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Nel 2003, quasi sessant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale Uwe Timm pubblica un libro sul suo fratello maggiore morto in guerra. Si tratta di un testo autobiografico, molto privato, che riprende la memoria nella sua intimità fami- liare e nell’emotività del rapporto personale. In esso hanno grande importanza gli aneddoti, soprattutto quelli raccontati dalla madre, le lettere del fratello spedite dal fronte, il diario di quest’ultimo scritto in Russia e le poche cose rimaste di lui. Protagonista è una famiglia tedesca comune, che non ha nulla di particolare e che subisce, come tante altre in Germania, ancora nel dopoguerra le conseguenze del terremoto causato dal regime nazista: il fratello è morto, eppure rimane vivo nel ricordo della famiglia.

Uwe Timm, il membro più giovane della famiglia, decide di scrivere questo libro sul fratello e sul ricordo rimasto di lui in famiglia quando il padre, la madre e anche la sorella sono ormai deceduti. Prima non gli era stato possibile; solamente dopo la morte di tutti familiari si sente libero di scrivere sul fratello e di indagare questo per- sonaggio che, nato ben 17 anni prima di lui, aveva conosciuto appena. Timm è rima- sto solo con una memoria familiare complessa e in parte difficile da accettare, spe- cialmente perché il fratello era un nazista convinto e aveva fatto parte della Waffen-

SS, gruppo d’élite dell’esercito tedesco.

Il perché della convinzione ideologica del fratello, della sua decisione di combat- tere volontariamente nella Waffen-SS sul fronte russo, sono le domande che Uwe

Timm si è posto tante volte nella sua vita, e sono appunto le domande che determi- nano l’indagine condotta in Come mio fratello. Più che proporre una ricostruzione della storia della famiglia, il libro segue un percorso di ricerca sul personaggio del fratello appena conosciuto eppure così importante nella vita dell’autore. Timm pre- senta una specie di collage associativo composto da frammenti di ricordi personali trasmessi in famiglia, citazioni da lettere e dal diario del fratello. Inoltre aggiunge riflessioni, ipotesi e finzioni su quello che poteva essere accaduto più di sessant’an- ni prima al tempo in cui il fratello era ancora in vita. La memoria comunicativa della famiglia Timm ottiene così una sua forma culturale nel testo letterario Come mio fra- tello scritto dal membro più giovane Uwe1.

1. La culturalizzazione del ricordo in famiglia

Il fatto che Timm aspetti più di 60 anni prima di pubblicare un libro sul fratello è sicuramente dovuto al rispetto per gli altri familiari e per la loro privacy, ma è anche

Uwe Timm si ritira con i suoi ricordi familiari in una specie di laboratorio lette- rario affrontando in questo ambiente protetto questioni dalle quali si sentiva tor- mentare da anni: cresciuto dopo la guerra e maturato nel clima di sinistra del ’68, ha avuto come fratello un convinto nazista, un avversario politico a cui è comunque legato attraverso i ricordi teneri e affettuosi trasmessi in famiglia. Confrontandosi duramente con questa contraddizione Timm mette in rilievo gli aspetti problemati- ci del ricordo familiare e dà così un contributo importante alla difficile culturalizza- zione del ricordo familiare al Terzo Reich.

Per capire meglio il discorso memoriale di Uwe Timm in Come mio fratello e per comprendere le intenzioni che accompagnano la culturalizzazione della memoria comunicativa in un testo letterario bisogna confrontarsi con il ricordo reale come viene rilevato dalle indagini fatte nella Oral History5. Solamente così si possono tro- vare con precisione i punti dolorosi rimossi nella vita quotidiana ma rilevati nella loro piena problematicità nel laboratorio letterario di Uwe Timm.

2. Ricordi di famiglia al periodo nazista

Nel 2002, un anno prima che uscisse il racconto di Timm, è stato pubblicato un volume sul ricordo familiare al periodo nazista con il titolo Opa war kein Nazi (Il nonno non è stato un nazista) (Welzer, Moller, Tschugnall 2003)6. Il volume con- tiene l’analisi di una serie di interviste fatte in diverse famiglie a testimoni diretti del periodo nazista, ai loro figli e ai loro nipoti. Scopo principale dell’indagine è la scoperta dell’approccio privato alle vicende naziste al fine di rilevare eventuali dif- ferenze con l’approccio storico caratteristico delle lezioni scolastiche: mentre attra- verso queste ultime si trasmette il sapere sui fatti storici per formare una specie di enciclopedia mentale (p. 10), il racconto in famiglia è segnato da una forte emoti- vità dando così alla memoria l’impronta di album (ib.) in cui vengono raccolte il privato, vale a dire le esperienze e le sofferenze dei nonni, dei genitori, dei fratelli e delle sorelle.

Il pubblico e il privato, il sapere e l’emozione, l’enciclopedia e l’album si avvici- nano nei ricordi al passato nazista, eppure rimangano rigidamente separati. In que- sta maniera genitori e nonni non vengono visti come colpevoli degli orrori causati dalla seconda guerra mondiale tanto che i familiari fanno parte del campo privato e il terrore del regime nazista rientra solamente nella storia pubblica. Piuttosto che la generazione vissuta durante il periodo nazista, sono le due generazioni cresciute dopo la seconda guerra mondiale ad avere problemi con la memoria tanto da dimen- ticare le esperienze dolorose.

Questo esito sorprendente dell’analisi sulla memoria familiare viene dimostra- to in una serie di casi analizzati in Opa war kein Nazi. Come esempio può funge- re la famiglia Kern: il testimone di guerra Heinz Kern è stato membro della Waffen-SSe ne è tuttora orgoglioso. Parla, infatti, in maniera molto aperta e senza

pudore della sua partecipazione ad azioni di guerra oggi considerate alla stregua di crimini. Così accade che raccontando un piccolo aneddoto su un incontro casuale con suo fratello sul fronte russo afferma anche di aver ucciso dei prigio- nieri russi:

IL TERRIFICANTE NELLA MEMORIA CULTURALE DEL TERRORE NAZISTA 

causato dal cambiamento che la memoria collettiva2della guerra e del Terzo Reich sta subendo al momento attuale. Nel 2005 sono passati 60 anni dopo la fine della secon- da guerra mondiale. La gente che ha vissuto questo periodo sta per scomparire, i testi- moni vengono a mancare. I dialoghi sulla guerra, i racconti di quello che era succes- so alle singole persone, le paure, le ansie, i traumi scompaiono dalla vita quotidiana e con ciò scompare anche la memoria comunicativa. Il caso della famiglia Timm, dove è rimasto solamente il membro più giovane, è tipico per il momento storico attuale: coloro che possono essere considerati testimoni, avendo avuto al tempo un’età tra 15 e 20 anni, al giorno d’oggi dovrebbe avere circa 80 anni. Non tutti sono ancora in vita.

Particolare nel caso della famiglia Timm è comunque il fatto che il membro anco- ra vivo si prenda cura del ricordo familiare cercando di conservarlo e di renderlo pubblico attraverso un libro. Così la memoria della famiglia Timm si allontana dal- l’ambito privato e diventa un documento culturale indipendente dall’esistenza di una persona3. I dialoghi dei familiari si cristallizzano nel monologo dell’autore che compone la sua opera per un pubblico che recepisce una tematica conosciuta attra- verso i propri ricordi familiari. Tanti tedeschi hanno perso dei congiunti in guerra e tanti hanno avuto dei parenti, padri, zii, fratelli, più o meno coinvolti nelle vicende del regime nazista. Infatti, il libro di Timm ha suscitato un grande interesse proprio perché l’argomento trattato può avere la funzione di un esempio, di un Beispiel come dice il titolo tedesco Am Beispiel meines Bruders (cfr. Galli 22000066).

Esemplare è sicuramente la funzione del fratello come parente assente, l’impres- sione che fanno i pochi oggetti rimasti di lui, e le domande cui lui non dà più nes- suna risposta. Uwe Timm non verrà mai a sapere il perché del convincimento poli- tico del fratello, il perché della sua decisione di entrare nella Waffen-SSe di parteci-

pare volontariamente a quella guerra nella quale ha poi perso la vita. Alle mille domande non c’è risposta. Il fratello rimane un’ombra, la sua vita non si ricostruisce in una storia, perciò è solamente possibile un’indagine sul ricordo di lui rimasto tra i familiari. La memoria culturale del periodo nazista nel testo di Uwe Timm diventa un discorso sulla memoria stessa, una memoria in Germania ancora oggi estrema- mente difficile perché piena di dimenticanze e rimozioni.

Infatti, il discorso memoriale sulla memoria indica una “crisi della memoria cul- turale” (Assmann 1999, p. 23) vale a dire di quel tipo di memoria che in genere ha la funzione di stabilire l’identità e di trasmettere l’immagine che una società vuole dare di se stessa (cfr. Assmann 1988). Certo, il ricordo al Terzo Reich e alla seconda guerra mondiale non può avere una funzione stabilizzante nella società tedesca del dopoguerra la cui identità si basa sostanzialmente sulla distanza dal periodo nazista. Per questa ragione la memoria culturale diventa problematica: anziché offrire la pos- sibilità di identificarsi dovrebbe rispecchiare la distanza che si è creata tra le gene- razioni nate e cresciute dopo la guerra e i responsabili dell’orribile conflitto mon- diale. A tutto ciò si aggiunge l’enorme difficoltà emotiva nel riconoscere che gli arte- fici degli orrori perpetrati in guerra sono i padri e i nonni, figure da cui non si pos- sono prendere le distanze senza dolore. La memoria collettiva alla seconda guerra mondiale contiene quindi un “Leidschatz”4che richiede una culturalizzazione speci- fica. L’arte offre un luogo al di là della vita quotidiana e permette così di indagare questa memoria ancora piena di dolori e sofferenze in uno spazio che è solo di “simulazione” (cfr. Assmann 1999, p. 23).

Kern che guardano solamente la parte dell’album che non crea loro problemi trala- sciando tutte le informazioni sulle convinzioni naziste del padre o del nonno. Anzi, Timm cerca il parente nazista per confrontarlo con il fratello amato facendo una spe- cie di resoconto di quello che gli è stato trasmesso.

Eppure l’album è molto simile a quello della famiglia Kern. L’unica differenza consiste nel fatto che la voce del testimone si può solamente fare rivivere tramite documenti scritti come le lettere e le annotazioni del diario, poiché egli è morto in guerra. Gli episodi raccontati in questi documenti sono comunque paragonabili agli aneddoti raccontati dal signor Kern. Una annotazione del fratello nel diario riguar- da l’omicidio di un militare russo:

21 marzo Donec

testa di ponte sul Donec. A 75 metri Ivan fuma una sigaretta, un bel boccone per la mia migliatrice (Timm 2003, p. 17).

Come il signor Kern, il fratello di Uwe Timm non descrive una circostanza belli- ca e quindi non si trova nella necessità di sparare. La motivazione della sua azione non è del tutto chiara, ma è di certo futile: non si sa se lo fa per il piacere di uccide- re, o semplicemente per utilizzare la mitragliatrice.

Segue immediatamente il commento di Uwe Timm, una breve riflessione sulla sua percezione di questa annotazione diaristica:

ecco il punto oltre il quale, quando all’inizio lo incontravo – mi saltava decisamente all’oc- chio, in alto a sinistra sulla pagina – smettevo di leggere, chiudevo il quaderno. e solo dopo aver deciso di scrivere su mio fratello, cioè anche su di me, e di lasciare spazio al ricordo mi sono sentito libero di seguire quel che era stato messo per iscritto (ib.). “Ecco il punto oltre il quale (…) smettevo di leggere, chiudevo il quaderno” – que- sta è la reazione di Uwe Timm per anni, una reazione paragonabile a quella della figlia e della nipote di Heinz Kern che non raccontano la storia dell’omicidio dei prigionieri russi semplicemente perché da loro non viene ricordata o forse nemmeno percepita.

Solamente con la decisione di scrivere sul fratello Timm trova lo spazio per inda- gare sulla memoria della sua famiglia in tutta libertà. Lo spazio è la sua arte, la let- teratura, quindi un ambito al di là della vita quotidiana che gli permette di riflettere nell’irresponsabilità del gioco di finzione sulle oscurità nell’album di famiglia. Timm prende l’album in mano, apre la pagina incollata dove il fratello appare come un militare brutale, la commenta e aggiunge qualcosa di suo: si immagina il militare russo ucciso dal fratello e lo fa vivere nella finzione letteraria:

Un bel boccone per la mia migliatrice: un soldato russo, forse coetaneo. Un ragazzo, che si era appena acceso una sigaretta – il primo tiro, l’espirare, il piacere del fumo che sale dalla sigaretta accesa, prima del prossimo tiro. A cosa avrà pensato? Al cambio che dove- va presto arrivare? Al tè. A un pezzo di pane. Alla fidanzata, alla madre, al padre? Una nuvoletta di fumo che si sfilaccia nel paesaggio intriso di umidità, residui di neve, l’acqua del disgelo raccolta nelle trincee, il verde tenero sui prati. A cosa avrà pensato il russo, l’Ivan, in quel momento? Un bel boccone per la mia migliatrice (p. 18).

IL TERRIFICANTE NELLA MEMORIA CULTURALE DEL TERRORE NAZISTA 

In un giorno tranquillo mi trovavo in un bosco e stavo dormendo, allora viene mio fra- tello e mi fa solletico sul naso Io avevo qualcosa da mangiare, avevo due cavalli e alcuni (prigionieri) russi che dovevano lavorare. E questi, oh, questi… li abbiamo uccisi (p. 50). La situazione alla quale si riferisce Heinz Kern non era nel vivo di una battaglia, anzi, con ogni probabilità, i prigionieri erano disarmati e quindi incapaci di difen- dersi. Che vi fossero motivi da indurre i due fratelli a sparare non risulta dal rac- conto; forse non volevano dividere il loro cibo o non sapevano cosa fare dei prigio- nieri, forse si è trattato di un semplice atto di crudeltà, ma sicuramente nessuno dei prigionieri li aveva minacciati.

Dalle interviste con la figlia e con la nipote di Heinz Kern risulta che la storia del- l’incontro dei due fratelli al fronte è ben conosciuta in famiglia, l’omicidio dei pri- gionieri russi, invece, non viene nominato. Tanto meno si parla dell’entusiasmo per la guerra del signor Kern o delle sue attività nella Waffen-SS. Anche se la figlia e la

nipote hanno di certo sentito racconti e commenti sulla guerra, hanno tralasciato nelle loro narrazioni successive le parti che potrebbero essere problematiche per l’integrità personale del signor Kern dalla prospettiva morale attuale. Anzi, sembra che né la figlia né la nipote abbiano mai sentito tale storia. Infatti, la nipote confer- ma questa impressione dicendo: “No, non conosco questa storia”. Evidentemente certi fatti vengono cancellati, rimossi o dimenticati in maniera che nella memoria familiare rimangano solamente aneddoti non dolorosi sul destino dei familiari, sulle esperienze del nonno e sulle sue sofferenze durante la guerra. Così la nipote riassu- me: “E per me è una cosa inconcepibile che mio nonno fosse lì, dove c’era questo campo di battaglia e che da lì è tornato sano e salvo a casa…” (p. 51), senza riflette- re sul fatto che il nonno, entusiasta della guerra, partecipava con convinzione a “que- sto campo di battaglia” assumendosi colpe per la catastrofe di guerra e per gli orro- ri che l’hanno segnata.

Evidentemente il legame familiare non permette di considerare un padre o un nonno alla stregua di un criminale di guerra che solo qualche decennio prima aveva ucciso altri uomini. L’immagine della persona conosciuta e amata nel dopoguerra viene generalizzata e ampliata al periodo del nazismo in cui figli e nipoti non erano ancora in vita. Questo fa sì che i ricordi trasmessi in famiglia si trasformino secondo i valori e il modo di vivere delle generazioni cresciute nel dopoguerra in maniera da far apparire integri i testimoni che invece erano spesso fautori del regime nazista. Nell’album dei ricordi familiari alcune pagine si saranno incollate tra loro, qualche foto sarà sparita o diventata irriconoscibile, affinché si possa esibire una famiglia integra, non macchiata da quei crimini di guerra che si leggono (solamente) sulle enciclopedie e sui libri di storia.

3.La culturalizzazione della memoria familiare in Come mio fratello

L’album dei ricordi di famiglia fu affidato anche a Uwe Timm. Lo scrittore lo prende in mano e riflette soprattutto sui punti in cui si trovano dei piccoli danni nel- l’album, sui punti in cui le pagine sono incollate o le immagini sono diventate quasi irriconoscibili. Vale a dire che non si comporta come la figlia e la nipote di Heinz

3 La ricerca letteraria di Uwe Timm corrisponde al programma estetico esposto nelle sue Paderborner

Vorlesungen “Erzählen und kein Ende”. Uno dei motori principali del lavoro di Timm consiste nella ricerca del

“Geflüster der Generationen”, nelle piccole storie e nelle cose nascoste o trascurate nella quotidianità. Fare emer- gere queste situazioni e riconoscere loro un valore proprio è per Timm il senso del suo scrivere.

4Il termine “Leidschatz” risale allo storico dell’arte Aby Warburg noto per le sue ricerche sulla memoria in

Germania negli anni Venti. Per Warburg la memoria si manifesta in particolar modo nell’arte. Nelle varie forme del- l’arte la memoria si è creata uno spazio per affrontare le sofferenze umane senza correre il rischio di ricadere in esse. Lì, nell’arte, il “Leidschatz der Menschheit” diventa “humaner Besitz” (Fleckner 1995, p. 254).

5La Oral History è un metodo di documentazione storica che utilizza come fonti interviste a testimoni del

tempo oggetto di studio (cfr. Ritchie 2003).

6Cfr. Welzer 2001; 2002.

7Cfr. la riflessione di Aleida Assmann (1999, p. 23) sulla memoria nell’arte attuale.

IL TERRIFICANTE NELLA MEMORIA CULTURALE DEL TERRORE NAZISTA 

“A cosa avrà pensato il russo, l’Ivan, in quel momento?”, Timm essendo final- mente libero di seguire “quel che è stato messo per iscritto” legge attentamente la nota nel diario del fratello e si sofferma sulla parte più sfumata, sul militare russo definito dal fratello semplicemente “Ivan”, il nemico.

Ed è questo il punto in cui il discorso memoriale fatto da Uwe Timm si distingue nettamente dalla memoria comunicativa trasmessa oralmente in famiglia: A che cosa avranno pensato i prigionieri russi uccisi dai fratelli Kern? Alle loro mogli, ai loro figli, al cibo che i fratelli si stavano dividendo, alla casa? Erano stanchi? Desideravano dormire? Avevano voglia di fumare una sigaretta per rilassarsi un momento nell’orribile conflitto nel quale avrebbero perso la vita? Nella famiglia Kern nessuno si pone queste domande, giacché la storia dell’omicidio dei soldati russi è stata, coscientemente o no, cancellata dalla figlia e dalla nipote dai ricordi di famiglia e, dopo la morte del padre e del nonno, sarà dimenticata per sempre.

Timm, invece, si sofferma sulle parti che corrono il pericolo di scomparire e di cadere nell’oblio seguendo con particolare attenzione le tracce che possono fare apparire un criminale di guerra il fratello amato in famiglia. Timm ritocca i punti sfu- mati della memoria dando loro colore dove prima c’era solamente un’ombra scura; ridisegna il militare russo ucciso dal fratello non come “Ivan”, il nemico, ma come persona giovane con una vita privata al di fuori dal campo di battaglia. Così si con- trappone alla direzione intrapresa dalla memoria di famiglia rilevando appunto le parti in genere cancellate e dimenticate nei racconti dei figli e dei nipoti. Certamente l’album della famiglia Timm non è più accettabile poiché contiene delle parti oggi difficilmente presentabili. Perciò Uwe Timm si ritira nel laboratorio letterario crean- do così uno spazio a di là della vita quotidiana nella quale si giudicano le azioni delle persone che hanno partecipato alla guerra e si rimuovono o si dimenticano i crimini di guerra dei parenti.

Il discorso memoriale sulla memoria familiare in Come mio fratello rispecchia quindi, nello spazio protetto del laboratorio letterario, il processo del ricordo e del- l’oblio in una famiglia tedesca comune, riprendendo nella simulazione in particolar