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Si trattò dell’episodio più singolare della seconda guerra mondiale. Questo alme- no fu il giudizio espresso in seguito dall’ufficiale dei servizi segreti britannici, non- ché storico, Hugh Trevor-Roper (2002).

Il volo solitario del delfino del führer, Rudolph Hess, in Gran Bretagna avvenne il 10 maggio 1941, epoca in cui Londra era soggetta a regolari attacchi aerei e i piani di Hitler per l’invasione della Russia erano a uno stadio avanzato di preparazione. Come è noto, Hess salutò la moglie Ilse e il figlioletto Wolf Rüdiger annunciando che si sarebbe assentato per il fine settimana. In realtà si recò in macchina agli sta- bilimenti Messerschmitt di Augusta, dove indossò una tenuta da aviatore e salì a bordo di un aeroplano. Aveva imparato a pilotare durante la prima guerra mondia- le ma nessun elemento nel suo addestramento, nella sua attività recente o nei suoi disegni manifesti avrebbe potuto indurre i suoi camerati ad aspettarsi quella parten- za improvvisa e irrevocabile. Era una serata serena e luminosa quando Hess prese il volo sul suo Messerschmitt 110. Attraversò senza problemi il Mare del Nord, diret- to in Scozia. Intorno alle 23, mentre sorvolava le pianure scozzesi, non lontano da Glasgow, si lanciò con il paracadute (procurandosi una piccola frattura a una gamba). Fu così che ebbero inizio gli anni di prigionia di Hess.

Le ripercussioni politiche, legali e diplomatiche del volo di Hess, della sua pri- gionia in Inghilterra, del trasferimento a Norimberga per essere processato e con- dannato (all’ergastolo, non alla pena capitale), così come la sua lunga detenzione a Spandau prima del presunto suicidio nel 1987, sono state ampiamente prese in esame nell’estesa letteratura secondaria a tutt’oggi esistente. Meno chiaro è il modo in cui questo gerarca nazista divenne, dal momento del suo arrivo in Inghilterra, un esemplare caso medico-psichiatrico.

Il periodo di prigionia in Inghilterra segnò l’inizio delle famigerate affermazio- ni di perdita della memoria da parte di Hess e della sua totale amnesia per quan- to riguardava il suo ruolo nel Terzo Reich. Il suo rifiuto – o la sua incapacità – di conservare memoria di quel passato fu a lungo oggetto di dibattito da parte di psi- chiatri e avvocati, e talora fece notizia. L’amnesia era una finzione? Un’esagerazione? Una perversa sceneggiata? Questo atteggiamento tradiva inten- zioni apertamente ostili o l’esistenza di un conflitto inconscio? Clamorosamente, a guerra finita, durante il processo di Norimberga, Hess dichiarò di aver riacquista- to la memoria e di avere orchestrato una burla ingegnosa, ma a quel punto era dif- ficile essere sicuri di che cosa significasse realmente quell’improvvisa “ripresa” delle facoltà mnemoniche o di quello che Hess cercasse di dire sia tramite l’amne- sia sia con l’ultimo voltafaccia.

E ancora: “Ragazzi, siate curiosi. Non c’è niente di peggio di quando viene a mancare la curiosità. Niente è più repressivo della repressione della curiosità (…). La gente muore quando si spegne la curiosità”, ovvero giunge al grado ultimo della censura.

Una volta usciti dal sistema chiuso in cui il senso delle cose era dato dal rap- porto diretto e univoco fra referente e segno, una volta che il pensiero poststrut- turalista ha mostrato come il senso sia sempre in continuo movimento, non è più possibile accettare la nozione della “verità una volta per tutte”. In un mondo fatto di segni che si moltiplicano, in cui i significanti si sono ormai staccati dal loro refe- rente per dar vita a nuovi, autonomi, arbitrari e sempre differiti significati, il desi- derio di giungere a possedere il senso ultimo, chiaro, assoluto delle cose non può che essere, per l’appunto, nient’altro che un desiderio nostalgico, spesso nefasto e ideologicamente viziato, di chi vuole, con forza e ostinazione, imporre la assolu- tezza della propria idea .

L’unico modo per evitare le tragiche conseguenze di questo nefasto desiderio nostalgico è quello di cercare di indagare più a fondo i complessi meccanismi della storia e della realtà.

Qui di seguito si parlerà di regimi, di guerre, di fatti tragici in cui emerge il desi- derio di semplicità, chiarezza, purezza e assolutezza nella sua espressione più cruen- ta; ovvero di quelle situazioni in cui censura e propaganda mostrano il loro volto peggiore: casi limite come quello di Rudolf Hess o, per esteso, del nazismo o quello di altre espressioni di potere in altri tempi e luoghi, che hanno propagandato cose assai aberranti, censurando non solo i libri o le idee, ma anche le persone; anche per- ché la propaganda, in casi come questi, si mette molto spesso al servizio di assassini, e, come ebbe a notare al solito molto acutamente George Bernard Shaw, “l’assassi- nio è la forma estrema di censura”.

1Com’è facilmente intuibile, sto citando dalle pagine iniziali di Cuore di tenebra.

2Per esempio nella Historia Brittonum (IXsecolo), attribuita a Nennio, e nella Historia Regum Britanniae scrit-

ta nel XIIsecolo da Geoffrey of Monmouth.

Ben presto, la vera identità di Horn fu svelata da un accorto ufficiale dell’eserci- to. Dopo un colloquio inconcludente con il prigioniero, il duca di Hamilton, coman- dante di stormo della RAF, volò a Ditchley Park, la sontuosa residenza settecentesca

nell’Oxfordshire dove Churchill trascorreva il fine settimana. All’arrivo del duca, il primo ministro britannico si trovava nel bel mezzo di una cena formale. Per la sera- ta era in programma la proiezione del film I cowboy del deserto (The Marx Brothers Go West). Non appena Hamilton fece il suo ingresso nella sala da pranzo, Churchill esclamò: “Avanti, sentiamo questa storiella”. Ma, per un rapporto approfondito bisognò attendere fino dopo la mezzanotte. Infatti, Churchill annunciò: “Hess o non Hess, io me ne vado a vedere i Fratelli Marx” (p. 575)2. Se è vero che l’intera fac- cenda non fu mai del tutto esente da un’aria di comicità surreale le circostanze del momento non avrebbero potuto essere più spaventose.

Il lunedì 12 maggio, un alto diplomatico del Foreign Office, Ivone Kirkpatrick (già primo segretario d’ambasciata a Berlino) fu tra coloro che furono incaricati di interrogare il singolare emissario tedesco a Buchanan Castle, nei pressi di Loch Lomond. Fu subito evidente che Hess non stava agendo su ordine di Hitler e in effetti si rivelò un portavoce inaffidabile. Per motivi tattici – volti essenzialmente a mantenere Stalin nell’incertezza rispetto a quanto stava accadendo – gli inglesi man- darono segnali confusi e si mostrarono alquanto evasivi circa lo status del loro ospi- te. D’altro canto, Hess stesso sembrava mandare segnali confusi e si dimostrò un soggetto sempre più difficile da gestire per carcerieri e dottori. Sminuita la sua por- tata di intermediario politico, aumentò la sua importanza in quanto “caso clinico”. L’idea che dai colloqui con Hess si potesse ricavare del materiale psicologico, se non addirittura specificamente psicanalitico, va ricondotta nel giusto contesto cul- turale. Prima e durante la seconda guerra mondiale, la psichiatria e la psicanalisi, da entrambe le sponde dell’Atlantico, avevano prospettato una varietà di descrizioni della personalità nazista, allo scopo – almeno nella letteratura di diretta derivazione freudiana – di capire la struttura intrapsichica degli accoliti nazisti, insieme alle rela- zioni interpersonali di Hitler, la sua cerchia e le masse.

I primi ritratti caratteriali di Hitler, in chiave freudiana e non, avevano comincia- to ad apparire negli anni Venti per poi proliferare copiosamente nel corso degli anni Trenta. In particolare, la formulazione da parte di Freud dell’esistenza di un severo Super-io inconscio che osserva e giudica l’Io, esposta nel saggio L’Io e l’Es del 1923, divenne il catalizzatore di una serie di importanti sviluppi clinici e pratici del pen- siero psicanalitico durante i due decenni successivi, e un punto di riferimento in sva- riati e significativi approcci metodologici alla psicopatologia del nazismo.

Una gamma intera di idee nuove stravolse il panorama della psicanalisi durante la prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra; l’accento posto sulla ripeti- zione e la pulsione di morte, l’insistenza sul fatto che la “psicologia del gruppo” non è marginale rispetto alla psicologia dell’individuo ma fondamentale nella costituzio- ne dell’io, il tendere verso un modello di ‘relazioni oggettuali’, tutte queste idee ebbero delle conseguenze nell’operato clinico così come negli approcci psicanalitici alla storia e alla politica. Non è questa la sede adatta per addentrarci nell’analisi di questi complessi sviluppi teorici, se non per far notare l’accento insistente su un dramma intrapsichico che implica una relazione verso degli “oggetti”, amati o odia- ti, assaliti, placati, distrutti, ricostruiti, fatti a pezzi o peggio ancora3. Gli esegeti freu- IL CASO RUDOLF HESS: RIFLESSIONI SULLA PSICOANALISI, LA POLITICA E IL SUPER-IO 

“Matto da legare”, come lo definirà Rebecca West nelle sue memorie del dopo- guerra, A Train of Powder (1955), Hess fu memorabile, malgrado la fuga, nel man- tenere il suo ruolo di fedelissimo di Hitler, addirittura compiacendosene, benché psicologicamente assente. Davanti ai giudici di Norimberga fu irremovibile: “Non ho nessun rimpianto”. La sua follia lo trasse d’impaccio in svariate circostanze. Albert Speer, il quale si presta a un interessante confronto psicologico, evitò a sua volta la condanna alla pena capitale, assumendo una linea di condotta opposta in tri- bunale e durante gli interrogatori, imperniata sul dubbio e il pentimento. Le tortuo- sità e le doppiezze di Hess erano di un altro genere. Dopo la sconfitta del nazismo, Hess rimase apparentemente un autentico fanatico benché nessuno potrà mai aver- ne la certezza. Smessi i panni di maestro delle cerimonie, che aveva talvolta indossa- to durante i raduni a Norimberga negli anni Trenta, forse era ancora convinto della sua fondamentale virtù nazista e della sua imperitura dedizione. Nello stesso tempo, continuò a insistere candidamente di non ritenersi personalmente responsabile di alcun crimine. Smemorato o meno, Hess si presentava immune da qualsiasi colpa. Eppure, i suoi sintomi sembrano raccontare una storia diversa.

Rudolf Hess sarebbe stato sottoposto a una minuziosa osservazione nel 1941 e dopo. Il suo comportamento e le sue asserzioni chiaramente incuriosirono, e a volte sconcer- tarono, i dottori che lo esaminarono e il suo caso fu “trascritto” a beneficio dei posteri. A quanto pare, era possibile studiare Hess e ricavare qualche insegnamento dai suoi pensieri inconsci. Più problematicamente, alcuni immaginarono persino che il “caso” Hesse potesse servire a fornire alcune chiavi di lettura di un certo tipo di personalità fanatica. Non solo i diplomatici, ma gli stessi psichiatri e psicoanalisti si posero la domanda: chi rappresenta davvero Hess? In particolare, i medici erano interessati a dimostrare che il delfino del führer viveva sotto l’influenza di un inflessibile Super-io e a capire in che modo avesse eluso, introiettato o negoziato con questa “istanza”.

Finora, l’analisi clinica emersa dalla prigionia di Hess è stata di per sé oggetto di scarsa considerazione. Gli storici si sono concentrati su altri aspetti della sua storia. Nondimeno, il caso Hess, come osservò in seguito G. M. Gilbert, il principale psi- cologo americano del processo di Norimberga, fu probabilmente il più illustre degli ultimi cinquant’anni (in Miale, Selzer 1975, p. 109): il ritratto avvincente e circo- stanziato di un singolo nazista “psicopatico” prefigurava future influenti valutazioni psichiatriche o psicanalitiche dell’alto comando nazista, compreso Hitler1.

Ma torniamo alla sera del volo di Hess. Alcuni commentatori hanno avanzato l’i- potesi che l’Intelligence britannica e/o Hitler stesso fossero stati informati in antici- po ma questa eventualità sembra altamente improbabile, per le ragioni che Ian Kershaw espone in maniera convincente altrove (2000, pp. 572-587). Comunque sia, il pilota fu immediatamente localizzato. Un bracciante del posto, Donald McLean, lo raggiunse mentre si stava ancora dimenando per liberarsi dall’imbracatura del paracadute. L’uomo disse di chiamarsi Hauptmann Alfred Horn e di avere un mes- saggio importante per il duca di Hamilton. Come emerse in seguito, l’intento di Hess era di stringere un accordo di pace con la Gran Bretagna – in linea con quelli che considerava essere i desideri più profondi di Hitler – ed evitare così alla Germania di azzardare l’apertura di un secondo fronte di guerra. In realtà, Hess fu arrestato dagli uomini della Milizia Territoriale locale giunta a dare man forte a McLean (brandendo una vecchia pistola della prima guerra mondiale).

Al testo era anche acclusa una lettera di Hess, nella quale il gerarca nazista giu- stificava confusamente la pubblicazione del fascicolo che riguardava il suo caso al fine di illustrare al pubblico il ruolo che poteva avere la “seduzione” nelle questioni politiche. Hess parlava di ipnosi o suggestione post-ipnotica. I fedelissimi di Hitler, sosteneva, subirono “la cancellazione della loro volontà, presumibilmente senza ren- dersene conto”. Altri imputati al processo di Norimberga sostennero questa tesi, la quale faceva appello, implicitamente o esplicitamente, all’idea dell’irretimento dello schiavo sottomesso al carisma imperscrutabile del padrone quale spiegazione suffi- ciente: l’ovvio beneficio che comportava questo vago riferimento all’inconscio era di attenuare o addirittura rimuovere la responsabilità personale del singolo, come se le varie questioni morali e legali potessero risolversi in una discussione psicologica sul- l’attrazione inconscia verso l’onnipotente Hitler. Diversi psicologi presenti al pro- cesso di Norimberga, come Gilbert e Goldensohn, avrebbero in seguito documen- tato dettagliatamente l’utilizzo da parte dei prigionieri nazisti di questa psicologia d’accatto a mo’ di alibi o, almeno, come un modo per sottrarsi al senso di colpa (cfr. Gilbert 1947; Goldensohn 2004).

Nella sua lettera e in altre testimonianze raccolte nel volume, Hess sembrava accettare, se non addirittura goderne narcisisticamente, la sua condizione di caso speciale nell’ambito dell’élite nazista. Per via di quel volo in Inghilterra, Hess fu con- siderato un individuo affetto da disturbi mentali tanto dai nazisti quanto dagli allea- ti, anche se alla fine non fu ritenuto sufficientemente pazzo per essere esentato dal processo. Alcuni giorni dopo la sua partenza nel 1941, la radio tedesca cominciò a diffondere alcuni comunicati che decretavano la pazzia del camerata Hess, in modo da screditarlo e spiegare così il suo folle gesto7. Al suo arrivo in Inghilterra, Hess divenne immediatamente un caso clinico, e non solo per le ferite relativamente leg- gere riportate alla gamba in seguito al lancio con il paracadute. Come abbiamo già anticipato, il suo ricovero prese rapidamente anche una piega psichiatrica.

Hess si preoccupava più ogni altro della propria salute. Al suo arrivo, aveva le tasche piene di rimedi omeopatici e medicine naturali, tra cui un elisir (a quanto pare per curare problemi di cistifellea) che gli aveva dato il dottor Sven Hedin, l’esplora- tore svedese e simpatizzante nazista, il quale lo aveva a sua volta ricevuto in un monastero tibetano. Hess disponeva inoltre di un assortimento di preparati vitami- nici, tavolette di glucosio e sedativi, come era normale aspettarsi da un noto fre- quentatore abituale di medici alternativi e chiromanti.

Nel giugno del 1941, dopo che Hess saltò da una balaustra, forse in un tentati- vo di suicidio, si rese necessario rafforzare ulteriormente la sorveglianza. Insomma, la natura esatta del suo stato psicologico, della sua capacità o meno di raziocinio e della comprensione del passato, del presente o del futuro, fu un’inco- gnita sin dai primi mesi della sua prigionia. Naturalmente, nel giro di vite a cui fu sottoposta la sorveglianza di Hess entrarono in gioco anche calcoli politici. Si temeva infatti che la sua eventuale morte in prigionia avrebbe potuto volgersi a favore della propaganda tedesca.

Gli anni di prigionia di Hess in Gran Bretagna sarebbero stati contrassegnati da una continua osservazione clinica e da occasionali bollettini, dibattiti medici e curio- sità psichiatrica o psicanalitica. I medici descrissero l’ipocondria del paziente, le ten- denze isteriche e la megalomania dietro cui si celava un “complesso di inferiorità” e IL CASO RUDOLF HESS: RIFLESSIONI SULLA PSICOANALISI, LA POLITICA E IL SUPER-IO 

diani svilupparono inoltre una crescente propensione a considerare le ideologie poli- tiche contemporanee come l’espressione di forme di relazioni oggettuali più o meno primitive e più o meno punitive.

In particolare, penso alle applicazioni che di queste idee freudiane vennero fatte nell’ambito della British Psychoanalytic Society tra le due guerre, ma va altresì ricor- dato che il tentativo più autorevole di studiare il fenomeno della demagogia fascista in chiave psicanalitica proviene dalla Germania. Mi riferisco a Wilhelm Reich e al suo Psicologia di massa del fascismo (1933). Nel caso di Reich, l’accento viene posto in particolare sullo spostamento della sessualità nella politica, sull’identificazione inconscia con la figura “eroica” del tiranno e la sottomissione a essa con la conse- guente abdicazione della volontà personale. Reich riteneva il capitalismo responsa- bile dello schiacciante senso di colpa, della repressione sessuale, dell’idolatria incon- scia e del pensiero paranoide che portò al fascismo. Nell’analisi di Reich confluiro- no alienazione marxista e nevrosi freudiana.

Ad ogni modo, a prescindere dagli orientamenti politici, simili incursioni nella vita psichica dei nazisti nel periodo tra le due guerre ebbero in genere un taglio spe- culativo, frutto di un’estrema “psicanalisi selvaggia”. Essenzialmente, non si trattava di “annotazioni cliniche” raccolte nel corso delle sedute con un paziente ma di elu- cubrazioni sulle potenziali attrattive inconsce del fascismo, condotte consapevol- mente da una posizione esterna ai fenomeni in questione e talora a considerevole distanza dagli eventi stessi. In un modo o nell’altro, tali analisi tendevano a essere contrassegnate da problemi (ormai ampiamente riscontrati dagli storici critici) di astrazione, congetture fantasiose e puro e semplice determinismo. Ciò che mi inte- ressa, tuttavia, non è tanto ripercorrere gli evidenti limiti metodologici di una moda- lità sorpassata di psico-storia o di psico-biografia, quanto sostenere che tali imprese necessitano di una contestualizzazione e di una disamina storica “caso per caso”.

La peculiarità del caso Hess consisteva nel fornire le condizioni per un’esplora- zione clinica più immediata e intima della vita psichica di una figura dell’alta gerar- chia dell’entourage hitleriano. Questo non significava che tale studio fosse esente dai problemi metodologici di cui sopra, ma vale la pena esaminare con maggiore atten- zione che cosa effettivamente accadde e quali erano gli scopi che si prefiggevano i medici implicati. Un’importante fonte di informazioni utile a comprendere la natu- ra del trattamento riservato a Hess e delle teorie psicologiche implicite dei medici curanti fu la documentazione raccolta e pubblicata nel 1947 da John Rawling Rees4. Questo volume conteneva i rapporti e le osservazioni dei vari medici militari che si erano occupati di curare Hess, tra i quali, in particolare, il dottor Henry Dicks, che dedicò una vita intera allo studio della psicologia del fascismo5. Al pari di Rees, Dicks (1970) avrebbe svolto un ruolo importante nell’ambito della Clinica Tavistock, al punto da scriverne la storia.

Lo scopo di questa ricerca su Hess veniva esposto nelle pagine introduttive del volume. Al lettore si spiega che è importante studiare uomini del genere dato che l’a- zione di una piccola combriccola può avere conseguenze catastrofiche. Il che elude la questione riguardante il ruolo che una popolazione più ampia ha nell’appoggiare e perdonare le azioni di tale combriccola, portandola di fatto al potere, ma alcuni autori dello studio, come per esempio Dicks, si interessarono altrove dei rapporti tra psicologia delle masse, storia, economia e politica del fascismo6.

ca ai dottori. Si può discutere sino a che punto Hess avesse potuto effettivamente scorgere desideri di vendetta o sentimenti violenti da parte di alcuni o di tutti i suoi custodi, ma ciò che emerge chiaramente è la sua generale convinzione che la mag- gioranza di loro avesse intenzioni malvagie o sadiche nei suoi confronti e che fosse- ro incapaci di sottrarsi all’“ipnosi” esercitata su di loro da forze aliene. Parlando in seguito delle circostanze in cui si ruppe la gamba, Hess tralasciò di dire che era stato lui stesso il principale responsabile (pp. 118-1ß28, 199).

Hess lanciò spesso accuse contro gli ufficiali inglesi incaricati di assisterlo, lamen-