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«Ancora dico a te Firenze: guai, guai a te, quare occidisti

prophetam».

Fra’ Simone Cinozzi,

Expositione sopra el psalmo Verba mea auribus percipe

Baccio Carnesecchi, nella sua cronaca coeva (che poi fu utilizzata dal Varchi per la Storia Fiorentina), scrisse che «il pontefice, vista la privatione di Nic.° Capponi, mediante il quale egli haveva qualche speranza di potere comporre le cose della città et in parte a benefitio de sua et dell’honore suo, chominciò mezo a disperarsene».1

Dal punto di vista di Clemente VII, attento agli interessi della sua casata, una iniziativa di successo contro Firenze avrebbe richiesto il sostegno attivo del patriziato cittadino, di uomini come Francesco Vettori, Francesco Guicciardini, Roberto Acciaioli, Filippo Strozzi, dai quali sarebbe poi dipeso il mantenimento della restaurazione medicea. Mentre Niccolò Capponi rimaneva a capo dello stato fiorentino, costoro non si sarebbero mossi contro di lui, con il quale avevano condiviso il tentativo oligarchico che aveva condotto alla “mutazione” del 1527: e infatti fu solo con il gonfalonierato del Carducci e l’approssimarsi del conflitto che i “capponeschi” – come furono più tardi definiti – smisero di collaborare con la Repubblica e tornarono ad avvicinarsi esplicitamente alla parte medicea, con la quale del resto avevano a lungo cercato, pubblicamente e privatamente, un accordo.2

Da parte pontificia, la decisione ultima di arrivare a un accordo con Carlo V fu quindi probabilmente accelerata, se non direttamente provocata, dalla deposizione del Capponi, con il quale si erano intavolate trattative per una mediazione pacifica, e dalla sua sostituzione con il Carducci, che per appartenere alla fazione più radicale si opponeva a qualsiasi composizione con il papa Medici.3

1

La cronaca di Baccio Carnesecchi si trova in BNCF, Magliabechiano, XXV, 555, cc. 81r-98v, e a stampa in M. LUPO GENTILE, Sulle fonti inedite della Storia Fiorentina di Benedetto Varchi, in «Studi Storici» (Pisa), 1905, pp. 421-471.

2

Per il processo di trasformazione della vecchia oligarchia repubblicana, oltre al già citato VON ALBERTINI, si vedano S.BERNER, The Florentine Patriciate in the Transition from Republic to Principato. 1530-1609, «Studies in Medieval and Renaissance History», IX, 1971; R. BURR LITCHFIELD, Emergence of a Bureaucracy. The

Florentine Patricians, 1530-1790, Princeton, PUP, 1986; e R.BIZZOCCHI, La crisi del “vivere civile” a Firenze

nel primo Cinquecento, «Annali della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia», 16 (1980), pp. 87-

103 : in particolare le pp. 94-100. 3 R

D’altra parte, anche l’atteggiamento dei collegati verso la Santa Sede era stato fino a quel momento un invito ad abbracciare la causa imperiale: Venezia e Ferrara si guardavano bene dal restituire i territori sottratti alla Chiesa; mentre Francesco I era referente e protettore dei nemici del papato, non solo di Firenze e della stessa Ferrara, ma anche di Malatesta Baglioni e dell’Abate di Farfa.4

Il 9 maggio il maestro di casa del Papa, Girolamo di Schio, vescovo di Vaison, fu inviato in Spagna con il più ampio mandato per chiudere un’alleanza con l’Impero.5 Imbarcatosi il 25 maggio a Genova, il prelato giunse a Barcellona il 30, e subito iniziarono i contatti con gli agenti imperiali. Le trattative furono poi proseguite, a partire dal 10 giugno, da una delegazione formata dal Gattinara, dal De Praët e dal Perrenot, i diplomatici più abili della corte asburgica. Un primo importante risultato arrivò il 23 giugno, quando vennero conclusi i patti matrimoniali tra Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore, e Alessandro de’ Medici.6

Mentre questo accadeva a Barcellona, il quadro strategico in Italia mutava nuovamente, quando l’esercito del Saint-Pol fu sorpreso e annientato dalle armate imperiali di Antonio de Leyva a Landriano, il 21 giugno 1529, e lo stesso comandante francese catturato.7

Il 29 giugno, otto giorni dopo la battaglia di Landriano, il colpo di grazia alle speranze dei collegati arrivava dalla conclusione della pace separata tra Carlo V e Clemente VII.8 Secondo gli accordi di Barcellona, il papa avrebbe ricevuto dall’imperatore per lo Stato Pontificio le terre già passate in possesso di Venezia e del ducato di Ferrara durante la guerra (Cervia, Ravenna, Modena e Reggio); e per sé e per la sua famiglia la restituzione di Firenze.9

Il 14 luglio l’ambasciatore veneziano Carlo Cappello scriveva da Firenze al doge, informandolo delle tristi notizie ricevute dal governo fiorentino:

«Questa mattina li signori Dieci mi hanno detto che tengono avvisi certissimi dei 3 da Barcellona, né mi hanno voluto dire da chi, ma io non dubito che sieno dell’Alamanni, per li quali sono certificati che Cesare aveva concluso accordo con il pontefice; e che il detto giorno solennissimamente in una messa era stato giurato da sua maestà e dalli agenti pontificj l’osservazione delle condizioni in esso contenute; le quali però non si intendono, se non che sua

4

Il primo si dichiarava signore di Perugia, la quale formalmente era un possedimento pontificio; il secondo, al secolo Napoleone Orsini, ambiva a formare una signoria territoriale nel viterbese, sottraendolo all’influenza papale.

5 Le credenziali del vescovo, dirette a Carlo V, sono del 7 maggio: cfr. R

USCELLI-ZILETTI, I, c. 116v-117r. 6

Il documento degli accordi matrimoniali, in data 23 giugno 1529, si trova in AGS, Patronato Real. Diversos de Italia, Capitolaciones con Pontefices, 593, f. 17. Cfr. BL, Add. Mss. 28578, f. 373; CASP. Spain, 4.1, doc. 51. Un paio di settimane dopo, il 9 luglio, Carlo V legittimava motu proprio Margherita, in vista del matrimonio con Alessandro: si veda a questo proposito il documento in REAL ACADEMIA DE LA HISTORIA (d’ora in poi RAH), Colleción Salazar y Castro, A44, f. 135.

7

Pochi giorni dopo la rotta del Saint-Pol l’oratore inglese Gregorio Casale scriveva da Roma al Gran Maestro di Francia Anne de Montmorency, commentando col senno di poi che «volendo la Maestà Christianissima far guerra in Italia era necessario ch’ella si servisse di capi italiani, perché in vero voi signori francesi sete troppo valenthuomini ad havere a fare co’ Spagniuoli, i quali combattono solamente con astutia et fraude»: Casale al Montmorency, 27 giugno 1529, in BNF, Collection Béthune, Français 8588, f. 7, pubblicato in MOLINI, II, pp. 212-213.

8 Cfr. K.B

RANDI, Carlo V, Torino, Einaudi, 1961, pp. 265-266; ROBERT, I, pp. 279-280. 9

La copia dei capitoli di Barcellona in ASV, A.A. Arm. I-XVIII, 6245 e BAV, Codices Vaticani Latini, 12205, cc. 122r-144v; l’alleanza militare con l’impero, allo scopo di riportare in Firenze la famiglia Medici in ASV, A.A. Arm. I-XVIII, 6028.

maestà dà per moglie al duca Alessandro de’Medici nipote del pontefice la sua figliuola naturale con venti mila ducati d’entrata [di dote] nel regno di Napoli, e che la detta figlia, la quale si ritrova in Fiandra in età di anni otto, debba essere condotta a Roma e consegnata alla viceregina di Napoli, la qual si ha da ritrovare lì in breve, e deve stare sotto il governo di lei fino all’età di anni dodici, al qual tempo deve esser data al marito. Che in detto accordo vi è incluso Ferdinando, e riservato loco agli altri principi cristiani, ma con le condizioni che a Cesare ed al pontefice sono parse, le quali non si sanno; ma che si è giurato in nome del pontefice che subito giunto in Italia Cesare, Sua Santità farà quanto è obbligata non esprimendo alcuna particolarità».10

Per mantenere le promesse fatte a Clemente VII, che il 25 luglio giurò la pace, l’imperatore aveva messo a disposizione del pontefice parte delle forze cesaree che già si trovavano in Italia (fino ad allora impegnate in Puglia contro le armate veneziane), sotto il comando del principe d’Orange, nel frattempo divenuto viceré di Napoli.11

Il 31 luglio 1529 l’Orange giunse a Roma, per assistere in nome dell’Impero alla proclamazione solenne della pace di Barcellona e per concordare col pontefice gli obiettivi dell’imminente campagna militare.12 Dopo aver partecipato – il primo agosto – alla cerimonia di pubblicazione della pace tra il papa e l’imperatore, il principe si trattenne a Roma alcuni giorni, per trovare un accordo economico con Clemente VII e consultarsi con gli oratori cesarei presso la corte pontificia, Loys de Praët e Miçer Mai, ai quali espresse la propria preoccupazione per la scarsità di risorse economiche destinate all’impresa di Firenze.13

L’Orange aveva bisogno di soldi. Per sostenere un’armata di diecimila uomini servivano almeno cinquantamila ducati al mese. Secondo gli accordi doveva essere la Santa Sede a

10 Carlo Cappello ad Andrea Gritti, 14 luglio 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 59v-62v. 11

Secondo lo stesso Clemente VII, l’idea di un attacco militare a Firenze non sarebbe stata sua, ma sarebbe nata da parte imperiale durante le trattative che si erano svolte a Barcellona; a Roma, il Papa avrebbe poi ceduto alle insistenze del principe di Orange in merito. Cfr. la lettera da Forlì di Gabriel Merino, Loys de Praët e Miçer Mai a Carlo V, 21 ottobre 1529, in AGS, Estado, 848, f. 105, dove si ricorda anche all’imperatore come, per volontà del pontefice, la clausola del trattato di Barcellona circa la restaurazione della famiglia Medici in Firenze fosse stata tenuta segreta a Jacopo Salviati – colui che era stato l’interlocutore privilegiato di Niccolò Capponi per la ricerca di una mediazione con Clemente VII. Secondo VON PASTOR, p. 344, dubbi sull’opportunità di una

soluzione militare della questione fiorentina sarebbero stati sollevati in Curia dai cardinali Pucci e Salviati (quest’ultimo figlio dello stesso Jacopo).

Per Giovan Battista Busini, che ne scrisse in una delle sue lettere a Benedetto Varchi, (G. MILANESI, p. 64) sarebbe stato il Muscetola ad adoperarsi personalmente nel vincere i dubbi di papa Clemente. Secondo Roth,

L’ultima repubblica..., p. 214, questo ruolo sarebbe invece stato svolto dal De Praët. Che da parte degli agenti di

Carlo V vi sia stata un’opera di convincimento, magari per sconfiggere le resistenze degli ambienti curiali più moderati, non sembra affatto improbabile. In effetti la spedizione toscana rientrava nei disegni imperiali almeno dal settembre 1528, quando la certezza di concludere un accordo con il pontefice era ancora di là da venire (cfr. FALLETTI FOSSATI, I, p. 306); e sicuramente l’impresa fiorentina era stata consigliata all’imperatore anche da

Andrea Doria nella già citata lettera a Carlo V del 19 settembre 1528 (cfr. Appendice Documentaria, I).

12 Inviando a Roma l’atto di ratifica del trattato di Barcellona, l’imperatore aveva espressamente raccomandato ai suoi agenti in Italia che non si avviassero trattative coi fiorentini senza il consenso del Papa e che sulla questione si seguissero i desideri del Papa, per non contravvenire agli accordi presi: AGS, Estado, 1555, ff. 106-109, 8 luglio 1529.

13 Lettera di Loys de Praët a Carlo V, 30 luglio-4 agosto 1529, in L

ANZ, pp. 318-319; cfr. CASP. Spain, 4.1, doc. 87. Sugli aspetti economici degli accordi tra l’Orange e Clemente VII cfr. anche la lettera da Roma di Loys de Praët e Miçer Mai a Carlo V, 11 agosto 1529, in AGS, Estado, 848, f. 49. Il papa si impegnava anche a stabilire una nuova lega tra Chiesa, Firenze e Impero, e in caso di guerra Firenze avrebbe dato 15mila ducati al mese per l'esercito imperiale.

pagare i soldati imperiali per l’impresa di Firenze. Notoriamente però il papa Medici aveva la manica stretta. Nella sua Storia d’Italia Francesco Guicciardini scrisse a questo proposito:

«A Roma, dopo varie pratiche le quali talvolta furno vicine alla rottura per le difficoltà che faceva il papa allo spendere composeno finalmente che il pontefice gli desse di presente trentamila ducati, e in breve tempo quarantamila altri; perché egli, a sue spese, riducesse prima Perugia, cacciatone Malatesta Baglione, a ubbidienza della Chiesa, di poi assaltasse i fiorentini per restituire in quella città la famiglia de’ Medici; cosa che il pontefice reputava facilissima, persuadendosi che, abbandonati da ciascuno, avessino, secondo la consuetudine de’ suoi maggiori, piú presto a cedere che a mettere la patria in sommo e manifestissimo pericolo».14

L’incarico era quindi doppio, e prevedeva come prima mossa la sottomissione alla Chiesa della ribelle Perugia, alleata dei fiorentini.15 Compiuta l’impresa di Firenze, l’armata guidata dal Principe avrebbe poi dovuto dirigersi contro Ferrara (sempre che nel frattempo non si fosse spontaneamente sottomessa) e quindi riunirsi alle forze già presenti in Lombardia sotto il comando di Antonio de Leyva, e a quelle in arrivo dalla Spagna insieme a Carlo V, per schiacciare una volta per tutte la resistenza del duca di Milano Francesco Sforza e sconfiggere le armate veneziane.16

Al principe d’Orange Sua Santità promise l’investitura, a cose fatte, d’Avignone e del contado Venassino, prospettando addirittura la possibilità di un matrimonio con la piccola Caterina de’ Medici (la futura regina di Francia), che all’epoca aveva appena dieci anni e si trovava di fatto prigioniera a Firenze, chiusa in un convento.17 Tante promesse. Di soldi, pochi. Trentamila ducati non bastavano che per tre settimane, un mese se l’avvicinamento a Firenze fosse stato condotto con un’armata di dimensioni contenute. Ottenuto dal papa l’incarico (e l’anticipo) l’Orange mise insieme un esercito di poco più di settemila uomini, tremila dei quali erano lanzichenecchi tedeschi, di quegli stessi che tre anni prima erano calati in Italia agli ordini di Georg Frundsberg. A questi si aggiungevano altri quattromila fanti italiani, provenienti dai

14

F. GUICCIARDINI, Storia…, III, p. 2011. Per ROBERT, I, pp. 283-284 la cifra concordata fu di ottantamila ducati, oltre alla promessa di un premio di 150mila ducati a impresa compiuta.

15 Dagli inizi di luglio Clemente VII aveva iniziato a preparare il terreno per un’azione militare contro la città umbra. L’11 luglio era stato inviato a Perugia un ultimatum, imponendo che le truppe fiorentine abbandonassero la città. Con due brevi successivi, del 24 luglio e 5 agosto, il pontefice aveva poi invitato i Perugini a dimostrarsi fedeli sudditi della Santa Sede e a ribellarsi contro Malatesta Baglioni, che aveva abbandonato la fedeltà al pontefice per mettersi agli stipendi dei fiorentini. Cfr. ROTH, L’ultima repubblica..., p. 231; e BAGLIONI, pp. 257-261.

16 Le imprese contro Ferrara, Milano e Venezia non furono poi necessarie, perché l’arrivo in Italia dell’Imperatore condusse i potentati italiani ad aderire alla pace generale di Bologna del 23 dicembre 1529. 17 A diffondere la notizia di una possibile promessa per il matrimonio di Caterina con l’Orange – “pettegolezzo” poi ripreso dal Varchi nella sua Storia Fiorentina – sarebbe stato Filippo Valori. In un brano in cifra della lettera dell’ambasciatore Alessandro Guarini ad Alfonso I d’Este, 14 settembre 1529, in ASMo, Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 15, ins. 8, ad datam, si legge infatti che «da Philippo Valori ho inteso che c’è qualche aviso che’l Papa ha datto qualche intentione al Principe de Orangia de darle la nepote per moglie». Sulla questione non sono riuscito a trovare alcun riscontro documentario. Se mai un’idea del genere vi fu, dovette comunque svanire presto, come si evince dalla lettera dell’arcivescovo di Bari Gabriel Esteban Merino a Carlo V, 26 ottobre 1529, in AGS, Estado, 848, f. 108, dove si ipotizza per Caterina un matrimonio in Francia, col cinquantenne duca di Albany che in una precedente occasione l’aveva però rifiutata.

Sull’argomento si veda anche NARDI, II, p. 204, secondo il quale era invece l’Orange ad avere ambizioni su

Caterina, attraverso la quale avrebbe potuto dominare anche su Firenze. Anche in questo caso nessun riscontro documentario avvalora l’ipotesi del Nardi.

reparti (o come si diceva allora, dai colonnelli) agli ordini di Pierluigi Farnese, del conte Pier Maria de’ Rossi di San Secondo e di Sciarra Colonna. L’armata era poi completata da 300 uomini d’arme e 500 cavalleggeri.18

Da parte sua, secondo quanto racconta il Guicciardini, Clemente VII fornì all’armata un piccolo reparto di artiglieria, per venire incontro alle richieste del principe d’Orange: tre cannoni e alcuni pezzi di calibro minore, prelevati dagli spalti di Castel Sant’Angelo. In un secondo momento, secondo gli accordi, l’Orange sarebbe stato raggiunto anche da un altro condottiero imperiale, il marchese di Vasto, alla testa di un contingente di fanti spagnoli che erano in Puglia.