«Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace. Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà. Ma se non vuol far pace con te e vorrà la guerra, allora l'assedierai».
Deuteronomio, 20
Nella seconda metà di agosto 1529 il principe d’Orange aveva iniziato a raccogliere le proprie truppe a Terni, mentre la fanteria spagnola accorsa dal meridione si era già concentrata a Foligno.1 L’Orange raggiunse prima Spoleto, con 1300 cavalli: la città gli aprì le porte senza opporgli resistenza. Per entrare in Toscana era necessario attraversare il territorio perugino, difeso da Malatesta Baglioni con tremila uomini al soldo dei fiorentini. Dopo aver preso con facilità Assisi, Bevagna e Montefalco, per aprirsi il passo verso Perugia il principe assalì con un contingente di seimila fanti il castello di Spello, la cui difesa era diretta da Leone Baglioni, fratello naturale di Malatesta e arciprete della cattedrale, e dal capitano Paoluccio da Perugia.2 Il 28 agosto le artiglierie imperiali aprirono il fuoco contro le mura della città: poi, nella notte del 29 agosto, iniziò la battaglia. Il primo assalto venne respinto, e il giorno seguente – durante una ricognizione sotto le mura per stabilire come rinnovare l’assalto – rimase mortalmente ferito alla gamba Juan de Urbina, uno dei più validi strateghi dell’esercito imperiale e luogotenente del principe.3 Il primo di settembre Spello capitolava senza opporre ulteriore resistenza. Così racconta i fatti il Guicciardini:
«Piantoronsi poi l’artiglierie a Spelle, dove, sotto Lione Baglione, fratello naturale di Malatesta, erano piú di cinquecento fanti e venti cavalli: ma essendosi battuto pochi colpi a una torre che era fuora della terra a canto alle mura, quegli di dentro, ancora che Lione avesse dato a Malatesta speranza grande della difesa, si arrenderono subito, con patto che la terra e gli uomini suoi restassino a discrezione del principe, i soldati, salve le persone e le robbe che potessino
1 Gli argomenti di questo capitolo, e di parte del successivo, hanno avuto una prima trattazione in A.M
ONTI,
Quel felicissimo esercito. L’armata di Carlo V in Valdarno (settembre-ottobre 1529), «Memorie Valdarnesi»,
serie IX, n. 1 t. I, 2011, pp. 39-67. 2
ROBERT, I, pp. 295-296.
3 Juan de Urbina (1486-1529), ricordato come uno dei catturatori di Francesco I, fu uno dei più brillanti soldati spagnoli attivi nelle guerre d’Italia: la sua carriera militare iniziò in giovane età nel 1502, come semplice soldato al servizio del Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba. Alfiere della fanteria pontificia nel 1507, capitano in quella spagnola dal 1512, la sua carriera raggiunse l’apice dopo Pavia: negli anni seguenti fu conte di Borgonovo, signore della Sforzesca e del Giardino di Milano e Maestro di Giustizia del Regno di Napoli.
portare addosso, uscissino con le spade solo, né potessino per tre mesi servire contro al pontefice o contro a Cesare; ma nell’uscire furono quasi tutti svaligiati».4
Mentre Perugia assisteva alla caduta di Spello e attendeva l’arrivo degli imperiali, Firenze – informata delle mosse dell’Orange – aveva inviato a Malatesta due commissari: Bernardo da Verrazzano e Francesco Ferrucci, che gli conferirono ufficialmente il comando delle truppe e portarono in dote 5000 ducati di provvigione.5 La Repubblica si era detta decisa a inviare anche un contingente di ulteriori 3000 uomini, a rinforzare quello già presente nella città umbra. Poi però prevalse il timore di perdere il proprio esercito prima ancora di potersi difendere: e la città umbra venne abbandonata al proprio destino.
Dopo aver preso Spello, l’Orange aveva intanto iniziato la sua marcia di avvicinamento a Perugia. A Ponte San Giovanni, pochi chilometri fuori dalla città, il suo contingente fu raggiunto dalla fanteria spagnola agli ordini del marchese di Vasto. Alfonso d’Ávalos, marchese di Vasto, era anch’egli un giovane condottiero, coetaneo dell’Orange e già veterano delle guerre d’Italia. Nato nel 1502 a Ischia, definito «di virile bellezza» dalle cronache dell’epoca, come molti altri principi–guerrieri che vissero in quegli anni travagliati non fu soltanto un soldato: si occupò anzi anche di belle lettere, scrivendo poemi, liriche e sonetti, e fu amico di Ludovico Ariosto.
Radunato tutto il suo esercito (che, con i rinforzi del D’Ávalos, ammontava adesso a dodicimila uomini), e non volendo perdere il suo tempo in un assedio, l’Orange avviò trattative con il Baglioni, invitandolo a sgomberare la città.6 In cambio gli venne assicurato il perdono del papa, il mantenimento della signoria di Perugia a lui e alla sua famiglia, l’integrità territoriale del proprio stato, la conservazione dei privilegi della sua casata e allo stesso tempo la possibilità di continuare a servire la Repubblica fiorentina. I capitoli di resa vennero messi per iscritto, articolo per articolo: Baglioni, dopo aver chiesto il consenso della Signoria – ma prima di aver ricevuto risposta7 – il 10 settembre accettò le proposte del principe, il quale scrisse a Roma informando il pontefice che «finalmente si sono firmati con Malatesta Baglione li capituli che V. S.tà vedrà per copia che li monstreranno mons. De Prat et mons. May oratori cesarei», dei quali chiedeva supplicando la ratifica «per non lassarme mancare de la fede mia». 8
4
F. GUICCIARDINI, Storia…, III, pp. 2014-2015.
5 Bernardo da Verrazzano era stato l’ufficiale di collegamento fiorentino con il Baglioni almeno dal novembre 1528, ed era tornato a Perugia anche alla fine di marzo e nella seconda metà di luglio del 1529. Quella del Ferrucci, personaggio di cui approfondiremo la vita e le azioni più avanti, era invece la prima missione a Perugia: l’incarico gli venne conferito dai Dieci il primo settembre 1529. Le patenti del Verrazzano (per le missioni precedenti) e del Ferrucci sono in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 108, cc. 85r; 93v; 101r; 111v.
6 Secondo gli ambasciatori imperiali a Roma, Malatesta sarebbe stato in trattative col principe d’Orange fin dai primi d’agosto, offrendosi di entrare al servizio dell’Impero: cfr. la già citata lettera di Loys de Praët e Miçer Mai dell’11 agosto 1529 e quella di Miçer Mai a Carlo V, 25 agosto 1529, in AGS, Estado, 848, f. 30.
7
AMMIRATO, VI, p. 131.
8 Filiberto di Chalon a Clemente VII, 11 settembre 1529, in ASV, Segreteria di Stato. Principi, 6, c. 74r. Il testo degli accordi di Perugia in ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA, Comune di Perugia. Consigli e Riformanze, 131, cc. 175v-176r; una copia anche in BNCF, Fondo Ginori Conti, 29, 86; a stampa in VERMIGLIOLI, appendice, documento XIV. Un protocollo aggiuntivo agli accordi di resa, portato a Roma nei giorni successivi da Galeazzo Baglioni, puntualizzava meglio i benefici che Malatesta avrebbe ottenuto dalla restituzione di Perugia, tra i quali
Due giorni dopo, alla testa delle sue milizie e del contingente fiorentino, Baglioni partì alla volta della Toscana, rassicurato dalla promessa dell’Orange di concedergli 48 ore di vantaggio; «e camminando con grandissima celerità – scrive ancora il Guicciardini – si condussero il dì medesimo a Cortona per la via de’ monti, lunga e difficile, ma sicura».9 La ricerca di un accordo, prima di dare l’assalto a una città, era prassi comune nelle usanze militari e diplomatiche dell’epoca; ma sebbene, come avrebbe poi ricordato il Busini, la Pratica non fosse contraria a che Malatesta si accordasse «il meglio che poteva per le cose di Perugia»,10 gli accordi sottoscritti contribuirono non poco a creare la diffidenza con la quale durante i mesi dell’assedio i fiorentini avrebbero guardato al loro condottiero. «Il signor Malatesta pareva pure che desse orecchio agli uomini del principe d’Orange, onde le Signorie Loro non sono senza sospetto che il detto signor Malatesta sia per acconciare le cose sue», scrisse l’ambasciatore veneto Cappello al suo Doge a Venezia.11 In fondo, Malatesta era in una botte di ferro: suddito del pontefice in quanto signore di Perugia – che rientrava nei possedimenti della Chiesa – combatteva contro le milizie imperial–papaline, con le quali aveva però stretto un patto sul proprio futuro. Una situazione ambigua, di interessi in conflitto, che sebbene ben nota ai vertici repubblicani (e forse volutamente cercata), fece sospettare più di una volta il tradimento ai cittadini, ai Signori, e agli storici che si sono occupati della questione nei secoli seguenti.12 Gli ambasciatori imperiali a Roma, invece, sospettavano il contrario, che il Baglioni non si potesse corrompere facilmente. Sebbene fossero in corso trattative con Malatesta, tramite un suo agente, per condurlo al servizio dell’imperatore, e per quanto questo esito potesse essere augurabile, si riteneva che non si sarebbe giunti a un accordo prima della conclusione dell’impresa fiorentina: perché Malatesta, scrivevano, è un «hombre de bien», un uomo d’onore, e voleva stare con i fiorentini fino all’ultimo.13
anche la mano della figlia del duca di Camerino per suo figlio Rodolfo: cfr. BNCF, Magliabechiano, XXV, 535, cc. 43-44. L’accordo venne ratificato con breve pontificio del 19 settembre 1529, col quale papa Clemente VII, oltre a confermare i privilegi e le prerogative di Casa Baglioni, concedeva a Malatesta anche la piena assoluzione dai reati eventualmente commessi fino a quella data (VERMIGLIOLI, appendice, documenti XIV – XVI).
9
F. GUICCIARDINI, Storia…, III, p. 2022. 10 G.M
ILANESI, p. 78.
11 Carlo Cappello al Doge Andrea Gritti, 9 settembre 1529, in ASF, Carte Strozziane. Serie seconda, 31, c. 102rv.
12 La questione del “tradimento” di Malatesta, che in sé per sé può apparire ai nostri occhi aneddotica e persino un po’ folkloristica, è stata affrontata in un modo o nell’altro anche dai commentatori più attenti. Per fare solo qualche esempio FALLETTI FOSSATI, I, pp. 104-105 e BAGLIONI, pp. 267-269 hanno sottolineato la sostanziale correttezza di Malatesta, che riuscì a “quadrare il cerchio” salvando Perugia dalla distruzione e allo stesso tempo portando in salvo le truppe che servivano alla difesa di Firenze. ROBERT, I, pp. 293-300 e ROTH, L’ultima
repubblica..., pp. 239-240, sulla base anche di inedita documentazione archivistica hanno rinfrescato l’ipotesi del
tradimento, sostenendo che il Baglioni fosse in contatto col principe d’Orange, al quale aveva reso noto la propria disponibilità a trattare, ancor prima dell’inizio delle operazioni militari. Per GATTONI, p. 270, questi contatti divennero però significativi soltanto a settembre, quando l’esercito imperiale già si muoveva nei dintorni di Perugia.