• Non ci sono risultati.

Nelle due parti del suo contributo Bernard McGuirk affronta problemi di rile- vanza cruciale che, benché sviluppati in relazione al conflitto delle Falkland Malvinas, trascendono la specificità di questa guerra.

L’excursus di McGuirk nella tradizione vignettistica della guerra anglo-britanni- ca mostra con chiarezza la divergenza tra i discorsi della politica istituzionale e le rea- zioni popolari al conflitto, una distanza che, come ben emerge dall’analisi degli svi- luppi diacronici di questo particolare genere di configurazione discorsiva, denuncia, alla fine del percorso, e per entrambe le parti in causa, la implausibilità di ogni sen- timento patriottico e identitario nazionale. Da tradizionale strategia di riduzione e impoverimento dell’alterità nemica, la satira si trasforma in un’arma puntata contro i paradossi e le contraddizioni del corpo identitario. L’impresa bellica emerge come una grottesca e tragica mistificazione, esposta al ludibrio di uno stile caricaturale che, sia in Argentina che in Gran Bretagna, ritrova, subito dopo il conflitto, tutto il suo potenziale più autenticamente critico. È questo l’inequivocabile senso del foto- montaggio di Michael Peel Rejoyce Rejoyce II (1982), che espone una Union Jack

non solo materialmente ferita a dispetto della retorica ufficiale che la vorrebbe inte- gra, ma anche ammorbata dalla sua stessa mistificazione, appesantita dal fardello della violenza che non ha solo subito, ma anche inferto. Specularmente la Grand Procession di Horatius dello stesso anno restituisce l’immagine di un militarismo incongruo, inattendibile e platealmente disatteso, che sfila in una direzione di mar- cia invertita rispetto al passo e allo sguardo del popolo.

La campionatura di vignette scelte da McGuirk sembra insomma illustrare e documentare il progressivo svuotamento di sentimenti nazionalistici, adibiti a fun- gere come copertura di rigurgiti e/o nostalgie neoimperialisti. Nonostante la marca- ta specificità storica argentino-britannica di queste strategie rappresentative delle identità in guerra, la microstoria di queste vignette politiche ricalca uno schema generico, sostanzialmente invariato a partire dallo spartiacque della prima guerra mondiale: dalla accensione identitaria alla denuncia, alla critica e alla satira dell’i- deologia nazionalistica e militarista. Da allora tuttavia nessuna guerra ha mai pro- dotto i suoi anticorpi. Al contrario, le guerre della modernità e della postmodernità sono diventate del tutto compatibili con l’indifferenza, l’apatia o persino con l’espli- cito antimilitarismo dei combattenti. Lungi dall’inibire o dissuadere da ulteriori imprese militari, lo spegnimento del sentimento patriottico, e persino la critica del- l’ideologia militarista, strategicamente messa al servizio di nuovi impegni bellici, hanno contribuito ad alimentarli1 Prova ne sia che oggi, come nel 1982, una nuova impresa militare nelle Falkland Malvinas, acquisterebbe molto probabilmente plau-

1Si allude al ritornello “The Mexicans dance on their hats”, della canzone Mexican Hat Dance, con riferimen-

to alla danza nazionale messicana Jarabe tapatio (N.d.T.).

2Le perdite ammontarono a un totale di 649 argentini (321 solo sull’incrociatore General Belgrano) e 255 sol-

dati britannici nei settantaquattro giorni del conflitto. Le organizzazioni coinvolte nella gestione degli effetti deva- stanti di PTSDhanno registrato sui rispettivi versanti un totale di 350 e 300 suicidi.

3Riproduzione autorizzata dell’artista (in Wilcox 1992, p. 67).

dinarie rappresentazioni della violenza e dell’alterità rispetto alle quali il contesto storico della guerra delle Malvinas assume la funzione di mero catalizzatore.

Più che far parte della letteratura della guerra delle Malvinas, Gurka ed El Dolmen si iscrivono nell’area ben più estesa della letteratura di guerra2, in cui il secondo piano dello specifico storico è il presupposto per dare risalto all’atavismo del terrore e della violenza, nonché alla loro non redimibilità, che in quella storia specifica si sono nuovamente ripresentati. Su questi aspetti la lettura di McGuirk continua a richiamare l’attenzione, come a rimarcare una sotterranea continuità tra la letteratura di questa guerra e la letteratura di guerra nel XXsecolo nel segno di una

violenza inestinguibile e non redimibile. Una letteratura di guerra postmoderna, in cui la testimonianza, destituita di senso etico e di funzioni risanatrici, è ridotta a una ottusa presenza oculare dimentica di affiliazioni o appartenenze identitarie naziona- li. Esclusa dalla rappresentazione, la specificità del conflitto, la contesa con l’alterità di un nemico riconoscibile, è tutta interiorizzata, trasformata nel disagio psicotico della vita quotidiana e della condizione umana. La sindrome postraumatica e schi- zo- paranoide di Miguel in Gurka mette in scena strategie e fantasie sadomasochiste che, nel corso del XX secolo, si sono insediate nella grana della vita civile, diffon-

dendo nel corpo sociale una violenza endemica replicata, sull’esterno, nella perpe- tuazione di guerre incessanti.

E in El Dolmen Rattaghan, il soldato semplice irlandese, vittima masochista del- l’ufficiale sadico Severino Sosa, non rinuncia a uccidere nel nome di una abdicazio- ne alla violenza, ma solo per una inspiegabile e ingiustificata impotenza. È questa impotenza ottusa, priva di senso che il racconto espone senza darne conto, come un residuo pietrificato. Ed è in effetti l’orrore della pietrificazione, l’ottusità della cosa, ad accomunare queste due narrazioni postmoderne, configurandosi da un lato come forma sintomatica della guerra postmoderna, dall’altro come residuo di senso irri- ducibile alla semiosi. Nel monologo di Lema i Gurka, visti come proiezioni di un Grande Altro (cfr. Zˇizˇek 1993, pp. 200-219; 1999), sono vampiri esangui e sdentati, travestiti sodomizzati e sodomizzatori, esseri ossimorici che sfidano ogni interpreta- zione. Colpito a morte, Gurka si affloscia “come un cane”, una materia resa disu- mana dalla impossibilità di significare il morire. E in El Dolmen la resistenza pietro- sa del reale alla significazione, alla redenzione o alla vendetta, così come la conse- guente illusorietà della memoria, sia privata che pubblica, iscritte nelle stesse lettere del titolo, sono ribadite con straordinaria efficacia nella conclusione del racconto. Non è l’improvviso rinvigorimento di Severino Sosa a vanificare e distruggere il ricordo privato di Rattaghan, la visione onirica allucinata di uno spazio familiare antico e rassicurante, quanto piuttosto lo stile meccanico, pietrificato che visualizza la morte di Sean Flanaghan, come il rovinare al suolo di una materia resistente, iner- te e silenziosa: “he fell like a dolmen would fall… without breaking, without emit- ting a single complaint”. Sean Flanaghan, il dolmen monolite, che avrebbe voluto uccidere Severino Sosa, e che da lui viene ucciso al posto di Manuel Rattaghan, adempie a un ruolo salvifico che è però svuotato dalla passiva neutra indifferenza del suo morire.

In entrambe queste narrazioni postmoderne è la impermeabilità alla significazio- ne di una materia inerte e ottusa, a ricordarci, oltre allo scarto incolmabile tra la vio- lenza e la sua rappresentazione, la presenza di un reale che elude, senza mai tra- RIFLESSIONI SUL CONFLITTO DELLE FALKLAND MALVINAS 

sibilità, purché naturalmente se ne vedesse la opportunità politica. I cartoons britan- nici e argentini sulla guerra delle Falkland/Malvinas disegnano una storia rappre- sentativa che testimonia, ancora una volta, la distanza incolmabile tra rappresenta- zione e fatti, satira e scelte politiche, configurazione e realtà.

Proprio a questa distanza fanno cenno invece entrambe le rappresentazioni let- terarie di questa guerra discusse da McGuirk.

Al di là del loro referente storico specifico, riconoscibile nel conflitto per la con- quista delle isole Falkland/Malvinas, sia Gurka, l’atto unico di Vicente Zito Lema del 1988, che il racconto El Dolmen scritto da Federico Andahazi undici anni dopo, segnalano la complicità della parola con la violenza, denunciando implicitamente la presunzione di innocenza, e la illusorietà del potere redentivo che la letteratura si è attribuita. In entrambe la scrittura urta contro un residuo di violenza non significa- bile che disorienta e scardina il binarismo schematico delle configurazioni identita- rie. È possibile che l’impatto con questa irriducibilità si sia presentato come l’ele- mento più immediatamente riconoscibile, per effetto della mia estraneità al contesto storico e culturale argentino, una imbarazzante lacuna che mi ha inizialmente diso- rientato, inducendomi a sospendere cautelativamente le mie considerazioni. Tuttavia, a distanza di tempo, dopo ulteriori riflessioni, e qualche utile lettura, mi sono persuasa che le informazioni contestuali che ritenevo indispensabili per coglie- re il senso dell’analisi di McGuirk, non erano così decisive. Nondimeno, mi sembra utile e chiarificatore dar conto brevemente delle perplessità suscitate in prima bat- tuta dall’ascolto della relazione di Bernard McGuirk. Per questo ripropongo qui il senso delle domande che ho formulato dal vivo, al termine della conferenza, per annodare dei fili che mi parevano sciolti. Ecco dunque i miei anelli mancanti. Come si collocano le due narrazioni nel panorama delle rappresentazioni letterarie argen- tine del conflitto? Esiste una intenzionalità polemica, oppositiva, da parte dei rispet- tivi autori nei confronti delle configurazioni identitarie testimoniate dalla tradizione dei cartoon politici? Inoltre, quali presupposti culturali consentono la straordinaria complessità rappresentativa dei Gurka, esposti come costrutti mitologici, nel mono- logo di Lema? Se, come McGuirk, ha così brillantemente dimostrato, il mito dei Gurka continua anche in tempi recenti a essere strumentalizzato per fini politici, persino nello stile apparentemente neutrale di uno storico impeccabile come Lawrence Freedman (The Official History of the Falklands Campaign), dobbiamo immaginare la presenza di un repertorio discorsivo consolidato sui Gurka, una mito- logia alimentata dall’immaginario collettivo al quale Lema presumibilmente attinse quando iniziò a scrivere il suo play. A meno di non dare credito incondizionato alle dichiarazioni di Lema, e limitarci a ritenere che il monologo sia nato come messa in forma teatrale dell’esperienza di Miguel, lo studente del Laboratorio di Comunicazione che a Lema avrebbe confidato il suo terribile incontro con l’alterità dei Gurka. Ma anche volendo accogliere questa versione, rimane l’incognita sulle fonti discorsive che avrebbero consentito a Miguel di trasformare la sua esperienza in racconto. Da dove ha preso Miguel il materiale lessicale, e retorico su cui proiet- tare il suo terrore dei Gurka?

Se l’intervento di McGuirk lascia inevase queste questioni relative alla storia della cultura letteraria argentina, è perché, a me sembra ora di poter dire, esse debbono rimanere offuscate per lasciare spazio e visibilità alla valenza letteraria di due straor-

Strani transiti: tracce letterarie di japanese-americans dopo Pearl Harbour

1