo. L’in- tegrazione per realizzarsi deve poter contare sulla collaborazione dei docenti curricolari e prevedere momenti didattici condivisi all’interno della clas- se, coinvolgendo l’insegnante che è responsabile dell’allievo disabile ma è anche uno specialista da cui tutta la classe potrebbero trarre beneficio.

La totale condivisione di responsabilità da parte di tutti i docenti del Consiglio di Classe è di fondamentale importanza nell’attuazione del- la Programmazione educativa individualizzata dell’alunno in situazione di handicap. Risultano privilegiate attività di gruppo che favoriscono l’inclusione come la cooperazione sia lasciando libertà a ciascuno di lavorare secondo i propri tempi che attraverso le potenzialità del tutoring tra pari.

È necessario creare il contesto ideale per met- tere in atto risorse aggiuntive per l’individua- lizzazione e l’inclusione secondo il principio di “Speciale normalità” che prevede di adattare e arricchire l’offerta formativa e didattica ordinaria prima di introdurre, se necessario, risorse tecni- che sempre più specifiche rispetto alla situazione di particolare disagio. La strategia della “Specia- le normalità” dà priorità a quello che si fa nor- malmente per tutti gli alunni soddisfacendo quel bisogno di identità e di appartenenza che caratte- rizza tutti gli individui in fase evolutiva, in parti- colare quelli in situazione di “svantaggio”, e porta alla “corresponsabilizzazione” di tutti gli attori coinvolti nel processo educativo. “Ragionare in termini allargati non vuol dire però coinvolgere chiunque, senza alcuna specifica e speciale for-

mazione e competenza necessaria. Qui sta l’in- clusione dei principi attivi della specialità nella normalità. “Speciale normalità” vuol dire allora normalità più ricca, resa più competente, più ca- pace di rispondere adeguatamente alla complessi- tà dei Bisogni Educativi Speciali: per fare questo il lavoro dell’insegnante di sostegno è strategico e insostituibile. Il suo lavoro competente, e specia- le, serve a rendere competenti e speciali i contesti della normalità educativa e didattica.”(Ianes D. &Cramerotti S., 2009).

Se la programmazione individualizzata vie- ne costruita senza conoscere la programmazione della classe si commette un gravissimo errore ai fini dell’integrazione. In molte situazioni l’indi- vidualizzazione è stata interpretata come sinoni- mo di separazione, di lavoro individuale condot- to dall’insegnante di sostegno, dentro e fuori la classe. Bisogna “ricercare la massima individua- lizzazione delle attività garantendo nel contempo una effettiva inclusione nella classe” (Cottini L., 2004).

Per questo è necessario che i docenti di soste- gno e i docenti curricolari lavorino insieme in maniera da poter selezionare obiettivi, contenuti e attività che possano essere scanditi secondo di- versi livelli di difficoltà e che si ponganosvariate finalità, tra le quali:

• Creare un clima inclusivo: la condizione imprescindibile per realizzare progetti di integrazione è che il disabile si senta “ac- colto” nella classe.

Andrich e Miato, (Andrich S., Miato L., 2003) in un loro studio sulla inclusività del- le classi, indicano cinque coordinate: 1. l’alunno disabile deve rimanere in clas-

se per il maggior tempo possibile; 2. l’alunno disabile deve fare il più possi-

bile le stesse cose che fanno i suoi com- pagni;

3. l’alunno disabile deve il più possibile essere posto nelle stesse condizioni for- mative degli altri studenti;

4. i migliori insegnanti di sostegno sono i suoi compagni;

5. gli spazi di un’aula inclusiva devono essere ampi.

• Adeguare gli obiettivi del disabile agli obiettivi della classe: in base alla gravità

del deficit, i docenti possono scegliere il li- vello di semplificazione degli obiettivi che reputano più idonei per l’alunno disabile. Sarebbe molto più inclusivo permettere al disabile, ovviamente valutando le sue dif- ficoltà specifiche, di seguire la stessa pro- grammazione della classe ma semplifican- done gli obiettivi. Questo sarebbe un modo per l’allievo di sentirsi più simile ai compa- gni e non solo disabile.

• Adeguare gli obiettivi della classe alle esigenze del disabile:la presenza in classe dell’alunno disabile può diventare un’op- portunità positiva per tutti. Nel program- mare le attività per la classe, non sempre si presta la dovuta attenzione alle esigenze del disabile e questo avviene soprattutto per tre motivi:

1. il rallentamento dei lavori della classe (i programmi sono ampi e non si può modificare il percorso o tornare indietro per aspettare il compagno più lento); 2. la convinzione che i diritti della mag-

gioranza a svolgere il proprio program- ma siano prioritari rispetto ai diritti del disabile che è solo;

3. la convinzione di non avere nulla da guadagnare nel tornare indietro nel pro- gramma, nell’utilizzare modalità ope- rative per la comprensione di concetti astratti, nell’aiutare alunni in difficoltà. (Celi F., 1999).

Purtroppo, non di rado le programmazioni diventano l’unico obiettivo didattico lasciando indietro non solo chi ha un handicap o disturbo specifico, ma chi ha bisogno di più tempo e stu- dio per padroneggiare alcuni contenuti. Ecco che aspettare, non andare di fretta, diventa un modo per andare incontro allo stato di bisogno di qual- cuno e anche di altri.

• Semplificare e organizzare i materiali di studio: il più delle volte i materiali didat- tici della classe non sono adatti all’alunno disabile. Le alternative sono due: o si fa ricorso a materiale strutturato facilmente reperibile presso distributori specializzati, oppure si utilizzano materiali non struttura- ti, semplificando e organizzando i materiali della classe. Sarebbe anche utile costruire

in classe il materiale necessario per l’ap- prendimento.

• Differenziare la mediazione didattica: uti- lizzare modalità diverse di presentazione dei contenuti costituisce sicuramente uno dei numerosi tentativi che l’insegnante può realizzare per migliorare le condizioni dell’apprendimento. Queste diverse mo- dalità vengono denominate in letteratura come “mediatori didattici”, intendendo tutto ciò che l’insegnante intenzionalmente mette in atto per favorire l’apprendimento degli alunni.

• Utilizzare metodi di insegnamento alterna- tivi, anche mediati da pari: sono state rea- lizzate molte ricerche, italiane e straniere, che dimostrano l’utilità dell’insegnamento mediato da pari con studenti con capacità e interessi diversi. Si tratta di una serie di modalità alternative di insegnamento, co- nosciuto come Peer Education, nelle quali gli studenti rivestono il ruolo di facilitatori dell’apprendimento dei compagni. L’inse- gnamento mediato da pari costituisce un ottimo modo per coinvolgere attivamente gli studenti nel loro apprendimento, cosa che spesso, con le modalità tradizionali e, soprattutto nel caso di studenti disabili, non accade. Dalle ricerche che sono state realizzate risulta che gli studenti ottengono migliori risultati, rispetto all’insegnamento tradizionale, sul piano cognitivo (lavorano di più, memorizzano meglio, sviluppano una maggiore motivazione e livelli superio- ri di ragionamento), sul piano relazionale (si creano rapporti di amicizia e la diversi- tà viene rispettata) e sul piano psicologico (migliorano l’immagine di sé e il senso di autoefficacia e si sviluppa una maggiore ca- pacità di affrontare le difficoltà e lo stress) (Johnson, D.W., Johnson, R.T. &Holubec, J.E. 1996).

Conclusioni

L’integrazione è una tematica affrontata da decenni quando si fa riferimento agli alunni che presentano disabilità, ma è lungi dall’essere rea- lizzata in modo soddisfacente (Canevaro, 2007;

Ianes&Canevaro, 2008). Questo non perché all’interno dell’istituzione scolastica non ci sia- personale competente, ma perché spesso talecom- petenza non viene sfruttata.

L’insegnante di sostegno è una risorsa preziosa per favorire una reale integrazione di allievi di- sabili. Se pensiamo a quante attività possono sti- molare la cooperazione ci renderemmo conto di quanto ancora bisogna e si deve fare. La scuola nasce come agenzia di socializzazione ma se i ”casi speciali” vengono educati in maniera sepa- rata dal resto della classe, quale integrazione sarà mai perseguibile? L’unico modo per favorire una reale inclusione è la condivisone dell’esperienza. L’integrazione o inclusione degli allievi svantag- giati va al di là della didattica e trova il suo terreno

di massima espressione nel contesto relazionale. Un allievo in stato di bisogno si sente realmente integrato quando è accettato dal sistema in cui è inserito, quando crede di poter dare il proprio con- tributo al gruppo, quando si sente trattato al pari dei compagni di classe (Rossetti & Seno, 2014). Il senso di autoefficacia personale positivo rimanda, in questo modo, un’idea di competenza, di riusci- re al pari di altri, tale da permettere un superamen- to dei limiti e un’evoluzione personale. L’intera classe partecipa al processo di integrazione e solo in questo modo il disabile cessa di essere solo di- verso per diventare uno tra gli altri.

Bibliografia

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Celi, F. (1999). Programmazione individualizzata e obiettivi della classe: come organizzarli? In Ianes D. & Tortello M., (Eds.) La qualità dell’integra-

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Scataglini, C., Camerotti, S., & Ianes, D. (2008). Fare

Riassunto

Lo scopo dell’articolo è presentare una ricerca clinica rela- tiva alla «Cybercondria». Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 2001 nel quotidiano britannico The In- dependent. Fa riferimento al disturbo di cui soffrono color che a causa dell’ossessione fobica avvertono un’eccessiva preoccupazione per il loro stato di salute fisica. Come ri- sposta, costoro cercano le proprie rassicurazioni chiedendo ad esperti e alle persone vicine e/o avvalendosi delle nuo- ve tecnologie e consultando compulsivamente internet. In questo modo, però, finiscono per complicare il loro quadro diagnostico poiché si aggiunge la dipendenza da internet e/o dal device utilizzato.

Il protocollo di trattamento messo a punto dai ricercatori del Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo, relativo a questo disturbo, risulta essere particolarmente efficace. Esso prevede il blocco del circolo vizioso mantenuto ed alimentato dalle tentate soluzioni fallimentari, sia quelle personali, sia quelle delle persone intorno. Attraverso tec- niche focalizzate sul problema il paziente prende consa- pevolezza di cosa peggiora il problema e spontaneamente blocca le sue azioni disfunzionali. Successivamente viene indotto ad accettare la prescrizione del sintomo espletata sottoforma di check-up, affinché possa riprendere in ma- niera sana il controllo di sé e del suo corpo.

Parole chiave: Cybercondria, internet, osses- sione-compulsione, dipendenza, tentate soluzioni, prescrizione del sintomo.

Dal 2013, con la pubblicazione del DSM-V, usare il termine Ipocondria è diventato obsoleto. L’APA lo ha sostituito con altre definizioni distin- guendo il Disturbo Da Sintomi Somatici (caratte- rizzato da uno stato di eccessiva ansia a cui si as- sociano sintomi somatici) e il Disturbo Da Ansia Di Malattia (costituito essenzialmente da ansia per la propria salute).

A fronte dei continui aggiornamenti del DSM, Frances Allen1 a guida dell’APA nella costituzio-

1 Attualmente è professore presso il Dipartimento di Psichiatria e Scienze comportamentali della Duke University School of Medicine di Durham, Carolina

ne della prima versione del DSM-V, dalla stessa APA oggi s’è allontanato diventando addirittura uno dei suoi più strenui e agguerriti oppositori. Sembra che, proprio nel periodo della sua carica, scoprì dei rapporti tra l’APA e alcune lobby far- maceutiche che strumentalizzavano il DSM per i loro fini. Allen durante un’intervista pubblicata da State of Mind. Il giornale delle scienze psico- logiche (Davi, 2013) sostiene che questo sistema mette avanti alla salute interessi egemonici. Egli afferma: «credo che la soluzione sia fermare il marketing delle case farmaceutiche che confonde i pazienti. Ma non credo che le persone che la- vorano per il DSM siano influenzate dalle case farmaceutiche».

In questo lavoro, a prescindere dalle etichette proposte dai vari DSM e dalle polemiche, come insegna la migliore tradizione pragmatica, si evi- teranno speculazioni poco importanti ai fini cli- nici. Il focus sarà posto su aspetti prettamente clinici.

Entrando nel merito del problema, si osser- va che col processo di massificazione dei mezzi tecnologici digitali (internet e device che ne con- sentono l’accesso), Le Malade imaginaire di cui parlava Molière già nel settimo secolo (Powell, 2000) diventa il “cybercondriaco”. «Alla compar- sa del sintomo più mite, diciamo le labbra screpo- late, balzo subito alla conclusione: forse è indizio di un tumore al cervello. O forse di cancro al pol- mone. In un caso ho pensato fosse mucca pazza». Sono parole rilasciate da Woody Allen e pubblica- te in un articolo sul quotidiano New York Times la Domenica del 12 Gennaio 2013 (D’Aria, 2013). Il regista confessa (ancora una volta) di essere un inguaribile ipocondriaco. Tale preoccupazione da

del Nord. Ha guidato la task force che ha pubblicato il DSM-IV ed è stato in precedenza membro del comitato che ha steso il DSM-III, di cui ha redatto la sezione sui

disordini della personalità.

La preoccupazione per la propria salute:

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