Negli stessi giorni in cui la diplomazia fiorentina iniziava la sua fallimentare missione a Roma, e l’imperatore invitava l’Orange a temporeggiare, per Firenze si aprivano altri due fronti di guerra. Il primo era quello sul confine con Siena. Il 16 settembre, mentre era in corso l’attacco a Cortona, i Dieci scrivevano a Bardo Altoviti, oratore a Siena, dandogli licenza per tornare a Firenze; lo stesso giorno l’oratore senese Beniamino Boninsegni scriveva alla Balìa chiedendo di poter rientrare a Siena; ed è evidente che la coincidenza delle date sta a indicare un momento di altissima tensione diplomatica tra le due repubbliche toscane.49
45 Istruzioni di Filiberto di Chalon al signore di Montbardon, da trasmettere a Carlo V, 5 ottobre 1529, in HHStA, LA Belgien, PA 68.3, cc. 88r-94r.
46
Ibidem. Dalla lettera si evince anche la presenza di spie del papa all’interno di Firenze, dove l’Orange calcolava si trovassero quattordicimila armati: otto-diecimila mercenari e gli altri cittadini e gente del contado. 47 Lettera dei Dieci a Ceccotto Tosinghi, 9 ottobre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 104, c. 5rv.
48
Carlo Cappello ad Andrea Gritti, 10 ottobre 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 119v-120v. 49 I Dieci a Bardo Altoviti, 16 settembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 103, c. 145v; Beniamino Boninsegni alla Balìa di Siena, 16 settembre 1529, in ASS, Balìa, 596, n. 10.
Il giorno seguente, comunicando all’Altoviti che l’ambasciatore senese aveva già lasciato Firenze, i Dieci lo sollecitarono ad affrettare il rientro, perché «essendosi partito di qui l’oratore di codesta signoria, non ci pare che la stanza vostra costì sia più necessaria né con nostro honore».50 Cinque giorni dopo, tuttavia, l’Altoviti si trovava ancora a Siena, e a Firenze era arrivato un nuovo rappresentante senese, Girolamo Massaini, il quale tuttavia rimase in città soltanto un paio di giorni prima della definitiva rottura delle relazioni diplomatiche.51
Da parte loro i senesi saranno stati forse poco entusiasti dell’impresa contro Firenze, come sostenne il Guicciardini, ma non mancarono di cogliere l’occasione per muovere battaglia contro i possedimenti fiorentini. Il 29 settembre si arrendeva il castello di Brolio:52 Filippo e Geremia Ricasoli, che lo difendevano, furono catturati, e su di loro fu posto un grosso riscatto; Neri Ricasoli riuscì invece a fuggire e a rifugiarsi a Monteluco, dove si ritrovò a sua volta assediato. Nelle settimane seguenti, sotto la guida di Mario Bandini e di Alfonso Piccolomini duca d’Amalfi, le milizie imperiali saccheggiarono tutto il Chianti, assediando Meleto e conquistando Radda e Castellina,53 per poi puntare sull’importante nodo strategico di Colle, in Valdelsa, che si sarebbe arresa intorno alla metà d’ottobre. In una lettera scritta in quei giorni dai Dieci si legge:
«Il duca di Malfi ha mandato a Colle et a tutte quelle castella della Valdelsa un trombetto per far loro intendere in nome del Papa et dello Imperatore che dando vectovaglie non saranno né predate né saccheggiate, et si vede che stimano assai valersi di decte vectovaglie da decti luoghi».54
Per Siena gli obiettivi strategici del conflitto contro Firenze erano di natura esclusivamente territoriale, e miravano principalmente al possesso di Colle e di Montepulciano (tradizionale possesso fiorentino in Valdichiana da sempre ambìto dai senesi): dall’alleanza con il papa e l’imperatore ci si aspettava inoltre il recupero di Port’Ercole, occupato da un paio d’anni dai genovesi, e non ancora restituito a Siena; e un aiuto nella conquista di Pitigliano, feudo degli Orsini da tempo conteso.55 Sebbene malvista dal principe d’Orange, preoccupato che si potessero alienare territori che in un immediato futuro dovevano essere restituiti al papa, questa attività militare dei senesi era stata incoraggiata dal vicecomandante dell’esercito, il marchese di Vasto Alfonso D’Ávalos, che aveva spiegato all’ambasciatore senese Ludovico
50 I Dieci a Bardo Altoviti, 17 settembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 103, c. 147v. 51 Girolamo Massaini alla Balìa, 23 settembre 1529 in ASS, Balìa, 596, n. 50.
52Il podestà di Radda Antonio Benozzi ai Dieci, 30 settembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 144, c. 402r.
53 G.R
IGHI PARENTI, La storia del Chianti, Firenze, Polistampa, 2005, pp. 112-113. Mario Bandini, due decenni dopo, sarebbe stato l’ultimo capitano del popolo della Repubblica senese. Sul personaggio D.BANDINI, Mario
Bandini capitano del popolo di Siena (1505-1588), «Bullettino senese di storia patria», nuova serie, 1934, I, pp.
28-52, che comunque contiene alcune imprecisioni e non fa alcun cenno delle imprese del signor Mario durante l’assedio di Firenze.
54 I Dieci ai Commissari di Pistoia, 13 ottobre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 105, c. 10r. 55
FALLETTI FOSSATI, I, p. 321. Sulla questione di Port’Ercole cfr. la lettera di Andrea Doria alla Balìa di Siena,
22 settembre 1528, in ASS, Balìa, 583, n. 18, con la quale il Doria nega la restituzione finché non ne avesse avuto commissione dal Papa.
Sergardi come nell’impadronirsi dei territori fiorentini «peggio che rendere non ci può correre; e nel pigliare non c’è mai perdita».56
Mentre l’Orange avanzava da sud, Firenze veniva minacciata anche da nord dalle scorrerie di Melchiorre Armaciotto de’ Ramazzotti, detto il Ramazzotto, anziano uomo d’armi agli ordini della Chiesa, che già aveva servito i Medici ai tempi di Lorenzo il Magnifico.57 Tra luglio e agosto il Ramazzotto si era impegnato per arruolare un esercito sufficiente per l’impresa che gli era stata comandata dal papa: a metà settembre, alla testa di un’armata raccogliticcia fatta di 150 cavalli e duemila montanari più simili a predoni che a soldati, entrò nel Mugello. Dalla parte dell’Appennino tosco–emiliano Firenze si sentiva meno minacciata, anche per la relativa povertà di quelle terre, ben diverse dalle fertili e rigogliose vallate dell’Arno. I fiorentini avevano così di fatto rinunciato, fin dall’inizio delle ostilità, alla difesa del Mugello. Fu uno sbaglio, perché in tal modo le valli mugellane, che avrebbero comunque potuto costituire una valida riserva d’approvvigionamento, furono lasciate a disposizione degli imperiali. Scarperia in particolare, piazzaforte ben munita e strategica per il controllo della zona, non fu né rafforzata né tenuta, e abbandonata alla mercé del nemico. Il primo obiettivo del Ramazzotto fu il castello di Firenzuola, una delle “terre nuove” che un paio di secoli prima erano state fondate dai fiorentini, per il controllo dei valichi appenninici, e che fu attaccata il 21 settembre. Qui si trovava una guarnigione di 100 fanti, agli ordini di Francesco di Mezzolla. Dopo aver dato fuoco alla porta, il castello fu saccheggiato. Il vicario di Firenze, Jacopo del Biada, fu catturato e gli venne imposto – come era consuetudine a quei tempi – il pagamento di un riscatto per essere rimesso in libertà.58
Nei giorni seguenti fu Scarperia la prima a essere messa a sacco. Il castello fu investito dal Ramazzotto con 2000 fanti e 150 cavalli, di fronte ai quali non vi fu la minima resistenza. Poi toccò ai castelli di Galliano e Barberino, mentre le scorribande dei predoni di Ramazzotto si allargavano a tutto il Mugello, arrivando a spingersi fin quasi sotto le mura di Firenze.59 Il 29 settembre il Cappello scriveva a Venezia:
«Ramazzotto si trova a Scarperia, miglia venti di qua lontano; ha fatto danni infiniti, sì di prede come di guasti e incendj. Questi signori vi hanno mandato due bandiere di fanti con buon numero di cavalli, per provvedere a quello che si potrà».60
Dal bolognese calavano intanto sul Mugello sia le bande del conte Pepoli, sia quelle del fuoruscito mediceo Antonio Taddei, alla testa di duemila uomini che occuparono Barberino e
56 Cfr. i due post scripta alla lettera di Ludovico Sergardi alla Balìa di Siena, 9 settembre 1529, in ASS, Balìa, 595, n. 55° (la lettera) e 55b (i post scripta).
57 Per la sua biografia G.G
OZZADINI, Memorie storiche intorno alla vita di Armaciotto de’ Ramazzotti, Firenze, Tipografia Dante, 1835. Si veda anche A. I. PINI, Un “borgofranco” bolognese nel Medioevo. Il castello di
Scaricalasino nel territorio di Monghidoro, in COMITATO SAN MICHELE AD ALPES, Mons Gothorum, Castelmaggiore, Cantelli, 1988.
58 G.U
GHI, Cronica di Firenze, «Archivio Storico Italiano», t. VII, 1849, p. 147.
59 Girolamo Massaini alla Balìa di Siena, 23 settembre 1529 in ASS, Balìa, 596, n. 50: «Ramazotto ha messo à sacho Fiorenzuola, s’è scorso in sin qua a cinque miglia con haver fatto gran preda (…)».
60 Carlo Cappello ad Andrea Gritti, 29 settembre 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 114r- 116v.
furono da lui stesso invitati «a fare il peggio che si può» contro i fiorentini.61 Il paese di Borgo San Lorenzo era stato invece occupato da altri duemila fanti, agli ordini di Cesare da Cavina e Balasso de’ Naldi.62 Contro questo spiegamento di forze, la difesa delle valli mugellane era stata lasciata dai Dieci – oltre che alle periodiche scorribande che partivano da Prato – a quel poco che potevano fare il commissario Filippo Parenti e il capitano Albizzo da Fortuna. Il Parenti, «zoppo di gamba ma diritto di mente», oltre a essere un infuocato sostenitore della Repubblica aveva fama di essere tanto astuto quanto valoroso.63 Le forze che aveva a disposizione erano però molto limitate, e per tutta la durata della guerra il commissario fiorentino non poté che sfruttarle al meglio, riuscendo comunque a diventare per alcuni mesi una spina nel fianco dell’iniziativa avversaria.
Nell’ultima settimana di settembre il Parenti riuscì a riconquistare il centro fortificato di Vicchio, che qualche giorno prima era stato occupato da un contingente di cinquecento fanti di Ramazzotto, provenienti da Scarperia, e poi abbandonato.64 Fu il suo primo successo. Da quella minuscola piazzaforte il commissario fiorentino avrebbe preso a molestare il nemico, mentre Albizzo da Fortuna conduceva in montagna – partendo dal suo piccolo campo in località Pagliericcio – una guerra di movimento fatta di scorrerie e rapidi colpi di mano. La riconquista di Vicchio fu tentata dal Ramazzotto già il 30 settembre. Mille fanti e cento cavalli si presentarono di fronte alle porte del castello, e al Parenti fu intimata la resa: il commissario fiorentino la rifiutò, e i papalini andarono all’assalto, venendo però messi in fuga dall’intensa fucileria degli archibugieri repubblicani.
Nei primi giorni del mese successivo il Parenti raccolse anche una seconda vittoria, intercettando nel corso di un’imboscata notturna un convoglio nemico che portava in Romagna il bottino saccheggiato in tutto il Mugello. Nell’imboscata morirono una ventina di nemici, e per rappresaglia il capitano papalino Cesare da Cavina andò a “dare il guasto” ai possedimenti della famiglia Parenti in Mugello, incendiando la villa di Olmi: la stessa sorte toccò più tardi alla casa di Albizzo da Fortuna.65 In ottobre, affrontato e sconfitto da Francesco Tarugi, che era uscito da Firenze, il Ramazzotto decise di ritirarsi quando seppe che gli muoveva incontro anche Otto da Montauto, uscito da Prato alla testa di mille fanti e cinquanta cavalli. Avrebbe tentato una nuova offensiva qualche mese dopo, in dicembre, senza troppo successo: i rigori dell’inverno costringevano infatti la sua cavalleria e i pochi pezzi d’artiglieria di cui disponeva a muoversi tra il fango e la neve. Segnalato ancora per qualche tempo nei pressi di Firenzuola, dove si era stanziato per controllare la strada che
61 Alla fine di ottobre Antonio di Giovanni Taddei fu dichiarato ribelle, e sulla sua testa venne posta una taglia di 500 ducati vivo e 300 ducati morto: ASF, Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 131, c. 233r.
62 Balasso de’ Naldi fu l’erede della tradizione militare della Compagnia dei Brisighelli, fondata da Dionigi, Vincenzo e Carlino Naldi, e così chiamata perché arruolava i suoi effettivi nella valle del Lamone e in particolare a Brisighella. Per la storia della compagnia mercenaria e la sua attività si rimanda a Magnificenza dei Naldi :
Dionigi e Vincenzo Naldi capitani delle fanterie venete del secolo XVI : atti delle giornate di studio, Venezia, 12 novembre 2005; Brisighella, 22 aprile 2006, Faenza, Carta Bianca, 2009.
63 Sulla guerra in Mugello, le azioni di Filippo Parenti e quelle del capitano Albizzo da Fortuna durante il conflitto cfr. G.BACCINI, Vicchio e il Mugello durante l’assedio di Firenze, Firenze, Baroni, 1895.
64 Filippo Parenti ai Dieci, 26 settembre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 144, c. 283rv. 65 B
attraversava l’Appennino, il Ramazzotto uscì ben presto dal conflitto. Il Mugello non era tuttavia riconquistato: e gli imperial-papalini continuarono a muovervisi, praticamente incontrastati se non per il piccolo disturbo dato dalla guarnigione di Vicchio, per tutta la durata della guerra.
Agli estremi confini del dominio, anche l’enclave fiorentina di Pietrasanta era minacciata. Pochi mesi prima vi era stato inviato commissario Giannozzo Capponi, che si era assunto l’onere di una missione non facile, dato che tanto la fortezza principale (e quella minore di Motrone) quanto il territorio erano in pratica indifendibili, incuneati com’erano tra i possedimenti genovesi e quelli lucchesi. Lucca, in particolare, da decenni rivendicava il possesso delle due piazzeforti: per quanto la sua azione fosse contraddistinta da una ambigua posizione di neutralità, la piccola repubblica toscana era una tradizionale alleata dell’Impero, che anche in occasione dell’impresa fiorentina aiutava con sovvenzioni in denaro e vettovaglie.66 Gli Anziani lucchesi si trovavano da un lato intimoriti dalla possibilità di una restaurazione medicea, che avrebbe portato a una rinascita dell’espansionismo fiorentino; dall’altra guardavano con interesse alla possibilità di una «recuperatione delle castella» versiliane di Pietrasanta e Motrone, che erano state definitivamente sottratte a Lucca nel 1513 da un lodo firmato da papa Leone X.67 La situazione dei possedimenti fiorentini in Versilia consigliava dunque prudenza, e in una lettera del 29 luglio il Capponi scriveva ai Dieci:
«Non mancherò di ordinare le fortezze di quanto per me si potrà et dovete sapere si trovavano tanto disordinate che si potevono quasi chiamare derelicte. Et così a’ tempi di pace buttano li nostri Signori li dinari nelle spese di esse, per non se ne potere servire a tempo di guerra, che nella fortezza di Pietrasanta non era pure una cannoniera. (…) Non v’era pure una scala si potessi fidatamente usare. (…) Grano mi sarà prestato, e qualche altra vectualia. Ma comincio a vedere che, non ci essendo forze, poco potria sperare di obedientia. Et in verità, venendo al ristrecto, una parte di questi omini sono genovesi, una parte luchesi, el resto vostro».68
Qualche mese dopo, quando le cose si metteranno al brutto, il Capponi – noto avvocato e professore di diritto all’Università di Pisa, ma non certo un eroe – avrebbe abbandonato le fortezze nelle mani delle truppe imperiali, andandosi poi a rifugiare nel marchesato di Massa con tutta la famiglia e rimanendovi fino al termine delle ostilità.69
66 Aiuti alimentari verso il dominio fiorentino (attraverso il confine con la vicina Pisa) continuarono comunque a essere forniti dai lucchesi fino ai primi giorni del maggio 1530, quando si interruppero dopo le ripetute pressioni ricevute, fin dal febbraio, dall’ambasciatore Arnolfini a Bologna. C.SARDI, I capitani lucchesi del secolo XVI, «Atti della Reale Accademia Lucchese», vol. 32, 1904, p. 85, ipotizza che nella sua ambiguità il governo lucchese arrivasse a informare i fiorentini sullo spostamento delle truppe imperiali. BERENGO, pp. 147-149 fece notare tuttavia come il Sardi tendesse a dare eccessiva organicità a certi atteggiamenti lucchesi, il cui solo scopo era la salvaguardia del territorio dalle possibili devastazioni belliche.
67 Cfr. E.R
OMERO GARCIA, El imperialismo hispanico en la Toscana durante el siglo XVI, Lérida, Dilagro, 1986, pp. 36-38.
68
Lettera di Giannozzo Capponi ai Dieci del 29 luglio 1529, citata in LODOLINI, p. 62. 69
Per la figura del Capponi, che per rango e vocazione familiare apparteneva alla “setta capponiana” degli Ottimati (G.MILANESI, p. 111) si veda la voce di Maria Rosa Pardi in Dizionario Biografico degli Italiani (di seguito DBI), vol. XIX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1976; e A. M. ZANDRI, Famiglie storiche
toscane. I Capponi, Firenze, Polistampa, 2004, p. 40. L’abbandono delle fortezze di Pietrasanta e Motrone
avvenne nella prima metà di gennaio, come si evince dalla lettera dei Dieci ai Commissari di Pisa del 16-18 gennaio 1530, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 105, cc. 140r-141v.