Contro le ambizioni papali, la Signoria fiorentina contava molto sulla protezione francese. Il rischio che la Maestà Cristianissima, pro obtinenda pace et filiis, abbandonasse le cose d’Italia era dunque ben presente sia ai fiorentini sia ai collegati italiani, che seguirono con preoccupazione, nel corso del 1529, gli avvisi sempre più insistenti di una prossima pace tra Francesco I e Carlo V. Di fatto, in presenza dell’ambasciatore fiorentino Baldassarre Carducci, Francesco I aveva più volte dichiarato risolutamente il suo attaccamento a Firenze, dichiarandosi assolutamente obbligato a intervenire in difesa della città.
Già dalla fine del 1528, come abbiamo visto, il gonfaloniere Capponi dubitava della buona fede dei francesi, data l’ambiguità delle notizie in arrivo dalla corte del Cristianissimo. Da una parte gli avvisi sulle trattative di pace in corso, che si fecero sempre più insistenti dalla metà di giugno (quando il Capponi era già stato sostituito nel gonfalonierato da Francesco Carducci); dall’altra le dichiarazioni dei gentiluomini del consiglio regio, e dello stesso sovrano, circa l’intenzione di proseguire le ostilità o comunque di comprendere anche gli alleati italiani nella pace con l’imperatore. Nell’inganno che si stava delineando ai danni dei fiorentini aveva il suo ruolo anche la credulità dell’ambasciatore Bartolomeo Carducci, il quale – parente del nuovo gonfaloniere, e come lui convintamente filofrancese – se continuamente protestava la debolezza delle forze fiorentine e la necessità di un soccorso per salvare Firenze, «fortezza d’Italia», d’altra parte sembrava lui stesso volersi convincere che la Maestà del Re non avrebbe abbandonato la tanto fedele città toscana, ed era disposto a dare orecchio al canto di qualsiasi sirena. Nelle lettere che arrivavano a Firenze dalla Francia venivano così riferite, avvalorandole con enfasi, le numerose boutade del Re francese, che si diceva disposto a passare lui stesso in Italia per affrontare l’imperatore, e poi dichiarava la propria intenzione di guidare personalmente una crociata contro i Turchi alla testa di un grande esercito cristiano.51 In un’occasione, il Gran Maestro di Francia, il Montmorency, aveva riferito al Carducci le intenzioni del re: «Ambasciatore – avrebbe detto al Carducci – se voi trovate mai che questa Maestà faccia conclusione alcuna con Cesare, che voi non siate in precipuo luogo nominati e compresi, dite ch’io non sia uomo d’onore, anzi ch’io sia un traditore».52 «Non vi abbandonerò, noi siamo una cosa istessa», andava ripetendo il re in
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Un quadro generale della vita di Malatesta Baglioni è stato tracciato nelle già citate biografie diVERMIGLIOLI
(1839)e BAGLIONI (1964). A questo riguardo mi sia consentito di rimandare al mio A.MONTI, Firenze 1530.
L’assedio, il tradimento, Firenze, Editoriale Olimpia, 2008.
51 Cfr. la lettera di Baldassarre Carducci all’oratore fiorentino a Venezia Bartolomeo Gualterotti, 26 marzo 1529, in DESJARDINS-CANESTRINI, pp. 1053-1056.
52 Baldassarre Carducci ai Dieci, 17 giugno 1529, in D
ESJARDINS-CANESTRINI, pp. 1058-1063 (la citazione è a p. 1059).
persona ai rappresentanti degli stati italiani.53 Di più: in presenza dell’ambasciatore fiorentino, il 23 giugno Francesco I aveva dichiarato di non voler «mancare né a sé né a’ suoi confederati in cosa alcuna; anzi, voler metter la persona e le facoltà a benefizio comune», aggiungendo poi «di voler mettere la vita, e abbandonare l’impresa de’ figliuoli per la conservazione e mantenizione degli stati di ciaschedun de’ collegati».54 Pronunciate mentre a Cambrai già si riunivano le delegazioni incaricate di concludere la pace, le parole del re di Francia erano davvero magnanime: se non fosse che di lì a qualche settimana avrebbero dimostrato tutta la loro vacuità alla luce degli avvenimenti successivi.
Sull’affidabilità di Francesco I non faceva troppo conto nemmeno Carlo V, memore di come il Cristianissimo avesse rinnegato i termini della pace che – per quanto dura – pure aveva firmato a Madrid. Scrivendo al principe d’Orange, l’Asburgo lo informava sull’andamento dei colloqui di pace, e dei suoi dubbi in merito:
«Ne vous feray ceste plus longue sinon que madame ma tante et la regente de France s’assembleront a Cambrai, le 15e du present mois, pour communiquer de la paix, mais je n’en espere nul fruit ny effect, mesmes que les François, comme j’ay peu entendre, ne veullent, ains plus tost que ce sera pour cuyder retarder mon passaige, et ne suis deliberé de m’y arrester ny y fere fondement comme que soit».55
Con i colloqui di pace già iniziati, Francesco I continuava a fare molte promesse ai fiorentini, garantendo loro che quello era soltanto un modo per ottenere una tregua, che negli eventuali accordi sarebbe stata comunque compresa anche la questione di Firenze, e che non avrebbe fatto mancare alla città il proprio aiuto economico e militare. Aspettando che alle parole seguissero i fatti, la Signoria fiorentina divenne ansiosa. Nessun preparativo si faceva nel nome del re di Francia; nessun segno di un suo intervento veniva segnalato.
Per capire meglio quanto stava avvenendo a Cambrai, alla fine di giugno i Signori decisero di mandare Bartolomeo Cavalcanti come inviato straordinario alla corte di Francesco I, per indagare sulle intenzioni del Cristianissimo e sulle trattative in corso con l’Impero. In particolare il Cavalcanti doveva scoprire cosa stesse esattamente facendo il Re per contrastare la passata dell’Imperatore, o se il Re «fusse in proposito d’àbandonar l’Italia, et noi insieme»; inoltre l’inviato fiorentino doveva vigilare sullo stato dei colloqui, e «quando l’accordo sia facto, vedrete di ritrarre le condictioni d’esso, et quello che a noi importa, se vi siamo compresi, o se ne siamo exclusi».56
In effetti, come scrisse l’ambasciatore Cappello al doge veneziano, il timore dei fiorentini era quello «di essere venduti insieme con la serenità vostra dal cristianissimo per fare più commodamente il fatto suo»;57 ma era comprensibile, perché chi – come Firenze e Venezia –
53 La frase è riferita nella lettera di Carlo Cappello ad Andrea Gritti, 26 maggio 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 19r-21v.
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Baldassarre Carducci ai Dieci, 23 giugno 1529, in DESJARDINS-CANESTRINI, pp. 1064-1068.
55 Carlo V a Filiberto di Chalon, 9 giugno 1529, in HHStA, LA Belgien, PA 67.5, c. 21r. Una copia si trova in AGR, Audience, 80, f. 74.
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Istruzioni a Bartolomeo Cavalcanti inviato al Cristianissimo, 25 giugno 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Legazioni e commissarìe, 47, cc. 30v-33r.
si fosse venuto a trovar fuori dalla pace, si sarebbe ritrovato da solo dalla parte sbagliata della barricata. Gli stessi veneziani, del resto, avevano inviato una missione diplomatica in Francia, con il mandato per trattare la pace che, secondo quanto scrisse da Parigi Giovanni Salviati, era già sostanzialmente conclusa e definita nei dettagli alla fine di giugno, almeno secondo «tutti questi del Consiglio che sono propinqui al Re, [che] la tengono per certa e conclusa».58 Ancora per un paio di settimane Francesco I continuò a gettare fumo negli occhi dei suoi alleati, dichiarando tutto il proprio sdegno per la sconfitta subita dal Saint-Pol a Landriano, e tornando a dirsi pronto a “passare” a sua volta in Italia con una potente armata. Si trattava di un meschino inganno, ma il governo fiorentino sembrava volerci credere:
«Di Francia habbiamo lettere del XXX del passato date ad uno luogo vicino a Cresì non molto lontano da Cambrai: ritrovasi che il Re X.mo havuta la nuova della rotta di San Polo, et che sua Maestà già determinata passando Cesare passare anch’ella, et dava ordine ad expedire il Visconte di Turona per Lione, che cominciasse ad ragunare le genti che disegnava mettere insieme, et già in buona parte erano mosse: e doverano esser 30m. fanti 12m. lanzi 12m. venturieri 6m. svizzeri. Ma non obstante tale apparato, si seguitava la pratica dello accordo. Quello sarà seguito doveremo intendere presto».59
Stupisce constatare come – a dispetto dei molteplici indizi in contrario – la dirigenza repubblicana tenesse ancora in seria considerazione la prospettiva di una rinnovata attività militare francese. L’11 luglio Piero Vettori venne incaricato di sostituire Lorenzo Martelli nel ruolo di oratore fiorentino presso il campo della Lega in Lombardia, e di presentare le proprie credenziali al duca d’Urbino, Francesco Maria della Rovere, il capitano generale delle armate veneziane che in quel momento si trovava accampato a Cassano sull’Adda. Il nuovo ambasciatore avrebbe dovuto in primo luogo mantenere le relazioni con il duca di Milano, Francesco II Sforza: ma con sé portava anche una credenziale in bianco, che gli era stata fornita dai Dieci, da presentare all’occorrenza a Teodoro Trivulzio, il celebre condottiero al soldo dei francesi, o a chiunque altro il re di Francia avesse incaricato di continuare l’azione del Saint-Pol.60
Dopo esser giunto a destinazione il Vettori, oltre a segnalare a Firenze la debolezza militare dello Sforza e degli alleati veneziani, non mancò di interpellare a Lodi il proprio omologo francese, rilevandone l’imbarazzo nell’ammettere di non avere alcuna notizia circa movimenti di nuovi contingenti militari in arrivo dalla Francia: in compenso, l’armata spagnola al comando di Antonio de Leyva continuava a crescere di dimensioni, grazie al continuo afflusso di fanterie.61
58 Giovanni Salviati a Jacopo Salviati, 30 giugno 1529, in ASV, Segreteria di Stato. Francia, 1, pp. 452-463. 59 I Dieci a Ceccotto Tosinghi, 8 luglio 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 102, c. 46rv. Lo stesso giorno il solito ambasciatore Cappello scriveva al doge veneziano che secondo i Signori fiorentini, «il giudizio è che l’accordo (tra Francia e Impero) non sia più per seguire, e che il Re non sia per mancare del debito»: Cappello al Gritti, 8 luglio 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 56r-57v.
60 Per la legazione di Piero Vettori in Lombardia e i contatti intervenuti col duca di Milano tra luglio e agosto ’29 si veda LO RE, pp. 87-97.
61 Cfr. ivi, p. 91, e i documenti della relativa appendice documentaria, cioè le lettere del Vettori ai Dieci del 27 e 31 luglio, e del 2 agosto 1529, alle pp. 261-265 e 267-269.
Quando l’esito positivo delle trattative in corso a Cambrai, dove nel frattempo erano accorse ambascerie da tutti gli stati italiani, non poté più essere nascosto, da parte francese si continuò ad assicurare che tutti i collegati sarebbero stati compresi negli accordi (10 luglio), che il re continuava a prepararsi alla guerra in caso di fallimento nelle trattative (22 luglio) e che nulla sarebbe stato concluso senza tener conto anche di loro (3 agosto).62 Diventava sempre più evidente, come del resto aveva ipotizzato un paio di mesi prima l’oratore fiorentino in Francia, che i confederati sarebbero stati informati sulle decisioni prese soltanto a cose fatte.63 Il 5 agosto la pace di Cambrai tra Francesco I e Carlo V sanciva la vittoria dell’Impero, mentre la Francia abbandonava i suoi alleati Venezia, Ferrara e Firenze al proprio destino.64 La pace (che sarebbe poi stata detta “delle due dame”, perché negoziata da Luisa di Savoia, madre del re di Francia, e da Margherita d’Austria, zia dell’imperatore) riservava a Carlo V i diritti sull’Artois e le Fiandre, sul Milanese, su Asti e sul regno di Napoli.65 Il re di Francia, oltre alla liberazione dei propri due figli (da tre anni prigionieri degli spagnoli), vedeva l’imperatore rinunciare a ogni pretesa sulla Borgogna, che era stata occupata dai francesi e che invece sarebbe spettata a Carlo per diritto di nascita. In tal modo Francesco, sconfitto ripetutamente sul piano militare, perdeva l’Italia ma raccoglieva una pace onorevole, e addirittura il riconoscimento definitivo di alcuni vantaggi territoriali per il suo regno: un accomodamento fin troppo conveniente per essere sconfessato.
Le prime informazioni sulla conclusione della pace arrivarono a Firenze il 7 agosto, ma una conferma certa e notizie dettagliate giunsero soltanto il 20: dalle lettere del Carducci e da altri avvisi arrivati dalla Francia si venne così a sapere che l’accordo era stato «publicato solennemente, del quale sono exclusi li venetiani et noi, se fra quattro mesi proximi futuri non haranno accordato con Cesare, di qual cosa Sua Maestà Cesarea pretende che loro et noi li obbediamo».66 Esclusa dagli accordi di Cambrai, del resto, fu anche la Repubblica di Genova, che pur essendo una stretta alleata dell’impero non poté beneficiare appieno della nuova pax cesarea: da parte francese infatti non era stata approvata la sua inclusione nel trattato, visto che ciò ne avrebbe implicato il riconoscimento come stato indipendente.67
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Cfr. le lettere di Baldassarre Carducci ai Dieci pubblicate in DESJARDINS-CANESTRINI alle date del 10 luglio (pp. 1081-1087), del 22 dello stesso mese (pp. 1087-1094) e del 3 agosto (pp. 1098-1102)
63 Cappello a Gritti, 2 giugno 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 23v-26r.
64 Un sommario delle capitolazioni di Cambrai si trova in RAH, Colleción Salazar y Castro, A44, ff. 149-150. Il testo del trattato è a stampa in CORF, Règne de François Ier, tomo V, parte II, 1529-1530, Paris, [Imprimerie Nationale], 1936, pp. 221-256. Cfr. anche BAV, Codices Vaticani Latini, 10695, cc. 67r-107v; e BIBLIOTECA
MALDOTTI DI GUASTALLA (d’ora in poi BMG), Fondo Gonzaga, 7, 4.
65 L’atto di remissione nelle mani degli agenti imperiali dei diritti francesi sul Reame di Napoli, sul ducato di Milano e sulla contea di Asti, datato 8 maggio 1530, è in CORF, Règne de François Ier, tomo VI, parte I, 1530, Paris, [Imprimerie Nationale], 1937, pp. 60-79. Nello stesso volume, alle pp. 5-6, l’incarico dato a Leonard Gay, consigliere del Re, di partecipare ai lavori della commissione per i danni di guerra, 5 gennaio 1530.
66 I Dieci a Ceccotto Tosinghi, 21 agosto 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 102, cc. 104v-105r. A Venezia il Senato seppe per certo i termini degli accordi soltanto il 27 agosto, quando apprese che la firma era avvenuta «sença nostra inclusione, ne de altri confederati»: ASVe, Senato. Secreti, 53, c. 194r. La comunicazione ufficiale della pace alla Serenissima, portata da «uno gentilhomo del Re de França», arrivò soltanto il 9 settembre (ivi, c. 200r), «extendendosi in excusation del re suo di haver fatta ditta pace per lo amor delli figlioli, et desiderio di liberarli di captività».
67 Su questo argomento, e sui successivi sforzi per fare accettare ai francesi un’inclusione genovese nella pace si veda PACINI, La Genova…, pp. 275-284.
L’esclusione dei collegati dalla pace «sarà una perpetua memoria a tutta Italia di quanto sia a prestar fede alle loro collegazioni, promesse e giuramenti», commentò amareggiato l’ambasciatore Carducci, che il 16 agosto fu poi ricevuto in udienza da Francesco I.
Al re l’oratore fiorentino chiese nuovamente che la Francia aiutasse Firenze «in tutti quei modi che a Sua Maestà paressono convenienti, senza alterazione della pace già fatta». Giustamente il Carducci adottò una linea conciliante, visto che con il trattato di pace già firmato, sarebbe risultato ormai inutile, se non addirittura dannoso, provocare l’ira del sovrano. Replicando all’ambasciatore, Francesco I spiegò di confidare come Carlo V non fosse in grado di sostenere un nuovo conflitto, e che il prossimo arrivo dell’inverno avrebbe comunque dato respiro ai fiorentini; ma promise comunque «molto largheggiando di parole (...) alle quali io, visto la sperienza delle cose passate, non posso più aggiustare fede alcuna», l’invio a Firenze di Stefano Colonna e un sussidio di cinquantamila scudi da elargire nella massima segretezza. Anche in questo caso, parole al vento. Se effettivamente il Colonna fu mandato in Toscana agli stipendi del Cristianissimo, al Carducci bastò poco ad accertare che dalle casse del Regno non si sarebbe potuto attingere alcunché, atteso che entro pochi mesi si sarebbero dovuti pagare a Carlo V un milione e duecentomila scudi in attuazione degli accordi di Cambrai.68 La realtà era che il monarca francese, che aveva già perso due guerre contro l’imperatore, non aveva per il momento nessuna intenzione di tornare a sfidarlo, almeno finché questi avesse mantenuto prigionieri i suoi figli.
Ai primi di settembre Carlo V, che ormai si trovava in Italia, inviò in Francia il conte di La Chaulx, per concordare i tempi della ratifica:69 «la speranza di tutte le cose appresso di costoro – scrisse in quegli stessi giorni il Carducci ai Dieci – non solo debbe essere diminuita, ma al tutto estinta».70
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Baldassarre Carducci ai Dieci, 16 agosto 1529, in DESJARDINS-CANESTRINI, pp. 1106-1111. 69 Francesco I giurò poi solennemente la pace il 20 ottobre, a Parigi.
70 Baldassarre Carducci ai Dieci, 2 settembre 1529, in D