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Gli scrittori che descrivono un futuro più o meno prossimo corrono un rischio di cui non sempre sono consapevoli: essere visti, a distanza di anni, come novelli Nostradamus, con la conseguenza che il giudizio sulle loro opere si misura sull’ade- renza dei fatti in esse descritti a quelli realmente avvenuti. In altre parole, più questi romanzi profetici si avvicinano alla realtà del pubblico che li legge a distanza di anni dalla loro pubblicazione, più cresce il loro valore artistico o sociale. Il problema è che gli scrittori non sono mai stati dei buoni profeti.

Ballard viene spesso definito “il veggente di Shepperton” nelle recensioni che accompagnano l’uscita di ogni suo libro, con un riferimento al sobborgo londinese in cui vive da decenni. Eppure, se leggiamo i romanzi che Ballard ha scritto negli ultimi quaranta anni, ben poche delle cose da lui descritte si sono avverate, mentre al contrario si sono verificati eventi che Ballard non aveva previsto neppur lontana- mente. Che veggente è dunque questo scrittore le cui previsioni non si sono avvera- te? Leggendo però le sue opere, quelle più fantascientifiche degli anni Sessanta così come quelle più recenti, con una struttura da detective novel, si avverte che Ballard sta parlando della nostra realtà in un modo più profondo e radicale, disinteressan- dosi della possibilità che i cupi scenari da lui dipinti si avverino, ma indicando inve- ce quali potrebbero essere gli sviluppi di alcuni fenomeni presenti nella società in cui viviamo: non quelli macroscopici di cui si occupano i commentatori sociali quanto quelli confusi, ambigui e banali, apparentemente insignificanti, che occupano tutta- via la vita di milioni di persone. Vediamo allora di quale realtà sta parlando Ballard e qual è la sua posizione di fronte a essa.

Fin dai suoi esordi nell’ambito della fantascienza, con i racconti degli anni Cinquanta e soprattutto con i primi romanzi degli anni Sessanta, Ballard ha scelto un suo percorso originale: le sue opere descrivono una catastrofe naturale in corso o già avvenuta, ma invece di indagare sulle cause di tali catastrofi, Ballard esamina le con- seguenze che un ambiente mutato ha sulla psiche dei suoi personaggi, con conse- guenze impreviste: chi meglio si adatta alle condizioni stravolte dell’ambiente è chi si lascia alle spalle la ragione e la civiltà e si immerge nell’“elemento distruttore” (per usare un’espressione conradiana cara a Ballard) in cerca di una rigenerazione tanto difficile quanto improbabile. Si delineano già in questi primi romanzi alcune delle caratteristiche della produzione ballardiana successiva: da una parte l’evidente diffi- coltà (o forse il disinteresse) per uno sviluppo organico della trama, che procede a strappi, con una temporalità stravolta e un’atmosfera onirica che contagia irrimedia- bilmente lo stile della narrazione; dall’altra il pessimismo radicale dell’autore che non

1Vedere l’ottimo saggio di Sara Pesce, in questo volume.

2Prudenza in senso teologale-cristiano significa vigilanza, cioè disponibilità a vivere in stato di veglia perma-

nente per contemplare gli avvenimenti con la luce che viene dal Signore

3Childhood Is the Kingdom Where Nobody Dies poesia di Edna St. Vincent Millay (1937).

Filmografia

A Passage to India, 1984, USA, David Lean. Braveheart, 1995, USA, Mel Gibson.

Saving Private Ryan, 1998, USA, Steven Spielberg.

The Chronicles of Narnia: The Lion, the Witch and the Wardrobe, 2005, USA, Andrew Adamson. The Lady Vanishes, 1979, USA/UK, Anthony Page.

The Lord of the Rings, 2001-2003, USA/New Zealand, Peter Jackson. The Thin Red Line, 1998, USA, Terrence Malik.

Tora! Tora! Tora!, 1970, USA

Era contento della sua autonomia, dell’abilità dimostrata nell’affrontare i problemi della sopravvivenza: procurarsi le vettovaglie, mantenere il pieno possesso delle proprie facoltà mentali, difendere le sue due donne da tutti i predoni che volessero farne l’uso che ne faceva lui. Ma, soprattutto, era compiaciuto del buon senso dimostrato nel dare sfogo agli impulsi che lo legavano a Eleanor e a sua sorella, perversioni create dalle infinite possibi- lità offerte dal grattacielo (p. 168).

È evidente la continuità fra Condominio e le opere “fantascientifiche” di Ballard, ma al tempo stesso lo slittamento di prospettiva in atto: la visione di Ballard è ine- quivocabilmente pessimista, come nei romanzi precedenti, e la catastrofe ha creato una nuova consapevolezza, una liberazione da una vita vuota e noiosa che però il protagonista non riesce a sfruttare, perso nella sua regressione fisica e sessuale, nelle sue fantasie di potenza. La differenza sostanziale è che ora non è più sotto osserva- zione la psiche di un singolo personaggio, quanto l’intera classe borghese, di cui osserviamo la rapida degenerazione di fronte a un’imprevista e improvvisa libertà.

Nella tetralogia costituita dai quattro romanzi più recenti di Ballard (Cocaine Nights del 1996, Super-Cannes del 2000, Millennium People del 2003 e Regno a veni- re – Kingdom Come – del 2006) i temi e le tecniche narrative delle opere preceden- ti vengono ripresi e insieme trasformati nel contesto di un mondo caratterizzato da una forma di capitalismo avanzato, o secondo uno studioso di Ballard, Andrzej Gasiorek (2005, p. 174), “terminale”. Una precisazione iniziale servirà a fare chia- rezza sulla collocazione autoriale di Ballard all’interno di questi romanzi: nonostan- te la narrazione di tutti questi romanzi sia in prima persona, sarebbe un errore iden- tificare le opinioni del protagonista con quelle dell’autore, come era già successo in Crash, dove il protagonista si chiamava provocatoriamente Ballard, o in L’impero del sole (Empire of the Sun, 1984) e La gentilezza delle donne (The Kindness of Women, 1991) che sono fondamentalmente delle sperimentazioni sul genere autobiografico. Ballard ha dichiarato in varie interviste che le idee espresse negli ultimi romanzi non sono quelle che vorrebbe vedere realizzate, ma piuttosto possibilità estreme che potrebbero diventare reali a causa delle pressioni soffocanti del mondo che abitia- mo. I miei romanzi, aggiunge Ballard, presentano ipotesi estreme che gli eventi futu- ri potrebbero confermare o smentire. E paragona la sua condizione autoriale a quel- la di chi posiziona un cartello con un avviso di curva pericolosa: “Non è un incita- mento agli automobilisti ad accelerare” dice Ballard, ma aggiunge: “spero però che i miei romanzi siano abbastanza ambigui da rendere misteriosamente attraente il pedale dell’acceleratore” (in Baxter 2004). Altrove, con un’immagine molto più forte, ha dichiarato:

Quando mi dicono “sei freddo e clinico”, mi sembra sempre una cosa strana. Ma forse sono gli altri a essere confusi. Uso il linguaggio di un anatomopatologo. È come eseguire l’ana- tomia di un bambino stuprato. L’anatomopatologo non pecca di esattezza né i suoi elenchi mancano di chiarezza anche se prova rabbia e indignazione («Re/search» 1989, p. 161). Di cosa trattano gli ultimi romanzi di Ballard, con la loro costruzione scoordina- ta, gli epigrammi disseminati nel corso della narrazione, le ossessioni che tornano come variazioni sugli stessi temi, come se volesse metterle alla prova in diversi conte- sti per giungere inevitabilmente alle stesse, disarmanti conclusioni? Le quattro trame

L’ESTREMISMO, MALATTIA SENILE DELLA BORGHESIA 

vede alternativa fra un attaccamento ormai risibile a un vecchio modo di pensare, a un umanesimo fuori luogo in un mondo impazzito, e un futuro barbarico che ha da offrire solo momenti estatici che precedono una discesa nella morte o nella follia.

Fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Ballard scrive due delle sue opere più radicali e provocatorie (La mostra delle atrocità – The Atrocity Exhibition – e Crash) che segnano al tempo stesso l’apice della sua prima produzione e il suo defi- nitivo abbandono del genere fantascientifico, ponendo le basi della produzione suc- cessiva in cui non sarà più la psiche dei personaggi al centro della sua opera, quanto piuttosto le interazioni fra l’ambiente e l’immaginario dei suoi personaggi.

È con Condominio (High-Rise) del 1975 che l’attenzione di Ballard si sposta dalla psiche di un singolo individuo, per quanto decostruito come in La mostra delle atro- cità, a un conflitto apparentemente assurdo che travolge gli abitanti di un condomi- nio di quaranta piani alla periferia di Londra, abitato da duemila inquilini del ceto medio, definiti tutti “ricchi professionisti” (Ballard 1975, p. 11) che iniziano a mani- festare un’aggressività sempre più violenta fino a trasformare la vita di quella “città verticale” in una guerra tra bande, con massacri e orrori di ogni genere. Sono due gli elementi che vorrei mettere in evidenza in questo romanzo. Innanzitutto il fatto che i conflitti che scoppiano nel condominio sono simbolici: si combatte e ci si uccide per il diritto di usare la piscina dei piani più alti o per avere accesso agli ascensori. Ballard ha citato a questo proposito un’improbabile teoria di uno psicologo ameri- cano, Abraham Manslow. Negli anni Quaranta del secolo scorso, questi avanzò l’i- potesi che le motivazioni che spingono gli esseri umani seguono una gerarchia dei bisogni, che finora si sarebbe evoluta in quattro livelli: bisogno primario è il cibo; una volta soddisfatto tale bisogno si passa alla sicurezza materiale, quindi alla sicu- rezza sentimentale, emotiva ed erotica. Emergerebbe infine, una volta soddisfatti i tre livelli precedenti, il bisogno di autostima e quindi di affermazione. Lo scrittore inglese Colin Wilson, definito negli anni Cinquanta un angry young man, ma mag- giormente legato all’esistenzialismo, da sempre attratto dagli aspetti estremi dell’e- sperienza umana, dal crimine all’occultismo, diffonde questa teoria in ambito ingle- se, applicandola non solo alla psiche di ciascun individuo ma all’intera società così come si è sviluppata negli ultimi due secoli. Per quanto discutibile da un punto di vista scientifico, la teoria di Manslow e di Wilson si presta bene a un uso letterario e Ballard la utilizza proprio in Condominio, dal momento che nessuno degli abitanti del condominio, allegoria trasparente della società inglese della metà degli anni Settanta in cui la borghesia è onnipresente e la crisi economica avanza ma è ancora lontana dal creare una situazione da terzo mondo, agisce in base a motivazioni eco- nomiche, ma solo in vista di una propria affermazione sociale che si manifesta nel- l’appropriazione di simboli del benessere consumista e nell’ascesa degli abitanti dei piani più bassi verso i livelli superiori. Ma tutto questo si potrebbe liquidare facil- mente come soggetto di una delle tante opere nelle quali si osserva come sotto l’ap- parente patina di civiltà si nasconde in noi la barbarie, pronta a esplodere alla mini- ma occasione. Il secondo punto interessante del romanzo di Ballard, nonché quello che aprirà la strada alle posizioni più recenti espresse nei suoi romanzi, sta nel fatto che alla fine del romanzo l’unico dei tre protagonisti che sopravvive al massacro, un medico che insegna all’Università, invece di essere sconvolto dall’esperienza vissuta, dichiara di non essere mai stato tanto felice:

Erano ragazzi benestanti, borghesi, ben educati, provenienti da famiglie relativamente ricche, che si sono dati a questa “assurda violenza” (…). Se sei cresciuto in uno di questi sobborghi (…) in un mondo come quello, senza una vera libertà dello spirito, la sola libertà che si può trovare è la follia. Quel che voglio dire è che in un mondo completa- mente sano, l’unica libertà è la follia (ib.).

I protagonisti borghesi degli ultimi romanzi di Ballard sono prima addormentati nella noia della loro esistenza, poi bruscamente risvegliati e sedotti dalla violenza subita e quindi praticata, una violenza spesso gratuita che dà loro euforia, nuovo vigore, un’energia e una fiducia in sé che non conoscevano. I personaggi che fungo- no da guide in questo nuovo mondo violento sono molto diversi, pur con qualcosa in comune: sono lucidi ed estremamente convincenti. Il narratore di Cocaine Night viene indottrinato dal suo antagonista Crawford, che gli espone i vantaggi che la bor- ghesia può ricavare dal crimine con un metodo quasi socratico: cosa faresti, gli chie- de Crawford, se rubassero in casa tua, ti spaccassero il televisore o ti imbrattassero i muri di casa? La risposta del narratore è istintiva quanto patetica: chiamerei la poli- zia. Ma la polizia non fa nulla, i ladri tornano e non si può più tornare a sonnecchiare davanti alla televisione. “Tu non sei più addormentato. Adesso sei ben sveglio, sei più vigile di quanto sei mai stato (…) zone addormentate della tua mente, che per anni non avevi frequentato, tornano a essere importanti” (Ballard 1996, p. 236). Ma i furti e gli stupri continuano,

crimine e vandalismo sono ovunque. Devi sollevarti al di sopra di questi delinquenti scri- teriati e del mondo balordo in cui vivono. L’insicurezza ti costringe a rivalutare tutte le risorse morali che hai a disposizione (…) ci accorgiamo che è più importante essere un pittore di terz’ordine che guardare un cd-rom sul Rinascimento. Cominciamo tutti insie- me a sviluppare le nostre potenzialità e alla fine troviamo la nostra strada come individui e come comunità (pp. 236-237).

Cosa c’è però alla fine di questo percorso, espresso con logica stringente? Nient’altro che il fascismo. Ballard ne è perfettamente consapevole:

Il mio vero timore è che noia e inerzia portino la gente a seguire un leader demente, che si indossino anfibi e uniformi nere e si assuma l’aspetto di assassini solo per alleviare la noia. Un neofascismo perverso e autenticamente insensato, un razzismo esteticizzato con sapienza, potrebbero essere la prima conseguenza della globalizzazione (in Baxter 2004). Ed è esattamente questo che avviene nell’ultimo romanzo di Ballard, in cui la strada che la comunità e i singoli individui trovano per realizzare se stessi è un incu- bo in cui si fondono fascismo e consumismo, cementati dal tifo sportivo, dall’assal- to alle case degli immigrati pakistani, indiani o polacchi, dallo squallido fascino di un presentatore televisivo convinto di essere un nuovo messia o un nuovo führer, manipolato da un insegnante che aveva cercato di convertire il narratore alla propria visione della vita con una frase agghiacciante: “Che senso ha avere libertà di parola se non si ha nulla da dire?” (Ballard 2006, p. 92).

Di fronte a una borghesia addormentata ma pronta a destarsi dalla sua noia e dal suo sonno solo attraverso la pratica di una violenza insensata e rigenerante, control-

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seguono uno schema simile: il narratore è un adulto benestante, non ancora di mezza età, di solito colto in un momento di passaggio della sua vita, con un matrimonio alle spalle o momentaneamente privo di un lavoro prestigioso, a causa di un incidente come in Super-Cannes o perché licenziato in Regno a venire, che si trova a fare luce su un episodio traumatico e criminoso che lo riguarda indirettamente. In Cocaine Nights il fratello del narratore si è autoaccusato di un atroce delitto nel villaggio turistico spa- gnolo per pensionati e turisti inglesi in cui vive e dove aveva fatto fortuna. In Super- Cannes il narratore e la moglie si ritrovano a vivere in un complesso residenziale fran- cese per dirigenti e ricercatori di multinazionali, ma scoprono che il precedente abi- tante della casa in cui vivono ha ucciso dieci persone in un apparente raptus omicida. In Millennium People l’ex moglie del protagonista rimane uccisa in un attentato ter- roristico apparentemente privo di senso all’aeroporto di Heathrow mentre in Regno a venire il padre del narratore è vittima di un cecchino in un megacentro commercia- le in un sobborgo di Londra. Il narratore cerca di comprendere i crimini commessi mettendo insieme i dati in suo possesso e scoprendo una realtà diversa da quella uffi- ciale, ma nel corso delle sue ricerche finisce per essere attratto dalle persone che hanno progettato quei delitti, finendo per mettere in discussione i propri valori e accettare la seduzione del mondo con cui è entrato in contatto. Alla fine del roman- zo, attraversato l’elemento distruttivo di conradiana memoria, il narratore prende una decisione che lo libera dalle sue affascinanti seduzioni ma lo attira sempre più in un meccanismo distruttivo e autodistruttivo, come in Cocaine Nights e Super-Cannes, o sembra raggiungere un nuovo equilibrio, turbato tuttavia dall’esperienza fatta e reso definitivamente instabile da esso. Come fa notare Gasiorek, non è però l’identità del colpevole che dobbiamo scoprire o la sua psicologia criminale, quanto piuttosto la natura della società o della comunità nella quale il crimine si è verificato. Il narratore è un esploratore sociale, come i primi studiosi degli slums londinesi del XIXsecolo,

con la differenza che a essere analizzata non è la classe dei diseredati ma la borghesia, il “nuovo proletariato”, come viene definito in Millennium People.

Le conclusioni, come ci aspettiamo da Ballard, sono agghiaccianti. L’alternativa che si pone è fra una borghesia addormentata davanti alla propria televisione, che vive come in un reality show e la cui unica libertà di scelta si riduce alla marca del prodotto da acquistare, e quella che un personaggio di Regno a venire, lo psicanali- sta Maxted, vede nel futuro della sua comunità: “una lotta tra vasti sistemi di psico- patologie, tutte volontarie e intenzionali, che faranno parte di un tentativo dispera- to di fuggire dal mondo razionale e dalla noia del consumismo” (Ballard 2006, p. 113). È una polarizzazione che Ballard aveva identificato in un’intervista di oltre venti anni fa, nel 1982, dopo un viaggio in Germania: “Il futuro sta per diventare come un sobborgo di Düsseldorf, uno di quei sobborghi ipermoderni con una BMW

e una barca davanti a ogni casa (…) un paradiso consumista, dove non c’è una foglia fuori posto” («Re/search» 1989, pp. 14-15). E aveva aggiunto: “Ovunque, perfino in Africa e in America meridionale si vedono sobborghi del genere spuntare fuori. Rappresentano il meglio che la gente vuole. E sono terrificanti perché sono la morte dell’anima” (p. 15). Nella stessa intervista, il legame fra questo mondo terrificante, la borghesia e la violenza era già esplicito. Parlando del gruppo Baader-Meinhof, Ballard aveva detto di aver compreso proprio nei sobborghi tedeschi la motivazione profonda delle loro azioni: