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Per tutta la prima parte del 1529, le potenze italiane seguirono con apprensione le notizie relative a un possibile arrivo in Italia di Carlo V. La guerra si combatteva ancora – attivamente – in Puglia, affidata principalmente alle armate veneziane; e in Lombardia, dove l’esercito francese del Saint-Pol, privo di risorse economiche sufficienti a pagare i soldati, stentava a mantenere le posizioni ottenute. Era facile prevedere che il passaggio su suolo italiano dell’imperatore, insieme ai rinforzi che Carlo V avrebbe portato con sé, avrebbe provocato uno squilibrio delle forze in campo a tutto favore degli imperiali.

A Venezia si era cominciato ad avere il sentore di quali fossero le intenzioni di Carlo V già alla metà di dicembre 1528: ma il Senato ritenne che le voci in merito a una possibile venuta dell’imperatore in Italia fossero diversivi, notizie messe in giro per confondere le idee, «arte ispaneche».19

In realtà l’intenzione dell’Asburgo era più che motivata, e a ritardare i tempi era semmai la volontà di preparare con cura la spedizione italiana, sia dal punto di vista militare sia da quello politico;20 e inoltre il desiderio di sistemare le cose spagnole prima di lasciare la penisola iberica. Le Cortes avevano infatti espresso la loro contrarietà alla partenza di Carlo, «parendo loro che lasciassi troppo sfornita la Spagna», ma l’imperatore «pur non s’era mutato d’oppinione, et che voleva condurre seco tutti e’ primigeniti de’ Grandi d’Hispagna, et di già a Barzelona aveva cominciato a far mettere in acqua due delle galere che haveva fatte».21

18 A

MMIRATO, VI, p. 130. Secondo l’Ammirato, poco più tardi all’esercito si aggiunsero altri tremila italiani.

19

ASVe, Senato. Secreti, 53, c. 109rv, 18 dicembre 1528. Risulta evidente che la “passata” dell’imperatore in Italia, che poi si realizzò solo nell’agosto 1529, si stava preparando da tempo, e non dipese dagli accordi che furono chiusi alla fine di giugno con Clemente VII.

20 In una lettera del febbraio 1529 al principe d’Orange, Carlo V spiegava la propria «determinacion de passer en Italie, et tiens pour certain que ensuyvant icelle aurez fait et ferez tout extreme de possible pour mectre ordre et provision pardela, mesmes au royaulme de Naples, et venir en Lombardie avec l'armee, et si desja ne l'aviez fait, fauldra que y faictes toute diligence, car je partiray sans faillyr le premier du mois qui vient pour estre deans Pasques a Barcelone, prest a faire voile par tout le mois d'avrile ou denas le my may au plus tard»: Carlo V a Filiberto di Chalon, da Toledo 15 febbraio 1529, in HHStA, LA Belgien, PA 67.5, cc. 1r-3r; copia in ARCHIVES

GÉNÉRALES DU ROYAUME (d’ora in poi AGR), Papiers d’État et de l’Audience (di seguito Audience), 80, f. 63. Confronta a questo proposito anche la lettera, dello stesso tenore, di Carlo V ad Antonio De Leyva, 16 febbraio 1529, in RAH, Colleción Salazar y Castro, A44, ff. 37-41.

21

Lettera da Parigi del nunzio pontificio Giovanni Salviati a Jacopo Salviati, 6 marzo 1529 in ASV, Segreteria di Stato. Francia, 1, pp. 404-411. Le resistenze castigliane, come ha notato GALASSO, pp. 502-503, si originavano probabilmente dall’ostilità verso il titolo imperiale in quanto tale, nel timore di dovere prima o poi «reconocer

Poco a poco, le notizie sull’ormai prossima “passata di Cesare” divennero sempre più dettagliate e credibili,22 intrecciandosi alle voci su una possibile “contro-passata” di Francesco I, il quale si diceva avesse «affirmato che l’havera et per mar, et per terra forcie potentissime, et che prevalerano à quelle di Cesare».23 Francesco I si guardava bene, in realtà, dall’approntare un nuovo esercito da contrapporre all’Asburgo: anzi, in quella stessa primavera del 1529 si erano già avviati i contatti che avrebbero portato alla pace di Cambrai, e persino la presenza militare francese in Italia veniva impiegata in maniera strumentale per condurre le trattative. Ancora ad aprile, tuttavia, i veneziani erano convinti che la guerra si sarebbe riaccesa con l’arrivo di questo ipotetico nuovo esercito francese.24

Tra la fine del mese e gli inizi di maggio, non vedendo ancora nessun chiaro segnale di partenza, tanto i veneziani quanto i fiorentini iniziarono però a dubitare delle intenzioni di Carlo V. A Firenze il nuovo gonfaloniere, Francesco Carducci, ignorando i sempre più insistenti avvisi circa i preparativi spagnoli, si era anzi detto certo, conversando con l’ambasciatore veneto Cappello, che l’imperatore non sarebbe venuto: giustificando la sua certezza «per la pratica che ha delle cose di Spagna ove è stato lungamente, e quasi detta venuta gli pare impossibile».25

Quasi negli stessi giorni gli ambasciatori francesi a Venezia, il vescovo D’Avranches e Giovanni Ioachin, informavano il Re Cristianissimo che «l’imperatore dice tutt’oltra voler passare in Italia, et per tal viaggio nel cumular denari si vede gran cura (…) benchè si dichi che l’havera un milion d’oro, non si sa però d’altra nottabil somma che de circa CCCL mila ducati per il Re de Portogalo dovuti per conto et causa de la navigacione del Melucho a luy venduta per l’Imperatore, la quale somma in contanti per tutto Giugno in Spagna si debbe pagare».26

Le cose sembrarono prendere una svolta con la partenza da Genova dell’intera flotta di Andrea Doria, che salpò il 9 giugno diretta a Barcellona.27 Era un chiaro segnale dell’imminente partenza di Carlo. Arrivato a Barcellona il Doria venne «molto accarezzato»

superior», cioè che la corona spagnola si trovasse in qualche modo subordinata agli interessi dell’Impero. Non per nulla, nelle questioni spagnole, Carlo continuò a firmarsi «Yo, el Rey».

22 La Balìa di Siena all’oratore a Firenze Antonio Vecchi, 27 marzo 1529, in ASS, Balìa, 431, cc. 84v-85r: «da qua a 20 giorni partirà Cesare di Toledo per Barzalona per doversi imbarcare per Italia dove sono 44 galere et molte navi et galeonj caravelle et altri legni opportuni a ciò in gran numero. Confirmassi lo medesimo da certi spagnoli quali già due giorni sono di qui passorno per Roma».

23 Il Senato di Venezia all’oratore in Francia Sebastiano Giustiniani, 4 marzo 1529, in ASVe, Senato. Secreti, 53, c. 125rv.

24 Cfr. la lettera di commissione e istruzioni inviata dal Senato di Venezia a Carlo Cappello, 10 aprile 1529, in ASVe, Senato. Secreti, 53, c. 144rv.

25 Carlo Cappello e Antonio Surian ad Andrea Gritti, 27 aprile 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 4r-5r. Per la boutade del Carducci si veda la lettera di Cappello a Gritti del 6 maggio 1529, ivi, cc. 9v- 11v. Ancora agli inizi di giugno, pur riferendo al doge delle notizie riguardanti i preparativi in corso a Barcellona per allestire la forza di spedizione, il Cappello dubitava che potesse trattarsi di un diversivo: cfr. le due lettere del Cappello al doge del 7 giugno 1529, ivi, cc. 28v-30r e 30r-31r.

26 D’Avranches e Joachin a Francesco I, 12 maggio 1529, in BNF, Collection Béthune, Français 8621, f. 81, pubblicata in MOLINI, II, pp. 190-197

27 I Dieci a Ceccotto Tosinghi, 13 giugno 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 103, c. 32v; si veda anche la lettera di Lope de Soria a Federico marchese di Mantova, 4 giugno 1529, in AGS, Estado, 1454, f. 143.

da Carlo V, che lo accolse con grandissimi onori.28 L’imperatore in realtà non era ancora pronto, restando da definire alcuni affari relativi al governo delle Fiandre29 e dovendosi concludere la pace con il papa; dopo l’arrivo del Doria servì quindi ancora più di un mese prima della partenza, che avvenne soltanto il 27 luglio.30

L’imperatore arrivò a Genova il 12 agosto,31 con un seguito di quattordicimila uomini armati, mentre negli stessi giorni calavano dal Tirolo altri ottomila lanzichenecchi e milleduecento cavalieri agli ordini di Felice di Wittenberg. Carlo V, sulla galera capitana del Doria addobbata con «vele di damasco giallo berrettino et morello, alla devisa della Maestà Cesarea», fece il suo ingresso in porto salutato da salve di artiglieria, «che parea ruinasse tutta Genoa». La guardia imperiale fu la prima a sbarcare, seguita dai nobili della corte e da Andrea Doria, che vestito «come Almirante di tutti li mari di Sua Maestà, con il segno d’oro al collo et una spada nuda in mano» precedeva lo stesso Carlo V.32 Dopo l’accoglienza da parte dal Doge e dai Collegi, che consegnarono all’Asburgo le chiavi della città, iniziò quindi il coreografico corteggio che doveva accompagnare «Sua Maestà Re dil Mondo», montato a cavallo e riparato sotto un baldacchino, verso la residenza che gli era stata preparata nel palazzo pubblico, tra manifestazioni di euforia collettiva lungo un percorso costellato di pavesi con i colori e le armi imperiali, archi trionfali e dipinti allegorici realizzati per l’occasione.33