La rappresentazione del nemico si attualizza generalmente nell’opposizione dico- tomica: noi e gli altri. Nell’immaginario collettivo il nemico è tradizionalmente uno degli altri, uno venuto da oltre frontiera e che rappresenta l’antica paura: dove fini- sce il nostro ambito culturale inizia l’altro, sconosciuto e ostile. La rappresentazione del nemico nel linguaggio cinematografico si svincola raramente dai principali arche- tipi culturali e dai retaggi ideologici che la proiettano.
E quanto più il nemico è visibile, identificabile, tanto più è facile contrapporgli un’identità antitetica: i nostri, noi. Non a caso, i mass media sovietici hanno a lungo proposto come elemento unificante dell’identità nazionale un nemico comune defi- nito tramite la categoria archetipa dell’“oltre frontiera” e la categoria sociologica della “lotta di classe”. Questa visione “semplice” del nemico come avversario sem- pre esterno trova il suo apogeo nella ricca produzione cinematografica sulla grande guerra patriottica (1941-45). Il nemico è “evidente”, facile da individuare in quanto straniero, aggressore e invasore. Mentre la guerra fredda non ha lasciato nel cinema sovietico alcuno stereotipo forte del nemico americano, la guerra in Afghanistan ha invece creato una situazione di evidente smarrimento. I motivi della guerra trasmes- si dai media venivano percepiti come poco chiari: compiere il “dovere internaziona- le”, sostenere il “popolo afgano”, cui si deve essere fraternamente legati. Il patriot- tismo ufficiale e mediatico non ha avuto successo e di conseguenza sullo sfondo della guerra afgana un rambo russo non è mai apparso.
Ma è stata la guerra di Cecenia a ribaltare per i popoli della Federazione russa la percezione abituale del nemico: all’improvviso uno dei “nostri”, un “ex amico” è diventato nemico. Esaminiamo come varia la rappresentazione del conflitto ceceno; l’oggetto della nostra analisi sarà in particolar modo la trasformazione della figura del ceceno nel cinema russo.
Il ceceno nel cinema sovietico
Il tema del Caucaso e dei ceceni è radicato da tempo nella cultura russa. I primi contatti con i ceceni risalgono probabilmente al Cinquecento, durante le contempo- ranee migrazioni dei cosacchi russi dal Nord verso le pianure precaucasiche e dei vajnachi-ceceni dal Sud verso le zone montuose dell’attuale Cecenia.
La figura del ceceno appare nel cinema sovietico già a partire dagli anni Venti sul- l’onda del pathos rivoluzionario teso all’abbattimento dell’Impero, la cosiddetta “prigione dei popoli”. Non rappresentava allora il nemico ma l’eroe romantico,
ALESSANDRA CALANCHI
Fig. 4. Sesso e potere (Wag the Dog, Barry
Levinson 1997). Una scena del film.
Fig. 3. Sesso e potere
(Wag the Dog, Barry
Levinson 1997). Un manifesto del film.
Il regista Sergej Bodrov dichiaratamente allude a Tolstoj. Il protagonista princi- pale porta infatti lo stesso nome, e lo stesso è anche il tipo di prigionia abbastanza tradizionale in quei monti: una buca scavata nella terra, la stessa è la bella cecena, ma cambia la motivazione della prigionia. Il conflitto non è tra il russo e il suo nemi- co ceceno, ma tra due tipi di mentalità: avventuriero-militare e patriarcale-pacifico. Questo conflitto si realizza su tutti i livelli: sia i russi che i ceceni si differenziano al loro interno in base a questo criterio. Abdullàh, un contadino ceceno, padre di un combattente, tiene prigionieri nella buca due giovani russi, per poterli scambiare con suo figlio, che l’esercito federale tiene prigioniero in città.
Lo sguardo etnografico del regista sulla popolazione locale denota una linea tra i nostri e gli altri per adesso ancora poco visibile. Sia russi che ceceni popolano l’u- nico spazio dello schermo, le loro strade si intrecciano: il padre ceceno e la madre russa uniti dallo stesso amore per i figli, che cercano di aggirare le strutture ufficiali per salvarli, sono le figure tipiche del primo periodo del cinema russo su questa guerra. Caratteristico il dialogo nella scena del loro incontro. La madre per addolci- re il cuore di Abdullàh dice: “Ho sentito che vostro figlio è un maestro, anche io sono una maestra”. Abdullàh risponde: “Adesso questo non ha importanza, adesso siamo nemici”.
Abdullàh si proclama “nemico”, ma tutta la scenografia del film lo disegna più come una vittima. Non è riuscito a salvare suo figlio, ma non ha punito la figlia, che ha liberato il soldato russo dalla buca, né ha ucciso il suo prigioniero.
Nel film esistono tuttavia tracce del vero nemico crudele: i combattenti-separati- sti che costringono Abdullàh a “prestare” i prigionieri per disinnescare le mine. Ma anche questo nemico senza pietà al mattino mostra rispetto per i prigionieri che hanno rischiato la vita e sono riusciti a bonificare il prato. Tutta la scena della festa con i balli, il tradizionale montone arrostito allude ai film sovietici sul Caucaso fol- cloristico.
L’altra immagine del nemico è la figura di un altro padre che arriva in città per uccidere suo figlio che considera traditore in quanto poliziotto fedele al potere fede- rale. Ma si tratta ancora di un’immagine nobile carica di dolore. Ciò che oggi la cri- tica russa definisce “correttezza politica” si manifesta appieno nel film di Sergej Bodrov. La fotografia stupenda della montagna, la bellezza solenne dei paesaggi e la poeticità del paesino, i visi ispirati dei contadini, la nobiltà dei costumi tradizionali contrastano con le tute mimetiche, i camion militari sporchi: tutti gli attributi antie- stetici della guerra. La verità del regista è che il nemico se lo si guarda da vicino ha un volto umano. La vita pacifica, con la sua spontanea capacità di riprodursi, è l’an- tidoto alla guerra.
I film girati dopo la prima guerra cecena, sull’onda dell’orrore degli atti terrori- stici che hanno provocato la seconda campagna militare (1999-2001), abbandonano questa posizione pacifista, anche se in misura diversa l’uno dall’altro.
L’immagine polivalente del nemico alle soglie del Duemila e oltre
Il film Il Purgatorio (1997) di Aleksandr Nevsorov ha decantato del conflitto solo la lotta sanguinosa; è un inno di violenza da tutte le parti. La trama ricostruisce un L’IMMAGINE DEL NEMICO NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA GUERRA CECENA NEL CINEMA RUSSO
combattente per l’indipendenza contro i cosacchi dello zar. La demarcazione tra noi e gli altri seguiva il principio di classe e pretendeva di proporre l’universale soluzio- ne marxista anche per le società più arcaiche. Il vero nemico quindi era la classe degli sfruttatori indipendentemente da nazionalità e religione. Esempio classico di questo atteggiamento il film Ultimi crociati (1929) del regista Siko Dolidze.
A partire dagli anni Trenta il motivo dell’amicizia dei popoli diventa dominante nel cinema russo. Nei film – alcuni artisticamente di buona fattura – fa la sua comparsa l’immagine affascinante del “caucasico generico” (senza sottolineare i tratti etnici diversificanti dei numerosissimi popoli caucasici). Esempio brillante è il musical del regista Ivan Pyr’ev L’allevatrice di maiali e il pastore (1936) sull’amore di due conta- dini – una russa e un caucasico – che si incontrano alla Fiera contadina di Mosca.
In seguito per tanti anni ancora il romanticismo “decorativo” di tale stereotipo è stato per il pubblico di massa quasi l’unico contenuto informativo sul Caucaso. A questo immaginario hanno dato il loro contributo anche numerosi gruppi folclori- stici provenienti da tutte le regioni caucasiche che moltiplicavano l’immagine degli audaci dÏigit (“cavalieri”) con i loro attributi immancabili: papacha, burka, ãerkesska (elementi del costume tradizionale) e la sciabola.
La tradizione del bel mito sulla fraternità dei popoli è stata bruscamente inter- rotta dal regista Leonid Gajdaj. Nella sua brillante commedia, tuttora di successo, La prigioniera del Caucaso (1966) troviamo infatti la parodia di tutti gli stereotipi della mitologia caucasica del modello sovietico. Tuttavia nella mentalità collettiva russa il mito dell’amicizia dei popoli continuerà a sopravvivere a lungo e a livello inconscio forse sopravvive tuttora.
Di fatto il colpo definitivo al mito viene inferto a meta degli anni Novanta. Cambia in Russia la semiotica tradizionale: la gente scopre nuovi significati associa- ti a lemmi già conosciuti: terakty (“atti di terrorismo”), beÏency (“profughi”), zaloÏ- niki (“ostaggi”). La sensazione di subire il tradimento passa attraverso il prisma della rabbia e l’immagine del nuovo nemico si cristallizza nella figura del ceceno per assu- mere poi tante sfaccettature.
Il prigioniero del Caucaso
Uno dei primi film sulla guerra cecena, Il prigioniero del Caucaso (1996) di Sergej Bodrov, girato all’inizio della prima guerra cecena (1994-96), ha ricevuto l’alto apprezzamento della critica e ha avuto una nomination all’Oscar.
Il tema dei “prigionieri nel Caucaso” ha una lunga tradizione nella letteratura russa a partire ancora dalle prime guerre caucasiche nell’Ottocento. Nel 1815 per la prima volta la prigionia del generale russo Delpozzo, di origine italiana, rapito dai ceceni è stata descritta dai Xavier de Maistre, emigrato dalla Francia e ufficiale del- l’esercito russo nel Caucaso. Sono stati peraltro i poemi romantici, dal medesimo titolo Il prigioniero del Caucaso, di due grandi poeti russi Aleksandr Pu?kin (1821) e Jurij Lermontov (1828) a creare il codice culturale nella rappresentazione del Caucaso. Il prigioniero del Caucaso di Lev Tolstoj (1872) ne dà una visione più rea- listica nella descrizione della vita quotidiana, ma romantica nella sostanza. In tutte e tre queste opere, nell’affare sanguinoso della guerra si introduce o l’amore (Pu?kin e Lermontov) o l’amicizia (Tolstoj), che risulta più forte dei tabù religiosi e militari.
recano in Inghilterra a recuperare il riscatto per la fidanzata inglese ancora in pri- gionia. È caratteristico che il nemico ceceno li lasci andare per raccogliere in qual- siasi modo i soldi, dimenticati gli obiettivi patriottici.
Nel film la verità del regista parla anche con la bocca del nemico ceceno Aslan, che impartisce una lezione ai federali ed esalta con orgoglio la crudeltà dei suoi ante- nati nei confronti dei nemici, parla della debolezza del potere federale in Russia. E proprio lui definisce l’opposizione “bianco/nero” unendo la Russia con l’Europa: “Perché venite qui? Voi vivete al Nord, e il vostro mare è Bianco, noi viviamo al Sud, e il nostro mare è Nero”.
Rappresentando così la “guerra dei mondi” – Occidente vs Oriente – su scala locale il regista vuole unire l’universale con il locale, lo slogan con la cronaca, e la propaganda con la fiaba. E bisogna riconoscere che riesce a commuovere lo spetta- tore di massa.
Il concetto della guerra tecnologica visto come parte e prassi permanente della vita, è un dato nuovo nell’immaginario del conflitto ceceno, sempre più spesso confortato dalla sua evidenza in varie serie televisive. In uno dei primi Divisione spe- ciale (2001-2002) si rivela la novità del trend alla citazione costante dai serials ameri- cani di ultima scelta (ne sia esempio la battuta: “la risposta è sbagliata: uccidere”). Un ulteriore nuovo stereotipo si realizza nel fatto che le parti in conflitto si defini- scono reciprocamente “avversari veri”, “veri soldati” con i quali è quasi sportiva- mente interessante risolvere i problemi strategici: un ovvio tentativo di banalizzare la guerra e includerla nello svolgimento della vita naturale.
Oggi gli avvenimenti degli ultimi anni –- il referendum (2003), le elezione presi- denziali e soprattutto le elezioni parlamentari nella Repubblica Autonoma Cecena (2005) svolti sotto il controllo della comunità internazionale – hanno contribuito alla stabilizzazione della situazione politica.
Nella nuova produzione cinematografica l’idea dell’unificazione nazionale contro il terrorismo internazionale comprende e include anche i ceceni pacifici. Lo stranie- ro, il terrorista internazionale, torna a occupare in qualche modo la figura del nemi- co nel cinema di questo periodo; tra gli stessi combattenti ceceni non c’è più la soli- darietà di una volta, non più tanto ideali ma bassi scopi di interesse privato.
Il recente film di Vitalij Lukin – Attacco (2006) – è ispirato a un fatto reale: la bat- taglia in Cecenia dei paracadutisti della divisione di Pscov contro un nemico che li superava 100 volte; morti tutti. Nel film, della verità storica rimane poco, c’è allu- sione alla grande guerra patriottica, il tentativo di eroicizzare ad ogni costo i solda- ti, contro l’imbellità dei loro superiori che aspettano a mandare i rinforzi.
Quanto al nemico stesso, non è più così facilmente identificabile. Ce n’è per tutti i gusti: mercenari stranieri (bianchi e di colore), nonché russi e ucraini. C’è anche il ceceno-traditore Ruslan (con tutti gli attributi del “cattivo”: isterico, arrogante, tos- sicodipendente) e il dignitoso comandante ceceno, ex ufficiale sovietico Murat. E mentre si incontrano le due figure positive, i due comandanti degli opposti eserciti, che tra l’altro avevano studiato insieme all’Accademia militare e insieme avevano combattuto nel passato in Afganistan, Ruslan ordina al cecchino di ucciderli entram- bi. I due muoiono abbracciati e il fatto dovrebbe simboleggiare la loro unità. La figu- ra dell’anziana guida dei guerrieri ceceni richiama, ma solo come una copia schema- tica, Abdullàh, protagonista del film di Bodrov, ed esprime, per volontà del regista, L’IMMAGINE DEL NEMICO NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA GUERRA CECENA NEL CINEMA RUSSO
avvenimento vero: il combattimento per la liberazione degli ostaggi nell’ospedale di Groznyj. Ne è stata conservata tutta la topografia, i personaggi del film portano i nomi dei personaggi reali. Ma poi tutto il film è una battaglia senza regole. Il nemi- co di questo film è senza pietà come si evince dalla crudezza delle immagini: primi piani di teste e genitali tagliati, l’intestino avvolto sul cingolo del carro armato ecc. Qui per la prima volta appaiono i mercenari stranieri: africani, donne-cecchino litua- ne, narcotrafficanti afgani.
Il film Posto di blocco (1998) di Aleksandr RogoÏkin è stato girato dopo il cessa- te il fuoco quando sembrava che gli accordi di Chasan-Jurt (1996) potessero avere sviluppi positivi. Il regista ci mostra la “guerra pigra” in un posto di controllo mili- tare in un luogo sperduto in Cecenia: di tanto in tanto le abituali dimostrazioni di aggressività dei ceceni si inseriscono nella quotidianità della vita in caserma. E, come richiamo alla tradizione letteraria russa, al centro della narrazione vive la storia d’a- more tra il soldato (questa volta ebreo russo) e la bella cecena.
Proprio in questo quotidiano descritto lentamente e dettagliatamene si nascon- dono le cause della guerra e del fatto che essa non finisca mai. I soldati federali par- lano con i ceceni nella stessa lingua russa ma non si capiscono assolutamente a livel- lo profondo. Il messaggio del film implica che questa guerra sia soltanto conseguen- za di una vita quotidiana nella quale si sacrificano in continuazione valori appena dichiarati alla logica della situazione. Il nemico, per il regista, si differenzia dal suo protagonista solo per il fatto che non essendogli rimasta più la quotidianità pacifica, si sente autorizzato a giustificare in modo più convinto e deciso questo tipo di vita senza regole.
A cavallo del secolo, nella mentalità collettiva della società russa gli stereotipi del passato comune sovietico, del romanticismo caucasico, lasciano spazio ai concetti nuovi. Dopo la seconda guerra cecena, e soprattutto dopo l’11 settembre, i media introducono nuove parole con cui definire il nemico: terrorista, mercenario interna- zionale, islamico, ceceno. Anche la comunità internazionale l’ha fatta finita con le doppie definizioni. Il termine “guerra” viene sostituito con il termine “lotta contro il terrorismo”. Si rafforza l’idea che nonostante la “storicità” del conflitto con i cece- ni, il suo carattere adesso sia cambiato. Sempre più spesso i media russi parlano di complotto, non da parte di tutti i ceceni, bensì da parte degli “estranei” (altri), i ceceni-vachabiti che si sono stabiliti relativamente da poco in Cecenia. Dopo una lunga serie di atti terroristici e soprattutto dopo gli avvenimenti al teatro Nord-Ost a Mosca e alla scuola di Beslam l’aspetto terroristico di questa guerra ha completa- mente cancellato il primo aspetto anticoloniale che inconsciamente era ancora pre- sente nella mentalità russa.
Da qui deriva la presa di posizione caratteristica degli ultimi film e delle serie tele- visive: contro un nemico ben preparato e armato, sostenuto dal terrorismo interna- zionale ogni mezzo deve essere lecito.
Il regista Aleksej Balabanov nel suo film Guerra (2003) fa volutamente saltare la dicotomia “arretratezza patriarcale del paese ceceno”/“progresso tecnico della città russa” caratteristica dei primi film del genere. Il suo nemico ceceno è attrezzato di tutti i mezzi: da internet ai collegamenti satellitari. È un nemico senza pietà che già all’inizio del film taglia la testa al suo soldato, un giovane mercenario. Gli eroi-pro- tagonisti sono due: un russo e un inglese rapiti, liberatisi dalla solita buca cecena si