Febbraio fu anche il mese nel quale si realizzò il disegno di Carlo V. Nel giorno del suo trentesimo compleanno, nella basilica di San Petronio, Carlo fu incoronato da papa Clemente come imperatore dei Romani (titolo che del resto aveva già assunto con la scomparsa del nonno Massimiliano nel 1519, per volontà della Dieta imperiale).
Che l’incoronazione potesse svolgersi a Bologna, anziché a Roma, era un’ipotesi ventilata sin da quando la città emiliana era stata scelta come sede dei colloqui tra il papa e l’imperatore. Carlo avrebbe preferito Roma per ricevere la corona imperiale, anche perché si temeva che la scelta di una città, diversa per quella che tradizionalmente era la sede della cerimonia potesse
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ARCHI, II, p. 37. 6
L.ARTUSI –R.SEMPLICI –L.GIANNELLI, Il corteo della Repubblica Fiorentina. L'assedio e il calcio fiorentino
1529-1530, Firenze, Scramasax, 2002, pp. 30-31.
essere in futuro causa di contestazione. Ancora l’11 gennaio, Carlo ventilava l’ipotesi romana scrivendo al fratello Ferdinando; ma le pressioni di quest’ultimo perché si accorciassero i tempi, fecero optare definitivamente per Bologna.8
In effetti, quella che si svolse nella città emiliana fu una doppia incoronazione: l’Asburgo cinse infatti prima la corona ferrea dei re d’Italia longobardi; poi, un paio di giorni dopo, quella d’oro dell’Impero.9 Il 20 febbraio, in una Bologna strettamente sorvegliata dall’esercito imperiale comandato dal De Leyva, arrivò da Monza la corona ferrea, che Carlo avrebbe ricevuto il 22, in una cerimonia privata – ma non meno sontuosa di quella di due giorni dopo – che si svolse nella cappella di Palazzo Pubblico.
Della giornata del 24 febbraio conosciamo numerosi particolari. L’incoronazione di Bologna, carica di momenti rituali e suggestivi che colpirono la fantasia degli osservatori, è ricordata in molteplici cronache e narrazioni: si tratta forse di una delle cerimonie meglio documentate (e più studiate) dell’età moderna, comunemente considerata il momento in cui Carlo V diede una forma conclusa alle cose d’Italia, l’evento che vide sfilare – accanto ai Grandi di Spagna – l’intero mondo feudale italiano.10 Per l’occasione, la cui eccezionalità non sfuggì ai contemporanei, la città era stata addobbata di coreografie, fondali e monumenti precari che dovevano renderla simile a Roma: la basilica, sia all’interno sia all’esterno su Piazza Maggiore, era stata camuffata per somigliare alle grandi chiese romane di San Giovanni e San Pietro.
Così racconta una testimonianza conservata in un manoscritto dell’Archivio di Stato fiorentino, abbastanza sintetica per essere citata nella sua interezza:
«Il Papa uscì di Palazzo a ore 14 accompagnato da tutti i Cardinali, Vescovi, e Prelati, et se ne andò alla Chiesa di San Petronio onde si partirno Cardinali Ridolfi, e Salviati, et andorno per usare con il quale uscì quasi tutti gl’Ambasciadori suoi Baroni, e gran Personaggi, et uscì per una finestra del Palazzo perché era fatto un palco alto da detta finestra sino alla Chiesa Coronato della Corona di Ferro che haveva havuto la Domenica davanti et avanti a Sua Maestà il primo era il Marchese di Monferrato che portava lo scettro. Dietro a detto Marchese seguiva il Duca d’Urbino che portava lo stocco. Dietro al Duca seguiva il Duca di Baviera che portava il Mondo, e ditro gli seguiva il Duca di Savoia che portava la Corona, e poi Cesare, ma tutti quei quattro erano ornati di gioie et altri ornamenti che si richiede a tal Ceremonia et per quello che si intese il Duca d’Urbino haveva in capo certo ornamento con i bendoni come portano i Vescovi et arrivati nel mezzo del Palo vi era un tempio a similitudine di San Giovanni Laterano di Roma con li canonici dove entrò Cesare e fu fatto Canonico, et vestito l’habito et se ne entrò in San Petronio dove fù unto et messo il manto et fatta la confessione fu condotto a sedere in una sedia et il Papa in un’altra quella del Papa in mezzo della Chiesa et quella di Cesare un poco così da canto tra la Pistola et il vangelo.
Furono fatte tutte le ceremonie, cioè presentato quello scetro, stocco, et mondo, et incoronato. Poi comunicato il Papa comunicossi Cesare, et finita la messa essendo usciti di Chiesa il Papa montò a cavallo et Cesare gli tenne la staffa et prese poi la beneditione et andò più passi alla staffa al Papa il quale sforzandolo che montassi anco lui a cavallo montò sua Cesarea Maestà a cavallo et entrato sotto il medesimo baldacchino se ne andorno di compagnia a Palazzo e fu
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UIZ MARTIN, p. 549.
9 Esisteva una terza corona, quella d’argento di re di Germania, che Carlo aveva già assunto nel 1519 insieme al titolo di imperatore.
10 Sulla ritualità della cerimonia e sulle sue suggestioni si veda R.R
IGHI, Carlo V a Bologna: l’incoronazione del
finita questa ceremonia. Da alcuni altri s’intese che il Papa faceva nelle prossime quattro tempora dodici cardinali da quali cavava 300 milia scudi».11
Carlo, insieme al suo esercito, avrebbe poi lasciato Bologna esattamente un mese dopo, il 23 marzo, dopo aver inutilmente atteso nella speranza che una risoluzione delle cose di Firenze gli permettesse di portare con sé parte dell’esercito dell’Orange.12 Passando per Mantova (dove l’8 aprile elevò Federico Gonzaga al rango di duca), poi per Peschiera e Rovereto, giunse infine nella città imperiale di Trento, dove si trattenne un altro mese prima di attraversare le Alpi diretto ad Augusta. Clemente VII partì invece il 31 marzo, e arrivò a Roma il 12 aprile 1530. Quello che era nato a Bologna era un nuovo assetto dei rapporti tra le potenze italiane. Lasciando la città emiliana, il pontefice abbandonava anche la linea politica che era stata dei suoi predecessori almeno dai tempi di Alessandro VI: ne usciva infatti ridimensionata l’ambizione a fare del papato il perno delle alleanze per la libertà d’Italia. Al contrario, Carlo V era riuscito ad affermare un nuovo ruolo dell’Impero, come garante della pace; e sul piano personale aveva avvalorato una nuova immagine, quella del pacificatore.13 Per cinque mesi Bologna era stata sede sia dell’Impero sia del Papato. Una nuova Roma, dove il potere laico e quello spirituale erano tornati a congiungersi. «Per l’ultima volta – ha scritto a questo proposito Karl Brandi – il mondo vide le due supreme dignità, quella pontificia e quella imperiale, nel loro pieno splendore, così come le raffiguravano numerosi affreschi nelle chiese e nei palazzi italiani».14