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Incamiciata a Santa Margherita, imboscata a Montopol

Sul piano militare, la risposta dei Dieci al massacro di Lastra fu immediata. Si trattava di un’incursione notturna, una “incamiciata”, secondo un uso tattico tipico delle fanterie spagnole, così chiamata perché tutti i partecipanti dovevano indossare sopra il corsaletto una camicia bianca, per riconoscersi al buio.

Nella notte dell’11 dicembre Stefano Colonna uscì da Firenze dalla porta di San Niccolò, alla testa di 500 fanti, 100 archibugieri e 400 tra alabardieri e picchieri. A questi si erano uniti anche quattrocento uomini della milizia cittadina del quartiere di Santa Maria Novella, capitanati da Alamanno de’ Pazzi. La sortita era stata preparata attentamente, approfittando del fatto che un grosso contingente imperiale aveva nel frattempo lasciato l’accampamento. Il campo nemico doveva essere investito sulle due ali e di fronte, in tempi successivi. In silenzio i fiorentini girarono attorno alle postazioni avversarie, assaltando col favore delle tenebre la zona di Santa Margherita a Montìci, che era presidiata da un altro Colonna, Sciarra. Lo Sciarra non si trovava in quel momento al campo: lo sostituiva il suo luogotenente, Giovambattista Smeraldi detto Smeraldo da Parma. Uccise le sentinelle che erano state messe alle Cinque Vie, i nemici vennero sorpresi nel sonno e passati a fil di spada. I fiorentini, nel buio, abbatterono anche la porta di una stalla di maiali, che con i loro grugniti contribuirono ad accrescere il rumore e la confusione nell’accampamento. Per gli assedianti le perdite furono gravissime. I primi tiri di fucileria, sparati dagli archibugieri fiorentini, risvegliarono completamente gli imperiali colti nel sonno.57

A tentare di arginare l’incursione accorsero prima le bande dello Smeraldi, poi i reparti dell’Orange e di Ferrante Gonzaga, sotto il tiro delle artiglierie fiorentine che Mario Orsini faceva sparare da San Francesco. Mentre la mischia divampava, seguendo il piano concepito da Stefano Colonna, da tre porte di Firenze furono fatti uscire altrettanti contingenti. Li guidavano Giovanni da Turino, che sortì da San Giorgio alla testa del suo colonnello; Mario Orsini, che invece uscì dal bastione di San Francesco; e Ottaviano Signorelli, dalla porta di San Piero Gattolino. Quest’ultimo, avanzando verso Poggio Baroncelli, veniva a cogliere sul fianco le principali posizioni dell’Orange, mentre Stefano Colonna ne minacciava il fianco opposto e gli altri due contingenti lo assalivano frontalmente. Il principe d’Orange rimase fermo con la sua guardia a Pian de’ Giullari, mandando alcune bande contro Giovanni da Turino che avanzava per la via di San Leonardo. Il conte di San Secondo, Pirro Colonna e il Savelli furono inviati contro il Signorelli; mentre il Cagnaccio e il Castaldi furono mandati a chiudere il passo a Stefano Colonna.

57 A

L’avanzata dei fiorentini venne così fermata, mentre non fu fermata la strage, che proseguì per un paio d’ore, perché le posizioni avanzate degli imperiali si trovavano ormai accerchiate e senza speranza di soccorso. I rinforzi fiorentini gettarono ulteriore scompiglio tra gli imperiali, e forse li avrebbero addirittura cacciati dal proprio campo se non fosse stato dato il segnale della ritirata.58 Il ripiegamento prematuro, forse deciso per non mettere a rischio i reparti, non fece guadagnare il successo che sarebbe potuto arrivare. Il blitz fuoriporta era comunque costato agli imperiali duecento morti; nemmeno uno ai fiorentini, che ebbero soltanto pochi feriti. Sorpreso dall’audacia dei difensori, il principe d’Orange ordinò la costruzione di nuove difese, nuovi fossati, nuove fortificazioni: di fatto, l’assedio di Firenze si stava trasformando in una guerra di trincea.59 Raccontando quanto accaduto in una lettera indirizzata al proprio fratello, il veneziano Vincenzo Fedeli (segretario dell’ambasciatore Cappello e lui stesso futuro ambasciatore a Firenze) descrisse efficacemente la situazione che si era venuta a creare nel confronto ossidionale: i nemici «stano così assediati come noi di dentro». 60

I giorni immediatamente successivi l’azione di Santa Margherita furono frenetici per Mario Orsini, che con frequenti azioni di disturbo continuò a molestare gli alloggiamenti del principe d’Orange sui colli di Arcetri. Purtroppo il 16 dicembre il valoroso capitano trovò la morte per un colpo di colubrina sparato dagli imperiali dai colli dirimpetto al Gallo, all’altezza della villa dei Lanfredini. L’Orsini stava compiendo un’ispezione ai bastioni insieme a Malatesta Baglioni e ad un altro valido capitano, Giorgio da Santa Croce. Mentre i tre si trovavano a colloquio il colpo d’artiglieria atterrò il pilastro di un pergolato, che crollò sui presenti. L’Orsini e il Santa Croce morirono, il Baglioni – che si era appena allontanato di pochi passi – ebbe solo qualche graffio. Per i due eroi della Repubblica furono stabilite esequie solenni, alle quali parteciparono duemila frati, preceduti in una lunga processione da cento poveri, ognuno con una torcia in mano. L’Orsini fu poi sepolto nella basilica di Santo Spirito, il Santa Croce in quella di San Marco.61

Negli stessi giorni tuttavia anche il campo imperiale perse uno dei suoi uomini migliori, che oltretutto non era nemmeno un guerriero, bensì un amministratore: il conte milanese Girolamo Morone, commissario generale dell’esercito imperiale.

Il Morone, che appena pochi anni prima aveva ordito una cospirazione contro Carlo V, era poi stato perdonato dall’imperatore.62 Nell’armata imperiale il suo ruolo non era certo secondo a quello dell’Orange: anzi forse era quasi più importante, perché il Morone era la “mente” della logistica, l’uomo incaricato di tessere e mantenere la rete di rapporti e relazioni che dovevano

58 V

ARCHI, I, pp. 705-707, sostiene che sarebbe stato Malatesta Baglioni a far suonare la ritirata, sprecando così la bella occasione di vittoria. Cfr. NARDI, II, pp. 188-189 e AMMIRATO, VI, p. 138, secondo i quali fu invece il Colonna, capendo di aver perso l’effetto sorpresa, a ordinare il ripiegamento. Pare in effetti più logico che l’ordine di ritirarsi sia stato dato dal comandante dell’operazione sul campo, cioè dal Colonna, piuttosto che dal Governatore generale che rimase a Firenze e non poteva certo seguire lo svolgimento dell’azione.

59 R

OBERT, I, pp. 339-340; BAGLIONI, pp. 294-295. 60

Vincenzo Fedeli al fratello Giovan Battista, 12 dicembre 1529, in SANUTO, LII, col. 379. 61 V

ARCHI, I, pp. 709-710.

62 Sulla vita del Morone cfr. C.T.D

permettere all’armata di ottenere viveri, munizionamenti e ogni altro tipo di aiuto senza dover saccheggiare il territorio fiorentino o (peggio) quello contermine dell’alleata Repubblica di Siena. Il Morone si era unito all’esercito solo alla fine di settembre, raggiungendo l’Orange quando questi era accampato a Figline. Ma il 15 dicembre il conte morì improvvisamente, forse per un colpo apoplettico: lasciando la logistica dell’armata proprio quando lo sforzo di mantenere l’assedio iniziava a farsi più duro.

Intanto però a Firenze arrivavano grandi notizie dal contado. Il 13 dicembre, tra Montopoli e Palaia, le truppe del Ferrucci avevano sbaragliato un consistente reggimento imperiale, il colonnello di Pirro Colonna. L’azione – concepita «solo per vendicare la Lastra» – fu ricostruita dallo stesso Ferrucci in due dei suoi dispacci a Firenze, scritti l’uno a poche ore di distanza dall’altro:

«Magnifici Domini. Questa hora che siamo a ore xx tegnamo nuove, che avendo mandate le gente nostre alla factione disegnata più tempo fa, et solo per vendicare la Lastra, et in buona forma, l’abiamo vendicata: et questo è, che avendo indizio che il colonnello del signor Pirro veniva a campo a Montopoli li feci taglare la strada et andarsi amboscare fra Montopoli et Palaia, et quivi dettero drento con grande uccisione di loro, et ànnoli rotti et fracassati, et ammazati la più parte di loro. Et è prigione il signore Baldassarre dalla Staffa perugino, el capitano Bartolommeo Spiriti da Viterbo, el capitano Filippo Lombardo; e ‘l capitano Cesta da Siena morto, et stassi in dubio del signor Pirro se è morto o no; et da prigioni et morti circa CC».63

Quella di Montopoli fu una battaglia che ebbe ampia eco in città, anche perché aveva visto sconfitto e umiliato uno dei più temuti comandanti imperiali. Nello scontro erano morti tra 150 e 200 soldati nemici; altri 100 erano stati catturati, e tra questi cinque capitani, altrettanti alfieri e tamburini, e lo stesso luogotenente del Colonna, Baldassarre della Staffa. La preda non era stata da meno: secondo quanto riferì il Ferrucci, numerosi «buoni cavalli; et molta bella armeria, con di molti arcobusi» Da parte fiorentina i morti furono soltanto quattro, ai quali andavano aggiunti però numerosi feriti. Tra le perdite, Ferrucci segnalò alla Signoria il nome di Piramo da Pietrasanta, «un de’ più fidati e valenti uomini che facesse questo mestiero». In ogni caso, quella di Montopoli fu una vittoria netta, «tanto che, si può dire non rotto il colonnello del signor Pirro, ma fracassato». Pirro Colonna in realtà non era morto, come sembrava in un primo momento: ma mancò poco che fosse fatto prigioniero dai fiorentini, e si salvò solo per miracolo cadendo in un fossato, riuscendo poi a fuggire.

Il successo fiorentino non era nato dal caso, e anzi era il coronamento di una delicata operazione di intelligence. A informare Ferrucci dei movimenti delle truppe imperiali erano state le sue «buone spie», che lo avevano informato dell’intenzione del Colonna di uscire da Palaia per andare ad attaccare Montopoli. In un secondo rapporto inviato a Firenze, il Ferrucci spiegava:

«Subito che io seppi che volevano uscire questa mattina, anticipai il tempo et iersera a ore V di notte feci uscire tutte le bande et li cavalli, facendoli marciare a quella volta; né mai comunicai con persona, né sapevano nessuno delli nostri capitano quel s’andavano affare, salvo che Piero Orlandini nostro».64

Fu proprio l’Orlandini, che qualche mese dopo avrebbe trattato la resa di Empoli agli imperiali, a condurre l’azione sul campo. Giunto nei pressi di Montopoli, l’Orlandini fece uscire dal paese le due compagnie di fanteria che vi si trovavano, che agli ordini di Michele da Montopoli si aggregarono a quelle uscite da Empoli insieme alla cavalleria. Unite le forze, l’Orlandini preparò quindi l’agguato. Secondo il racconto del Ferrucci, i fiorentini calarono sulla colonna nemica mentre questa si trovava in ordine di marcia, con tamburi rullanti e bandiere spiegate. L’urto più duro fu quello subito dalla fanteria senese, che si era unita al colonnello di Pirro Colonna ed era comandata da Cesta da Siena: il capitano morì, la sua banda fu completamente annientata. «Ammazzatine buon numero – aggiungeva il Ferrucci in una lettera del 15 dicembre – el restante si messe in fuga per quelle macchie; et li villani calorono a partito vinto; et sapendo il paese, et li passi, li ànno quasi tutti ammazzati: et così in parte s’è ito vendicando la Lastra».65 Aderendo alla mala guerra, Ferrucci scrisse a Firenze che era sua intenzione non fare più prigionieri, e che anzi avrebbe punito severamente chi li avesse fatti. Quei nemici che fossero sopravvissuti alla battaglia e catturati, cioè

«quelli tanti che aranno passati il primo vaglio non passeranno il secondo, perché li appiccherò per la gola; et particolarmente tutti li Sanesi, che sento ce n’è alquanti. Dal fatto della Lastra in qua, ò giurato a Dio, che tutti li soldati che non aranno amazzati li prigioni che e’ piglino, che io li appiccherò: et così lo atterrò loro».66

Quello che Ferrucci non riuscì a fare, e lo ammise lui stesso, fu sfruttare il successo. Dopo la disfatta degli imperiali, sia Palaia sia Peccioli avrebbero potuto cadere nelle mani della Repubblica in poche ore. Ma il commissario fiorentino non disponeva di sufficienti forze, e dunque non gli restò che far rientrare le truppe, dandosi cura di tenere le vie di collegamento con Firenze il più possibile sgombre dalla presenza nemica.

64 Francesco Ferrucci ai Dieci, 13 dicembre 1529 (2): in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 149, cc. 314r-315r. Il giorno seguente i Dieci risposero congratulandosi col Ferrucci per «la victoria ottenuta contra il signor Pirro» : ASF, Dieci di Balìa. Missive, 104, c. 129rv.

65 Francesco Ferrucci ai Dieci, 15 dicembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 150, c 18rv. 66 Ibidem.

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