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Lorenzo Carnesecchi, “il gran soldato”

Mentre a Empoli Francesco Ferrucci dava inizio alle gesta che gli avrebbero dato la fama, in una remota parte del dominio un altro commissario fiorentino stava scrivendo pagine non meno nobili nella storia militare della Repubblica. Era il commissario di Castrocaro, Lorenzo Carnesecchi, che per le sue imprese sarebbe diventato noto come «il secondo Ferruccio», secondo una felice definizione datane da Benedetto Varchi.30

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Il Piloso aveva partecipato all’assalto di Cortona, depredando Carlo Bagnesi; il quale, avendo appreso della sua cattura, chiese la restituzione di alcuni oggetti : ASF, Dieci di Balìa. Missive, 104, cc. 74v-75r.

27 Francesco Ferrucci ai Dieci, 25 novembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 148, c. 192rv. 28 Francesco Ferrucci ai Dieci, 30 novembre 1529 : ivi, c. 324rv.

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I Dieci a Francesco Ferrucci, 29 novembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 104, c. 98v. 30 Per questo paragrafo mi permetto di rimandare ad A. M

ONTI, Carnesecchi, il “Gran Soldato” della

Esponente di una famiglia di antica nobiltà, attestata fin dalla fine del Duecento, Lorenzo di Zanobi Carnesecchi era nato il 30 novembre 1482, e nei giorni dell’assedio aveva quindi 47 anni: la sua famiglia aveva casa in quello che ancor oggi si chiama Canto de’ Carnesecchi, e possedimenti a Fucecchio e Cerreto Guidi. Nominato il 6 maggio 1529 alla carica di capitano e commissario generale della Romagna, il Carnesecchi aveva lasciato Firenze il giorno 8, ed era arrivato a Castrocaro il 10.

Castrocaro era stato acquistato definitivamente ai domini fiorentini nel 1403, a conclusione di un’espansione territoriale verso i territori romagnoli oltre l’Appennino che era iniziata già negli anni Quaranta del Trecento. Dopo Marradi, Palazzuolo sul Senio, San Benedetto, Modigliana, Rocca San Casciano e Portico, l’acquisizione di Castrocaro aveva dato modo a Firenze di ampliare i propri confini in direzione dell’Adriatico, insediandosi nel cuore della Romagna pontificia a un passo dalla fondamentale via di comunicazione rappresentata dalla via Emilia. Si era formata così la Provinciae Florentinae in partibus Romandiolae, quella che fino agli anni Venti del secolo scorso, e anche oltre, sarebbe stata conosciuta con la definizione di Romagna Toscana, o Romagna Fiorentina. Solo nel 1929, infatti, queste regioni sarebbero state staccate – per iniziativa del governo fascista – dalla provincia di Firenze, per entrare a far parte di quella di Forlì.31

Arrivato a Castrocaro, il Carnesecchi iniziò immediatamente a munire e riattare la rocca, un possente edificio medievale, con tre giri di mura, che ancora oggi ci appare – dopo un accurato restauro durato 18 anni, dal 1982 al 2000 – come dovette vederlo il commissario fiorentino. «Castrocaro – scriveva qualche tempo dopo il Carnesecchi ai Dieci – ha molto debole e dolorose mura, il sito non è che buono e con lo appoxio della murata la quale ogni dì si va assettando penso saremmo per obstar etiam a grossa banda».32

Nei mesi che precedettero l’inizio delle ostilità vennero riadattati anche i castelli di Galeata, di Marradi e di Modigliana. In tutto, secondo il conto fatto dallo stesso commissario fiorentino il 10 agosto, le forze impiegabili ammontavano a un migliaio di uomini, sparsi nelle quattro guarnigioni principali e in parte negli altri castelli della zona. Tutti però «paesani», sui quali il Carnesecchi faceva poco conto, perché sempre pronti a gettar le armi per salvare la propria roba e le proprie abitazioni.

Con i pochi denari a disposizione (una mancanza di contante che accompagnerà tutta la sua avventura militare) il commissario fiorentino riuscì anche ad assoldare un centinaio di mercenari. Ottanta di questi furono impiegati come guarnigione nella rocca; gli altri 20 furono mandati a presidiare il piccolo avamposto di Monte Poggiolo, una struttura fortificata di antichissima origine riadattata da Giuliano da Maiano, sul finire del Quattrocento, alle nuove esigenze della guerra. Per pagare questi uomini, scriveva il Carnesecchi a Firenze, «fo conto

31 G. M

INI, Illustrazione storica dell’antico castello di Castrocaro, Modigliana, Valgimigli, 1889 (ristampa anastatica, Bologna, Atesa, 1980). Elio ed Elisabetta Caruso hanno recentemente tracciato un inquadramento generale della storia del borgo romagnolo in E.CARUSO-E.CARUSO, Castrocaro nel Rinascimento. Il capoluogo

della Romagna Toscana tra Quattrocento e Cinquecento, Cesena, Ponte Vecchio, 2007.

fare alla veneziana, cioè dare loro uno scudo per huomo e intrattenerli con parole al meglio si potrà».33

Per consentire l’afflusso di derrate verso i territori fiorentini, il Carnesecchi aveva ingaggiato una lotta senza quartiere contro Lionello Pio da Carpi, presidente (cioè governatore) della Romagna pontificia. Questi, servendosi di truppe regolari pontificie appoggiate dalle consorterie locali di parte ghibellina, assaliva i convogli di rifornimenti spingendosi fino in Mugello e arrivando non di rado fin sotto le mura di Firenze. Inoltre Lionello Pio – che disponeva di forze molto maggiori di quelle del Carnesecchi, un centinaio di cavalli e circa 2300 uomini, che poi arrivarono ad essere cinquemila – era stato incaricato di assumere il controllo delle terre fiorentine in Romagna e per questo motivo si era presentato più volte sotto le mura di Castrocaro per ottenerne il possesso. Ma era stato sempre respinto. Carnesecchi, secondo Benedetto Varchi,

«fece quello in questa guerra, il che non pareva che fare si potesse; perciocchè egli con poca gente e meno danari da pagarla, ma bene con molta industria e maggiore animosità, venne più volte alle mani colle genti del signor Leonello da Carpi presidente della Romagna ecclesiastica, e sempre diè loro delle busse».34

A dispetto della loro marginalità nel quadro complessivo del conflitto, le imprese del Carnesecchi come difensore della causa repubblicana furono già dai contemporanei equiparate a quelle del Ferrucci. Papa Clemente, secondo il racconto del Varchi, era letteralmente angosciato dalle imprese di questi due personaggi,35 e sulla testa di entrambi sarebbero state poi messe delle taglie.

Quella che iniziò nelle Romagne, per proseguire fino all’inizio della primavera del 1530, fu una guerra fatta di imboscate e rapidi spostamenti delle poche truppe disponibili, che dopo aver colpito rientravano nelle sicure basi rappresentate dalla fortezza di Castrocaro e dagli altri castelli del dominio fiorentino. Carnesecchi conduceva insomma una guerra attiva, di movimento, ben diversa dalla “guerra stanca”, di trincea, che si stava iniziando a combattere sotto Firenze. Era un po’ quello che stava facendo Ferrucci nel basso Valdarno, ma con ancora meno mezzi a disposizione, e in una situazione di quasi totale isolamento dalla città, visto che il Mugello era ben presto caduto nelle mani degli imperiali. 36

Agli inizi di settembre era opinione generale – riferiva il Carnesecchi nei suoi rapporti ai Dieci – che gli eserciti papalini si sarebbero riuniti a Faenza per poi marciare sui possedimenti fiorentini. Ma lungo quale direttrice non si sapeva, e così il commissario di Castrocaro si trovava costretto a tenere disperse le proprie forze, pronte a muovere su qualsiasi località si fosse sviluppato l’attacco. In realtà, almeno per i primi tre mesi di guerra, dalla metà di agosto

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Lorenzo Carnesecchi ai Dieci, 12 agosto 1529, a stampa in BORGIA LOTTI, p. 21. 34

VARCHI, II, p. 100.

35 Ibidem. «Né si potrebbe dire quanto i felici successi del Ferruccio l’affliggevano continuamente, né meno quegli di Lorenzo di Zanobi Carnesecchi»

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Le azioni del Carnesecchi colpirono anche, e non poteva essere diversamente, l’immaginario degli storici attivi durante il ventennio fascista: si veda in questo senso l’enfasi con la quale affronta l’argomento LODOLINI, pp. 136-138.

alla fine di novembre, quelle che si svolsero in Romagna furono più che altro scaramucce, azioni di disturbo e raid a scopo di saccheggio. In questo senso i nemici più pericolosi per i possedimenti fiorentini erano le bande di Balasso de’ Naldi e Cesare da Cavina, che compivano frequenti scorrerie (anche ai danni delle stesse terre pontificie).

Proprio mentre l’iniziativa del nemico si faceva più incalzante, Carnesecchi si trovò nuovamente senza soldi, e dovette congedare una delle bande mercenarie a sua disposizione, quella del capitano Caccia, forte di 125 fanti. Un finanziamento di 400 scudi giunse nella prima metà di settembre, negli stessi giorni in cui gli abitanti di Faenza e Forlì avevano ricevuto l’ordine, per pubblico bando, di espugnare Castrocaro.

Il 20 settembre le truppe fiorentine lasciarono per la prima volta in massa il capoluogo romagnolo. In quel giorno era infatti arrivata la notizia che le bande pontificie muovevano alla volta di Marradi, per poi congiungersi a Scarperia con quelle di Ramazzotto che andava verso Firenzuola. Carnesecchi, dopo aver lasciato una guarnigione di sessanta uomini a difendere la rocca, uscì in ordinanza alla testa di 500 fanti, muovendo incontro al nemico. Inutilmente, perché l’agganciamento non riuscì e le bande papaline, dopo aver saccheggiato il territorio, riuscirono a defilarsi evitando il combattimento.

Durante il mese di ottobre, come già era accaduto ai primi di settembre, le bande di Cesare da Cavina e di Balasso de’ Naldi – che scorrazzavano dal Mugello in Romagna e viceversa – erano tornate a occupare Fiumana, Montemaggiore e Predappio. Il commissario scriveva continuamente a Firenze, chiedendo denari per pagare le truppe. «La qualità de’ tempi ha insuperbito in modo le fanterie che ogni mezzo uomo vole paga intiera – scriveva da Castrocaro – e senza paga non ci veggo via o modo di fermarli».37 Qualche soldo ogni tanto arrivava. Settecento ducati giunsero alla fine di ottobre da parte dell’ambasciatore veneziano a Ferrara, che voleva così finanziare la resistenza dei fiorentini nelle Romagne. Ma si dovevano far miracoli, e Carnesecchi in qualche modo ci riusciva: tanto che ai primi di novembre, alla scadenza del suo mandato da commissario, la Signoria lo riconfermò nelle sue mansioni. Le ostilità vere e proprie iniziarono alla fine del mese. Il 24 novembre Lionello Pio aveva inviato a Castrocaro, tramite il suo segretario Piero Pritello da Faenza, un ultimatum. La comunità doveva sottomettersi, «se li premette la salute sua», o sarebbe stata trattata «come terre di capitali inimici di Sua Beatitudine, ne se li riserverà tempo e luogho di pentirsi».38 La risposta del Carnesecchi fu un rifiuto sdegnato. Sul finire del mese il presidente pontificio iniziò quindi a riunire soldati e cavalli; e altrettanto fece il commissario fiorentino, concentrando quasi tutte le forze disponibili a Castrocaro, da dove contava di muovere in soccorso delle località attaccate. I tre mesi successivi sarebbero stati quelli decisivi per la guerra in Romagna.

37 B

ORGIA LOTTI, pp. 25-26. 38 Ivi, p. 29.