Nel panorama della psicoterapia italiana da ben quarantacinque anni esiste il Ruolo Terapeutico, un importante Gruppo, e un’altrettanto importan- te Scuola, nato a Milano e poi diffusosi nell’Italia Settentrionale. Il nome di questo Gruppo e della sua Scuola è esso stesso originale (non ci chiamia- mo “Istituto di…” o “Associazione per...” o ancora “Centro di... “ o altre locuzioni similari, come nel- la stragrande maggioranza dei casi); é espressione di un pensiero diventato immediatamente prassi terapeutica profondamente calata nel male di es- sere dell’Uomo. Dunque una breve nota sul nome riportando, da un articolo di Sergio Erba, fondatore de “il Ruolo Terapeutico”, il racconto della nascita di questa peculiare denominazione4. Scrive Erba:
“Ci sono fatti che sembrano dettati dal caso ma che mostrano, nel corso del tempo, una loro logica e una loro coerenza con fatti precedenti e sviluppi successivi. L’origine del nome del nostro gruppo, ad esempio. In uno degli incontri preliminari coi colleghi che avevano accettato di condividere il progetto di una rivista che affrontasse i temi del- la cura e della formazione avevamo discusso su come chiamarla. Nessuna delle tante proposte ci convinceva ma quando Giuseppe Zanusso escla- mò: “Erba mi rompe le scatole ogni mattina con la storia del ruolo terapeutico! Perché non la chia- miamo così?”, la sua idea venne accolta all’unani- mità. Lavoravo allora in un reparto del manicomio “Paolo Pini” di Milano, e in assenza del primario ne svolgevo le funzioni. Zanusso, mio collega di
reparto, arrivava sistematicamente in ritardo al ‘giro’ mattutino, ed io lo accoglievo, più o meno spazientito a seconda degli umori del momento, con un ‘il ruolo terapeutico esige puntualità!’. Questo mio richiamo a un’istanza superindividua- le, questo accenno al ruolo, questo valore dato alla puntualità erano da parte mia allora del tutto in- consapevoli rispetto a tutte le implicazioni che nel corso dell’elaborazione successiva del pensiero del Ruolo quei concetti avrebbero rivelato.”
Il Ruolo Terapeutico, dunque, nasce in manico- mio, come amava affermare Sergio Erba, scompar- so il 3 aprile dello scorso anno e che qui il Letto- re ci permetterà di ricordare con affetto. E il fatto che il luogo di nascita sia proprio nell’istituzione manicomiale prebasagliana, fa la differenza. Infat- ti, il Ruolo Terapeutico è fin da subito attento alle istanze cliniche e ai bisogni degli operatori, tutti gli operatori, che a qualsiasi titolo sono impegnati nella cura delle persone in preda alle loro sofferen- ze psichiche.
Il Gruppo de “Il Ruolo Terapeutico”, nasce nel 1972, inizialmente per realizzare l’omonima rivista quadrimestrale.
L’intenzione dichiarata e sempre perseguita poi da Sergio Erba, dai co-fondatori e da tutti quelli che nel corso del tempo si sono associati all’im- presa, era quella di portare la cultura e la pratica psicoanalitica in tutti i luoghi deputati ad affrontare la sofferenza psichica e relazionale delle persone.
Per comprendere in pieno la portata innovativa, anzi rivoluzionaria di questa proposta, è necessario considerare l’epoca in cui essa è stata avanzata.
Negli anni Settanta del Novecento l’unica al- ternativa al manicomio era rappresentata da un movimento molto ideologizzato che, partendo dal presupposto che la malattia mentale fosse un’in- venzione del sistema politico-sociale per escludere i “diversi”, propugnava il “Territorio” come unica ed efficace forma di cura e di assistenza. Che fos- sero da escludere in quanto diversi, o da recuperare e da reinserire nella società, i pazienti erano in ogni caso visti e trattati da oggetti degli interventi altrui, come purtroppo accade ancor oggi diffusamente.
Il pensiero de “il Ruolo Terapeutico”, invece, proponeva che essi “ridiventassero” persone, sog- gettivamente libere e responsabili anche rispetto alla loro cura5. A ben vedere questa proposta sposta
completamente il baricentro della prassi psicotera- peutica ribaltando il concetto della cura che vede- va, in questo modo, il paziente partecipe esso stes- so del processo terapeutico riassumendo con esso anche la dignità di Persona, persa, in troppi casi,
in quelle istituzioni alienanti che proprio l’aliena- zione avrebbero dovuto curare: i manicomi. Fedele a questa linea di pensiero e di prassi clinica, nella seconda metà degli anni settanta ebbe inizio un’at- tività di formazione degli operatori sociosanitari presso i loro servizi di appartenenza, attività che continua tuttora e che rappresenta una delle linee d’intervento nel campo della formazione.
Nel 1979 il Gruppo, che fino ad allora aveva agito in modo informale, si costituisce in Associa- zione senza fini di lucro, i cui scopi statutari s’indi- rizzano alla ricerca psicoanalitica, alla formazione professionale degli operatori e all’erogazione al pubblico di prestazioni psicoterapeutiche.
Nel 1983 viene attivata la Scuola di Formazio- ne alle relazioni terapeutiche con il Corso triennale poi diventato quadriennale.
Dal 1993 alcuni terapeuti formatisi al Ruo- lo hanno fatto nascere gruppi locali che, con vari gradi di autonomia, portano il nome de “Il Ruolo Terapeutico” perché ne condividono e ne interpre- tano le finalità e i principi etici. Attualmente, ol- tre la sede principale di Milano, Gruppi locali de Il Ruolo Terapeutico si trovano a Trento, Parma e Foggia, e Referenti ad Aosta, Chiasso, Crema, Me- stre, Verbania, Genova (la scuola di Genova, pur mantenendo la stessa denominazione, non fa più parte del Ruolo Terapeutico dall’aprile 2009).
“Il Ruolo Terapeutico”: le radici teori-
che di una prassi psicoterapeutica
Il Ruolo Terapeutico si riconosce nella radice teorica della tradizione psicoanalitica, per cui rite- niamo che gli scritti di S. Freud rimangano il punto di partenza per studiare e praticare la psicoanali- si. Naturalmente la Psicoanalisi ha subito notevoli cambiamenti nel corso dell’ultimo secolo acco- gliendo e, in alcuni casi assorbendo, il pensiero di importanti Autori come S. Ferenczi, W. Reich, D. Fairbairn, D. Winnicott, M. Balint, J. Bowlby. Nel panorama del pensiero psicoanalitico attuale, sono apprezzati i più recenti contributi portati da autori come J. E. Gedo, M. M. Gill, R. Langs, S. Mitchell (psicoanalisi relazionale) e altri, che a partire dalle concettualizzazioni di Sullivan, Fromm, Thomp- son, hanno posto l’accento sull’importanza della realtà interpersonale nell’eziologia del disturbo psichico e l’importanza della persona reale dell’a- nalista nell’incontro autentico col paziente.
Il Ruolo Terapeutico, in linea col proprio mo- dello teorico di riferimento, ritiene scientificamen- te ed eticamente corretto evitare di individuare a tutti i costi convergenze o denominatori comuni,
ma ricercare all’interno di ciascun modello teorico, attraverso l’evidenza clinica, la coerenza e l’utilità del modello stesso, non meno che evidenziare la responsabilità individuale di fronte alla teoria.
Noi intendiamo, sia nella prassi terapeutica che nella formazione, offrire una visione a tutto tondo della pratica psicoterapeutica, nella consapevolez- za che sarebbe mistificante l’insegnamento rigido e dogmatico di una teoria proposta come unica in grado di avvicinarsi alla sofferenza umana.
Un altro punto di forza della teoria del Ruolo Terapeutico è l’interesse per la continua verifica della “tenuta” etica, cioè della coerenza tra la teoria e la pratica della prassi psicoanalitica, il che con- duce a mantenere sempre viva la ricerca compara- tiva tra le osservazioni cliniche, in tutti gli ambiti dall’insegnamento nella Scuola, alla pratica clinica nelle istituzioni pubbliche così come nel setting privato, e i quesiti proposti dalla filosofia morale. Cerchiamo di rendere più esplicito il concetto di etica nella prassi terapeutica come la intendiamo noi riportandola seguente affermazione di Erba a nostro avviso particolarmente significativa:
In altre parole, è come se il terapeuta dicesse: Mi vai bene così come sei, non ti chiedo niente. Non intendo ‘curarti’, modificarti, non ti critico né ti disapprovo. Sei tu a rivolgerti a me, a denuncia- re che qualcosa non va, a portarmi i tuoi bisogni inappagati. Io non mi propongo di soddisfarli, sa- rebbe illusorio, ma sono pronto e capace, se vuoi, ad accompagnarti nella ricerca delle ragioni del tuo malessere. Guarderemo dentro la vicenda che si svolgerà tra di noi, cercheremo in ogni momento di capire che cosa chiedi, perché lo chiedi così, la storia che ci sta dietro. Se tutto andrà per il meglio, verrà il momento in cui potrà parlare la tua lingua e comprendere quella degli altri senza la necessità di me come interprete.
Da questa sintetica presentazione si evince che il metodo proposto dalla dal Ruolo Terapeutico, pur rimanendo nel solco della teoria psicoanaliti- ca, se ne discosta significativamente nella pratica clinica.
Nell’immaginario dell’uomo della strada, ma anche di molti Colleghi, alla parola “psicoanalisi” si associa l’idea del “lettino”, delle tre o quattro se- dute a settimana per un numero indefinito di anni, il ricorso alle interpretazioni, il lungo training per- sonale, e di conseguenza costi se non proibitivi si- curamente non alla portata di tutti. Un armamenta- rio cui spesso si sono rifatti, anche per schernirlo, film e libri di vario genere. La Psicoanalisi sem- brerebbe, dunque, mal ridotta nella nostra “società
liquida”, per dirla con Z. Bauman. Eppure lo stesso Freud già negli anni ‘20 era “dissidente” nei con- fronti degli istituti di Londra e di Berlino, più “or- todossi”, dimostrando un dinamismo di pensiero di là dalle rigidità che molti suoi epigoni ritenevano necessarie affinché si mantenesse una sorta di “pu- rezza” della tecnica psicoanalitica. Certo, il rischio di confinare una delle più importanti teorie della cura della sofferenza psichica, se non la più impor- tante, in un museo o peggio in una soffitta, mar- chiandola come obsoleta e fuori mercato è molto forte. Questo può accadere perché gli stessi psico- analisti hanno preferito per troppo tempo chiudersi nei loro studi a difendere in maniera dogmatica un certo tipo di prassi. Si pensi ad esempio, al sim- bolo stesso della psicoanalisi, il famoso “lettino”. Ebbene, un importante studioso della teoria psico- analitica come Paolo Migone, afferma senza mezzi termini6:
“Alcuni ritengono che sia indispensabile, per quel lavoro che vogliono fare e che loro chiamano psicoanalisi, far utilizzare ai pazienti quel determi- nato oggetto, il lettino. E’ scontato, che non stiamo parlando qui del lettino in quanto tale (o divano che dir si voglia), ma di qualunque elemento del setting, quindi questo ragionamento vale anche per la sedia o poltrona. Varrebbe anche se ritenes- simo che per fare la psicoanalisi il paziente doves- se necessariamente stare su un trespolo come un uccello. In altre parole, coloro che ritengono che la psicoanalisi (o la ‘psicoterapia psicoanalitica’) si deve fare sulla sedia compiono la stessa ope- razione logica. Qual è dunque questa operazione logica che sottende tutto il lavoro ‘analitico’ di co- loro che ritengono che un determinato aspetto fisi- co del setting sia indispensabile alla psicoanalisi? Ritengo che sia una operazione squisitamente an- tipsicoanalitica. (…) Arrivati a questo punto del nostro ragionamento, sorge una domanda: come mai nella tradizione psicoanalitica viene data tan- ta importanza al lettino? Cosa ha portato a questo stato di cose? E se il lettino non è indispensabile, quale è l’elemento indispensabile, caratterizzan- te, della psicoanalisi? (…) Ritengo che la psico- analisi non possa essere legata ad alcun criterio “estrinseco” (lettino, frequenza settimanale, ecc.), ma solamente a criteri intrinseci, cioè interni alla teoria. Per psicoanalisi intendo, in modo molto allargato,’analisi del transfert’: con questo inten- do un atteggiamento dell’analista volto ad analiz- zare le implicazioni della relazione col paziente.” In questa prospettiva va da sé che l’attenzione agli aspetti relazionali della terapia e l’interioriz-
zazione del setting da parte del terapeuta7, insie- me con l’approfondimento di concetti come ruolo, funzione, responsabilità, struttura e processo costi- tuiscano i pilastri su cui si fonda tutta la costruzio- ne teorica del Ruolo Terapeutico.
Un altro punto molto importante è la posizione del Ruolo Terapeutico di fronte all’analisi perso- nale del terapeuta in formazione. Va detto subito, e senza fraintendimenti, che noi riteniamo che l’analisi personale del terapeuta costituisca un passaggio necessario nel percorso formativo. Rite- niamo, però, che la scelta del momento in cui ini- ziare l’analisi debba essere una scelta del terapeu- ta in formazione che sente emergere il bisogno di guardare alle proprie ferite e di prendersene cura; così come anche la scelta dell’analista, pensiamo che debba essere totalmente avulsa da logiche di “parrocchia” e che il terapeuta in formazione possa scegliere, quando lo vorrà e dove lo vorrà, il suo analista. Tuttavia il MIUR impone l’analisi per- sonale dell’Allievo ai fini del conseguimento del Diploma di Specializzazione in Psicoterapia. Tale prescrizione ricade esclusivamente nella responsa- bilità giurisdizionale del Ministero e non possiamo che recepirla, pena il mancato ottemperare a un ob- bligo di legge e la conseguente impossibilità a rila- sciare il titolo di Psicoterapeuta legalmente valido. La prospettiva teorica tratteggiata fin qui, cor- risponde a quella di diversi Autori di riferimento. Autori che hanno segnato con l’originalità del loro pensiero e della loro prassi gli sviluppi della psico- terapia psicoanalitica contemporanea:
Johannes Cremerius (1918-2002), ha saputo mostrare il processo analitico in tutte le sue fasi, attraverso una metodologia molto precisa, in un clima di profonda comprensione emotiva del pa- ziente, e di grande consapevolezza circa il proprio “bisogno” di aiutarlo. Cremerius ha svelato il volto umano della psicoanalisi, l’ha smitizzata e riavvi- cinata a molti che prima (ad esempio gli operatori dei servizi) se ne sentivano respinti.
Pier Francesco Galli (1931) è un Maestro della Psicoanalisi italiana, svolge la sua attività clinica, didattica e formativa a Bologna. La figura pubblica di Galli, dà ragione dell’appellativo di “Maestro” dato il suo impegno culturale, scientifico e profes- sionale giocato nell’ambito della “politica” psico- analitica contemporanea. Si può dire che le radici culturali de Il Ruolo Terapeutico nascano proprio dall’esperienza del Gruppo Milanese per lo svi- luppo della Psicoterapia, formalizzato da Galli nel 1962. Galli ha fondato e curato specifiche collane di testi di psicoanalisi e psicoterapia presso gli edi-
tori Feltrinelli e Boringhieri. Ha fondato la rivista “Psicoterapia e Scienze Umane” edita da Franco Angeli.
Enzo Codignola (1930-1977). Psichiatra e psi- coanalista formatosi presso il prestigioso istituto di Kreuzlingen con Ludwig Binswanger, scomparso prematuramente, ci ha lasciato un’opera d’impor- tanza davvero fondamentale: Il Vero e il Falso. In essa Codignola affronta con estremo rigore meto- dologico il tema della struttura logica del processo interpretativo facendo emergere i connotati logici dell’interpretazione senza ricorrere ad alcuna me- tateoria.
Giambattista Muraro (†1998). Formatosi a Ba- silea e a Zurigo con P. Sarasin (Presidente della Società psicoanalitica Svizzera, formatosi a sua volta direttamente con S. Freud) e con M. Boss anch’egli allievo di Freud, attraverso la sua origi- nalissima opera “Sorpresa ed enigma. La funzione del rapporto nella prassi psicoanalitica e la defi- nizione di analisi” esplora ciò che può essere defi- nito effettivamente come metodo analitico. Questa ambiziosa ricerca di purezza conduce a teorizzare un modello di pratica analitica i cui standard (ca- pacità dell’analista ed efficacia della terapia) sono portati ai massimi livelli.
Sergio Erba (1935-2016) Fondatore de Il Ruolo Terapeutico, nel corso di una quarantennale attività di psicoanalista e di formatore ha teorizzato un’or- ganica concettualizzazione della prassi psicoanali- tica. Tale formulazione fa da sfondo a gran parte della costruzione teorica della Scuola.
Struttura e processo, ruolo e funzione, asimme- tria dei ruoli e reciprocità di persone, responsabili- tà e libertà della persona, “cinquanta e cinquanta”8,
costituiscono le coordinate di una vicenda inter- soggettiva, quella analitica, che diventa prassi ri- gorosa attraverso quegli elementi strutturali (ruolo del terapeuta, setting, principii) che fanno da rife- rimento precostituito e stabile alla terapia stessa. La dialettica tra domanda e risposta, la distinzione tra l’obbligo di cura e l’obbligo di risposta, la ri- sposta sulla domanda e non alla domanda… tutto ciò comporta una raffinata competenza terapeutica il cui scopo è di aiutare il paziente a riconoscersi soggetto di una domanda e non solo portatore di un bisogno.
Pierluigi Sommaruga (1933) Cofondatore de Il Ruolo Terapeutico, scrive: “Ritengo che elementi transferali siano comunque sempre presenti in cia- scuno di noi e che si riattualizzino in ogni relazio- ne quotidiana, ma che solo nel processo analitico vi sia la possibilità, per le caratteristiche del set-
ting e per la competenza del terapeuta, di dar loro un senso conducendoli così a risoluzione”.
Il nostro metodo formativo: Medice,
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Il Ruolo Terapeutico fin dall’inizio si è posto il problema della formazione degli psicoterapeuti, e, più in generale, dei professionisti delle relazioni d’aiuto. Il nostro orientamento metodologico e te- orico è sempre stato quello di privilegiare una for- mazione diretta sul campo dei terapeuti, attraver- so il costante processo di supervisione, al di là di “imposizioni” burocratiche. D’altra parte una forte corrente di pensiero, già subito dopo l’entrata in vi- gore della legge 18 febbraio 1989, n. 56. era in que- gli anni in disaccordo con la scelta di normare in maniera rigida la formazione degli psicoterapeuti ritenendo che “sarebbe stato più opportuno, com’è stato proposto da più parti e come avviene in certi paesi esteri, limitarsi a un elenco di trasparenza e all’autocertificazione degli psicoterapeuti”4,5.
Fin dall’inizio, nel metodo formativo, due carat- teristiche si sono mantenute costanti nel tempo: 1) la formazione in gruppo, fondata sull’analisi delle modalità relazionali con cui il terapeuta incontra il paziente; 2) l’essere aperta alla partecipazione di tutte le figure professionali operanti nell’area delle relazioni d’aiuto (quindi non solo laureati in medicina o psicologia, ma anche assistenti sociali, educatori, infermieri, tecnici della riabilitazione, ecc.)10. Partendo dalla considerazione che:
“Paziente e terapeuta sono innanzitutto perso- ne, nulla li differenzia al di là dei ruoli occupati all’interno della relazione terapeutica. Se via via che s’inoltra nel lavoro clinico il terapeuta oppor- tunamente accompagnato può mettere a disposi- zione dei pazienti una maggior capacità di gover- nare le proprie disfunzioni soggettive, questo non succede nelle prime fasi del suo apprendistato. La formazione permanente quindi fa strutturalmente parte della concezione della terapia che stiamo il- lustrando. Potremmo definire la formazione come il processo terapeutico cui si sottopone il terapeu- ta, contestualmente al suo accompagnare il pa- ziente in un analogo processo”11
Il terapeuta, stando a questo pensiero, deve ne- cessariamente prendersi cura di sé per poter stare al meglio nelle situazioni cliniche con i pazienti, come dice Erba: “curarsi per curare”. Per rispon- dere adeguatamente alle domande di aiuto portate dai pazienti al terapeuta è necessaria, non solo una conoscenza tecnico-scientifica, ma anche una ca- pacità di entrare in rapporto, oltre che col paziente,
anche con se stesso, per riconoscere e governare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Questa capacità di risposta terapeutica non è né scontata né facilmente raggiungibile. Fedele a questo pre- supposto il fine basilare della formazione secondo il metodo del Ruolo Terapeutico è perciò quello di offrire a tutti coloro che si avvicinano (ma anche a chi già svolge una professione d’aiuto, nella pro- spettiva di una formazione continua), un’esperien- za formativa globale e approfondita per il raggiun- gimento di una vera competenza di sé.
M. Balint scrive12:
“Come è difficile e, aggiungo io, pericoloso, operare con un bisturi non affilato, ottenere radio- grafie precise con un apparecchio difettoso (…) così il medico non è in grado di ascoltare se non è in buona forma. Ciò implica che egli deve co- stantemente badare ad essere in buono stato ed in condizioni di buon funzionamento”.
Ovviamente quest’affermazione si riferisce sia al medico che allo psicologo che ascolta, che si prende cura dei suoi pazienti non solo sotto il pro- filo organico, ma nel suo complesso di Persona, e quindi nella sua veste di terapeuta.
Ma cos’è questo “buon funzionamento”? Erba a tal proposito sostiene che: “la parte di respon- sabilità della cura che compete al terapeuta con- siste nel suo curare il proprio personale modo di